La nuova battaglia di Anghiari si combatte intorno a una diga: una barriera di cemento che alla prima prova si è mostrata fragile. Nella piana tra Umbria e Toscana dove avvenne lo scontro dipinto da Leonardo ora c'è un enorme lago artificiale, tre volte più grande del Vajont, che raccoglie i flutti del Tevere e di due suoi affluenti. Venne creato negli anni Ottanta per regalare acqua potabile ai comuni della Valdichiana, del Trasimeno, fino ad Arezzo. Ma la diga di Montedoglio da un anno fa paura: nello scorso dicembre c'è stato il cedimento di una parte del "muro di sfioro", la parte più alta della paratia. Una breccia di 20 metri due giorni prima di Capodanno, che ha scatenato una cascata violentissima: 600 metri cubi di acqua al secondo con la forza di una bomba che fortunamente ha perso rapidamente potenza, limitando i danni per la popolazione. E ora le conclusioni della perizia voluta dalla procura alimentano i sospetti sulla qualità dell'opera.
Infatti per trent'anni l'invaso è stato tenuto a basso regime, poi dopo un lungo periodo di costruzione e assestamento, solo nel dicembre 2010 si è deciso di collaudare la diga con il pieno: 145 milioni di metri cubi d'acqua. Ma il 29 dicembre c'è stato il cedimento, che ha allagato una serie di frazioni dei comuni di Sansepolcro, Anghiari, Citerna, Città di Castello. La procura di Arezzo ha affidato l'analisi del crollo a un pool di docenti che comprende Enzo Boschi, ex presidente dell'Istituto di geofisica. E le loro conclusioni consegnate due settimane fa sono a dir poco allarmanti: alcuni elementi della diga sarebbero stati realizzati con materiali scadenti. I periti parlano di "difetti nella costruzione" e nella qualità dei materiali usati "non escludendo l'eventualità di poter interessare (al crollo) altre porzioni dell'opera di scarico superficiale". Colpa soprattutto del cemento, perché "il crollo sarebbe stato determinato dall'azione dell'acqua che nel tempo si è infiltrata nel cemento, rendendolo sempre meno resistente, tanto che alla fine i ferri inseriti all'interno si sarebbero sfilati".
Il progetto disegnato negli anni Settanta è stato realizzato da tre colossi che si sono succeduti fino al 1993 nel cantiere: Cogeco, Cogefar e Impregilo, che subappaltarono parte delle strutture. Alcune di queste aziende sono già state chiamate in causa per altre vicende di materiali sospetti che sarebbero stati impiegati in alcuni edifici distrutti nel terremoto dell'Aquila e in alcuni ponti lesionati della superstrada E-45 Orte-Ravenna.
Ma il procuratore Carlo Maria Scipio e il pm Roberto Rossi per ora hanno aperto un'indagine contro ignoti: nuovi accertamenti sulle responsabilità sono in corso. Nel frattempo il segmento crollato è sotto sequestro e l'invaso è stato ridotto a circa 75 milioni di metri cubi, in modo da diminuire il livello, la pressione e i rischi. Ma quella scorta d'acqua resta strategica per le due regioni, che per gestirla un mese fa hanno creato l'Ente Acque Umbro-Toscano: la proprietà della struttura invece resta dello Stato, almeno fino a quando non verrà completato il collaudo con il pieno, fallito nello scorso dicembre. Solo per riparare la "breccia" bisognerà ricostruire tutta la parte più alta con un costo stimato in un milione e mezzo di euro. Intanto gli abitanti della vallata guardano al muro di cemento con crescente diffidenza: anche perché questa è zona sismica, dove il terremoto si è fatto sentire con forza sia nel 1997, sia nel 2001.
ha collaborato Claudio Roselli