Cinque mesi prigionieri di una nave ferma nel porto di Civitavecchia. Senza la possibilità di salpare, né di scendere, né di muoversi liberamente. E soprattutto senza stipendio e con mesi di arretrato. Igor, Sasha e altri cinque marinai dell'equipaggio della 'Silver 1', ingaggiati e saliti a bordo nell'aprile del 2010, non si sono più potuti muovere fino ad agosto, quando cinque di loro hanno finalmente riabbracciato la famiglia in Ucraina e in Russia. All'inizio di settembre è toccato anche agli ultimi due, il capitano e il macchinista.
Adesso nel porto di Civitavecchia la 'Silver 1' è vuota e vuote sono le tasche dei marinai che, nonostante il rientro in patria, non hanno ricevuto i loro salari. Sasha Tatarov è ucraino, ha 23 anni ed è il secondo ufficiale. Senza il suo stipendio, a Kherson, in Ucraina, la moglie Irina ha vissuto con l'equivalente di 20 euro al mese. "Per comprare la casa in cui stiamo vivendo abbiamo preso un mutuo. Ma se continuo a non ricevere il salario, la banca ci butterà fuori" ci ha spiegato prima di tornare a casa.
Prigionieri della nave
L'odissea della 'Silver 1' dura già da un anno. Sasha, il capitano Igor Taranov e gli altri colleghi sono stati 'prigionieri' della nave da aprile ad agosto ma prima di loro un altro equipaggio aveva vissuto la stessa disavventura,. Tutto è cominciato ad agosto 2009 quando, appena entrata nel porto di Civitavecchia, il natante è stato sottoposto alle ispezioni di Port State Control: non rispettava le norme internazionali per la sicurezza e dunque è stata immediatamente fermato. A questo punto, l'armatore si è fatto i conti: rimettere a posto la bagnarola non conveniva, tanto più che l'equipaggio cominciava a farsi sentire e pretendeva i salari arretrati. Così ha smesso di rispondere al telefono, abbandonando dieci uomini bulgari e ucraini al loro destino. Ad assisterli fino al rimpatrio sono stati il sindacato internazionale dei marittimi (Itf) e l'associazione Stella Maris. Poi la beffa: l'armatore ha ingaggiato un nuovo equipaggio, ignaro di tutto. "Ci avevano detto che la nave era ferma nel porto per piccole riparazioni, solo per pochi giorni", spiega il capitano Taranov, 48 anni "Invece l'abbiamo trovata in pessime condizioni. Piena di immondizia, senza cibo a bordo e con le porte rosicchiate dai topi". Così Taranov e i suoi sono rimasti prigionieri a bordo, in una zona della banchina denominata 'zona rossa', chiusa a chiave dalla Capitaneria e in cui si transita solo con un'autorizzazione.
A dare conforto agli uomini della 'Silver 1' per cinque mesi è stato padre Artur Jeziorek, cappellano di bordo di Stella Maris, l'Apostolato del Mare che, in Italia, fa capo alla Conferenza episcopale italiana. Quando non è in giro per il mondo sulle navi, il prete polacco dedica tutto il suo tempo ai marittimi stranieri che approdano a Civitavecchia: porta carte telefoniche internazionali, scambia quattro chiacchiere, dà supporto religioso a chi ne sente il bisogno. Durante il soggiorno forzato degli ucraini della Silver 1, ha passato ogni mattina al mercato per chiedere frutta e verdura, carne e pesce ai pescatori. Nei giorni più fortunati è riuscito anche a ottenere qualche tanica di carburante per alimentare i generatori di bordo. "Se non fosse stato per padre Artur, non avrei avuto contatti con mia moglie per cinque mesi" aggiunge ancora il capitano Taranov. Quasi ogni giorno lui e gli altri membri dell'equipaggio sono riusciti grazie a 'Stella Maris' a chiacchierare via Skype con la famiglia.
"Questa gente viene da paesi poveri e si imbarca per mantenere la famiglia" spiega padre Jeziorek "poi scopre di essere a bordo di una nave sequestrata e che non riceverà lo stipendio per mesi. Così è la famiglia che deve mandare i soldi. È normale che vengano pensieri strani".
Il nostromo della Fiona, una nave ferma da giugno 2009 nel porto di Ancona, una volta tornato a casa in Estonia ha tentato due volte il suicidio. Perché, come spiega Giovanni Olivieri, ispettore del sindacato dei marittimi "il rimpatrio è il primo passo. Fin quando la nave non viene venduta all'asta non ci sono soldi per pagare i lavoratori. In Italia le procedure possono durare anni: questa gente viene abbandonata due volte. Prima dall'armatore, poi dai giudici italiani". L'esasperazione dell'attesa può anche condurre a gesti di protesta. È successo a Ravenna il 2 settembre per la Berkan B., un cargo battente bandiera panamense, sotto sequestro dall'inizio di agosto nel porto romagnolo. Sette membri dell'equipaggio (quattro turchi e tre georgiani) si sono gettati in mare indossando le cinture di salvataggio per attirare l'attenzione su una situazione invivibile: sulla nave avevano finito i viveri.
Truffa globalizzata. La 'Silver 1' e la 'Berkan B.' sono solo due delle tante navi abbandonate da armatori senza scrupoli nei porti di tutto il mondo. Solo nel 2009, l'Itf ne ha assistite 180, ma i numeri reali parlano di 400-450 imbarcazioni "orfane". In Italia, negli ultimi due anni se ne sono contate 20. Il fenomeno esiste da anni, ma con l'inasprirsi della crisi economica ha assunto proporzioni preoccupanti. Ancona, Augusta, Civitavecchia, Genova, Livorno, Milazzo, Piombino, Pozzallo, Ravenna, Savona: non c'è porto che non abbia avuto i suoi marinai prigionieri. Sono quasi sempre extracomunitari e se si allontanano rischiano una condanna penale per clandestinità. Inoltre un marinaio non può lasciare la nave prima di essere riconosciuto come creditore. Altrimenti, è considerato disertore e perde il diritto al salario. A volte l'equipaggio - illuso dalle promesse del datore di lavoro - sceglie di restare a bordo anche più del necessario nella speranza che tutto si risolva. Intanto la cambusa si svuota e il carburante - fondamentale per far funzionare la luce elettrica e i bagni - si esaurisce.
Per i marinai provenienti da paesi della "black-list" (come Siria, Libano, Pakistan, Sri Lanka e Corea del Nord) va anche peggio. In teoria, non potrebbero neanche scendere sul molo.
Bandiere di comodo, regole blande
Il tipico armatore che abbandona il suo equipaggio è un avventuriero del mare che offre servizi commerciali a prezzi più bassi della concorrenza, risparmiando su salari e sicurezza. Registra l'imbarcazione in paesi come Corea del Nord, Bolivia (che non ha sbocco al mare), Myanmar, Cipro, Honduras, Panama, dove vige la deregulation più totale. L'avventura delle navi low-cost finisce quasi sempre dopo un controllo di sicurezza o per un sequestro da parte di un fornitore che non è stato pagato. Spesso sono i marinai a dire basta quando si stancano di lavorare gratis.
Non un euro per i marinai
Tranne poche eccezioni, il paese di origine dei marinai è assente; lo Stato in cui è stata registrata la nave si limita a scaricare le colpe sull'armatore. Per l'Italia queste persone non esistono. Non c'è un ente che si occupi di assistere, rimpatriare e tutelare i marinai stranieri fermi nei porti del paese. Al contrario di Francia e Spagna, in Italia non viene speso un euro pubblico per queste persone. È tutto sulle spalle di Stella Maris e Itf. "In Italia si parla di marittimi solo quando sciopera la Tirrenia" è il commento amaro di Olivieri. Dal ministero dei Trasporti, che generalmente è quello che dovrebbe coordinare le attività di sostegno ai marinai, ammettono candidamente che "l'assistenza viene fornita da Stella Maris" e per quanto li riguarda "non ci sono strumenti normativi né stanziamenti che consentano di aiutare questi lavoratori".
Attualità
13 settembre, 2010Le storie dei marinai costretti a vivere nelle imbarcazioni ferme in porto: gli armatori spariscono dopo il fallimento e loro non hanno il permesso di scendere a terra. E con la crisi i casi aumentano
L'incubo delle navi-prigioni
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