L'aeroporto di Brescia costa un bingo, perché ci lavora un sacco di gente; tra controllori di volo, doganieri, polizotti, facchini etc. Ma nell'ultimo anno non ci è passato neanche un viaggiatore. Un caso limite di sperpero italiano

Da stamattina non atterra nemmeno un merlo. Anche gli uccellini snobbano l'aeroporto più sprecone del mondo. Allacciatevi le cinture e preparatevi a scendere nell'Italia del federalismo militante: benvenuti in Padania, terra di faide all'ultima spesa tra leghisti e berlusconiani. La cattedrale delle cattedrali nel deserto è al centro della verdissima pianura lombardo-veneta. Proprio qui dove il Risorgimento italiano ha combattuto le sue battaglie per l'Unità. E dove 150 anni dopo ogni provincia ha il suo campanile, i suoi parlamentari, il suo dialetto stampato sui cartelli stradali. E, perché no, pure il suo mega aeroporto. Quello di Brescia è straordinario: 3 mila metri di pista, la torre di controllo con due uomini radar di giorno e di notte al lavoro, si fa per dire, vigili del fuoco, poliziotti, finanzieri, doganieri in servizio sulle 24 ore, addetti ai bagagli, alle pulizie, ai metal-detector, alle rampe, al piazzale, al rifornimento, alle previsioni del tempo, alle informazioni al pubblico. E da un anno nemmeno un passeggero. Nemmeno un volo, una partenza, un abbraccio.

Roba da umiliare i padrini della defunta Cassa del Mezzogiorno. Ma giù al Nord le cose si fanno perbene. In nome dell'efficienza, del commercio, della tradizione. E del feudo: antico concetto che il linguaggio più raffinato preferisce chiamare lobby.

La società Aeroporto Gabriele d'Annunzio ne è un monumento. Gestisce l'omonimo aeroporto di Brescia, nelle campagne di Montichiari, una ventina di chilometri dalla Leonessa d'Italia. E in nove anni, da quando è stata costituita, ha perso la bellezza di 40 milioni 383 mila 462 euro. Il bilancio migliore? Il primo nel 2002, quando ha operato per soli sei mesi: meno 2 milioni 504 mila e 52 euro. Il record nel 2009: meno 5 milioni 813 mila 555 euro e una ricapitalizzazione per perdite da 15 milioni 500 mila euro. Leggermente meglio nel 2010, ma solo grazie alla cancellazione di tutti i voli passeggeri: meno 4 milioni 574 mila 126 euro. Mai un bilancio almeno vicino al pari. Eppure ad appena mezz'ora di autostrada, negli stessi nove anni, l'aeroporto di Bergamo ha portato il suo utile da un milione 786 mila euro a 12 milioni 270 mila euro. Perderli per perderli, se avessero regalato quei 40 milioni ai 63 dipendenti, i 25 operai e i 38 impiegati bresciani avrebbero messo insieme un gruzzolo di quasi 635 mila euro ciascuno. Invece si ritrovano in cassa integrazione. Ultima conseguenza di decisioni prese sempre altrove.

Ai cinque amministratori della società va un po' meglio. Nonostante i risultati, negli ultimi sei anni il loro compenso medio pro capite è aumentato senza sosta: dagli 11.221 euro del 2004 ai 19.200 euro all'anno del 2010. Un bel più 71 per cento, che il consiglio d'amministrazione dell'aeroporto integra con guadagni e gettoni in altri incarichi e attività. Così hanno deciso i soci della Gabriele d'Annunzio: la Provincia di Brescia con un simbolico 0,01 per cento di azioni e la società Aeroporto Valerio Catullo di Verona Villafranca con il 99,99, a sua volta controllata da Camera di commercio di Verona, Provincia di Verona, Provincia di Trento, Comune di Verona, Provincia di Bolzano, Camera di commercio di Brescia, ancora la Provincia di Brescia con il 4,19 per cento. E altri soci tra banche, enti e Comuni della zona.

Uno spreco di soldi pubblici che comincia da lontano. L'attuale crisi economica c'entra ben poco. Per anni idee, risorse, progetti sono stati bruciati in una battaglia di campanile. Combattuta anche davanti al Tar, al Consiglio di Stato, al tabellone degli orari dei voli. Città contro città. I veronesi della Lega contro i bresciani del Pdl. Lo stesso aeroporto di Verona contro il suo figlioccio di Brescia. Due aeroporti a 45 minuti di autostrada. Tre contando Bergamo. Cinque considerando Milano Linate e Malpensa. Soltanto quest'anno, il 31 maggio, è stata firmata la pace. Sfruttando la circostanza che la Lega governa in Comune a Verona con Flavio Tosi e in Provincia a Brescia. E il Pdl in Comune a Brescia con Adriano Paroli e in Provincia a Verona.

Quanto sia stato paradossale lo scontro, lo si legge nel sito Internet dell'aeroporto: www.aeroportobrescia.it. È scritto così: "L'obiettivo della società è quello di promuovere lo sviluppo dello scalo bresciano in un'ottica di complementarietà e specializzazione, non conflittuale, rispetto all'aeroporto di Verona...". Non conflittuale. E perché mai un aeroporto aperto con soldi pubblici non dovrebbe fare concorrenza a un altro aeroporto? Per raccontare la cronaca di questa follia, bisogna fare come Tom Hanks nel film "The Terminal" di Steven Spielberg. Vivere nel terminal giorno e notte. Stare nelle sale deserte. Parlare con i dipendenti solitari.

Raccogliere le paure di chi rischia di perdere il lavoro. Come gli addetti al piazzale. E i tassisti di Montichiari che non hanno più passeggeri da accompagnare. Non bastano i rarissimi voli in transito. Come venerdì 7 ottobre, quando uno sciopero a Verona ha fatto dirottare a Brescia sei aerei di linea. Nemmeno i nove voli postali della notte sono sufficienti a far respirare i conti. Tra le 23 e le due, dal lunedì al giovedì, viene scaricata e ricaricata sugli aerei la corrispondenza in arrivo e in partenza per tutta Italia. È l'ultimo contratto rimasto alla società Gabriele d'Annunzio che giustifica la presenza di poliziotti, finanzieri, doganieri, pompieri e via dicendo. Senza questa gentilezza al centrodestra locale da parte di Poste Italiane, rimarrebbero i voli a elica dell'aeroclub. E le prove tecniche della Bosio motori aeronautica, una gloriosa officina di manutenzione che con le limitazioni di rullaggio imposte dal nuovo regolamento dell'aeroporto proprio nel momento in cui non c'è più traffico, rischia a sua volta di chiudere. Cestinato il progetto di farne una scuola per preparare tecnici specializzati che non si sa più dove trovare. Più volte archiviato il tentativo di trasformare Montichiari in uno snodo merci. Le compagnie cargo venute qui sono fallite o hanno traslocato. E così quelle passeggeri. L'ultima a trasferirsi Ryanair: il 30 ottobre 2010. Nonostante gli aerei, dicono i dipendenti, sempre pieni. Dove sono finiti quei voli redditizi? Che combinazione: proprio a Verona.

La storia di un giorno qualunque può cominciare da quando a Montichiari è ancora notte.

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