Diario d'autore di quattro giorni insieme ai migranti sbarcati a Lampedusa. Che dopo essere scappati dai centri italiani, tentano in ogni modo di arrivare in Francia. Nascosti nei treni o per i sentieri, a piedi

Dove va chi scappa da Manduria

Ahmed conosce benissimo la storia dei tunisini scomparsi. Sa dove finiscono i ragazzi sbarcati a Lampedusa e trasferiti nelle ultime ore in Sicilia, Calabria, Puglia. Lui è uno di loro. Uno dei 4 mila già scappati in Francia. Stando al conteggio segreto tenuto dal ministero dell'Interno, pure Ahmed è ufficialmente scomparso. Oggi abbiamo passato insieme il confine a Ventimiglia. E da un'ora e mezzo i nostri destini sono diventati inseparabili. Nel senso che alla stazione di Nizza la gendarmeria ci ha presi e ammanettati.

Due bracciali di acciaio legano il suo polso destro al mio sinistro. Così ogni volta che lui deve firmare il verbale di identificazione, restituire il foglio e la biro, bere un sorso d'acqua, alzarsi, sedersi, grattarsi la testa, dobbiamo metterci d'accordo sui movimenti. Ci sorvegliano. Non ci perdono di vista. Secondo loro, i gendarmi che ci hanno arrestati, siamo quattro clandestini. Ahmed, altri due tunisini e io, un giornalista infiltrato.

Qui, chiusi dentro una stanza silenziosa nella Caserne d'Auvare, la caserma della polizia nazionale in rue de Roquebillière 28, è tutto più chiaro. Da qui è evidente la guerra di nervi che Roma e Parigi si stanno combattendo a colpi di immigrati. Ed è drammatica l'immagine di debolezza che il premier Silvio Berlusconi ha dato dell'Italia. Anche perché i ministri dell'Interno e degli Esteri, Roberto Maroni e Franco Frattini, non ci hanno raccontato tutta la storia. Primo, da quando è cominciata la crisi la polizia italiana ha lasciato entrare in Francia migliaia di tunisini.

Alla stazione di Ventimiglia gli immigrati senza documenti salgono sui treni per la Costa Azzurra e agenti, carabinieri e Guardia di finanza, presenti a turno sul marciapiede, non fanno nulla per impedirlo. Un rapporto riservato di qualche giorno fa calcola in 4 mila gli immigrati già fuggiti in Francia sugli oltre 9 mila trasferiti finora da Lampedusa. Secondo, non è vero che la situazione politica in Tunisia impedisca i rimpatri.

Il ministero dell'Interno francese, a differenza di quello italiano, non ha mai smesso di riportare in patria i tunisini entrati illegalmente in Francia. Così come rimanda in Italia senza formalità quelli sorpresi vicino alla frontiera italiana. Terzo, molti tunisini raccontano che, una volta trasferiti da Lampedusa, funzionari italiani li hanno invitati a presentare richiesta di asilo. Così li hanno portati nei Cara di Crotone e Bari, i centri per rifugiati: i Cara sono strutture aperte da dove è facile scappare. Quarto, la legge sul reato di clandestinità voluta soprattutto dal ministro dell'Interno, Maroni, e dal ministro della Difesa, Ignazio La Russa, obbliga ad aprire un procedimento penale per ogni immigrato sbarcato illegalmente a Lampedusa. Dal primo gennaio alla notte del 29 marzo, sono 18.450: soltanto per le tre copie del verbale di notifica del reato, la Procura di Agrigento dovrà consumare 55.350 fogli di carta.

Ecco quello che si scopre dopo quattro giorni e quattro notti in fuga con la generazione lampa-lampa, come in Nord Africa chiamano le barche che portano a Lampedusa. Ore e ore di attesa accampati sul pavimento della stazione a Ventimiglia. E poi la roulette della partenza. Due volte a piedi lungo la mulattiera e la strada che porta a Mentone. Tre volte nascosti, ma non troppo, sui treni per Grasse e Cannes. I primi quattro viaggi schivano tutti i controlli francesi. Il quinto finisce dritto nelle mani dei gendarmi, binario A, stazione di Nizza.

Mercoledì 23 marzo.
Negli alberghi di Ventimiglia arrivano i rinforzi. Carabinieri del battaglione e agenti del reparto mobile. Gli Intercity da Milano e i regionali da Genova scaricano decine di ragazzi tunisini. La notte tra il 21 e il 22 marzo c'è stata una fuga in massa dal Cara di Bari. "Sono rimasti soltanto eritrei e somali, i tunisini se ne sono andati tutti", avverte quella sera una telefonata. Rieccoli salire le scalinate del sottopasso alla stazione di Ventimiglia. Dopo una notte e una mattina di viaggio. Vogliono raggiungere Nizza, da dove partono i treni veloci per Parigi e le altre città della Francia. Ma Nizza è lontana: 41 chilometri. Abdel Majid, 26 anni, viene da Nakta, paese di pescatori e scafisti vicino a Sfax: "Io vado in treno", dice. Altri connazionali preferiscono proseguire a piedi: "Sui treni sale la polizia". I primi 12 si avviano lungo la statale. Camminano in fila sul marciapiede nell'ultima galleria italiana. All'uscita appare il valico di Ponte San Ludovico. Il lato italiano non è presidiato. Sul lato francese, si muovono almeno dieci agenti di frontiera. Parigi sta inviando rinforzi per fermare i tunisini che entrano dall'Italia. La fila di emigranti torna indietro. Si scende sul sentiero che porta ai Balzi Rossi, un paesaggio di grotte e pareti a strapiombo sul mare. Qualcuno crede sia una via alternativa. Invece ci si ritrova ancora al valico di Ponte San Ludovico. Due ventenni si siedono sfiniti su un muretto a osservare. Rimangono a lungo in silenzio. Davanti all'acqua, alla loro nuova vita, i rumori del traffico, i riflessi del tramonto nel golfo perfettamente calmo. Gli altri dieci vanno sotto un ponte della ferrovia. Trovano due materassi su cui riposare. Non sono i primi a nascondersi qui. Prima che faccia buio la polizia francese se ne va. Quella italiana non si è mai vista. È il momento di passare. "Non in gruppo. Tenete la distanza, altrimenti ci scoprono", si arrabbia il primo della fila. Si muovono piano ora. Un po' per il mal di piedi, un po' per sembrare gente senza fretta, in vacanza. Vanno a prendere l'autobus per Nizza. Per loro, e per tanti altri dopo di loro, è fatta.

Giovedì 24 marzo.
La mezzanotte scocca sul regionale partito alle 23.32 da Ventimiglia. Nessun controllo ai binari. Nemmeno in Francia c'è polizia a quest'ora. È vuota la stazione di Mentone. Hussein e tre suoi amici si sono seduti a metà treno. Altri 30 tunisini si sono disseminati lungo le quattro carrozze. Hussein informa tutti che non dobbiamo scendere a Nice Ville, la stazione principale: "Mi hanno detto che è piena di poliziotti". Scendiamo a Nice Riquier, la fermata prima.

Ci si ritrova in piazza, davanti alle porte ormai chiuse di Nice Ville. Abdel Majid è arrivato su un treno della sera. Calma la fame bevendo la sua terza lattina di Redbull in un'ora. E fuma sigarette. C'è tempo fino all'alba per raccontarci del futuro e del passato. Majid dice di avere trascorso una notte in mare e sei giorni a Lampedusa. Poi il Cara di Bari: "Sono scappato due giorni fa. Sono due giorni che non dormo e tre giorni che non mi tolgo le scarpe", sorride: "A Parigi mi aspettano mio padre e mio fratello. Non sono venuto in Europa per rimanere in Italia. Vedo come gira. Poi tra sei mesi torno in Tunisia. Ci sarà un governo democratico. Vedrai che tra sei mesi torneremo in tanti. Ci sarà lavoro, vedrai". Quello di Abdel Majid è un caso tipico: "I consolati francesi non ti concedono il visto nemmeno se vuoi andare a trovare tuo padre. Mio padre vive e lavora in Francia da 20 anni, mia mamma è morta. Io lavoravo come muratore in Libia, a Zuwara, quando è scoppiata la rivolta. Sono stato tra i primi a scappare in Tunisia. Mio padre mi ha detto: vieni qui, finché non finisce. Ma se non hai un conto corrente pieno di soldi, la Francia non ti fa entrare. Per questo i tunisini devono passare da Lampedusa". Majid riparte per Parigi con il Tgv delle 6.35.
Poco più tardi a Ventimiglia una pattuglia di carabinieri ciondola avanti e indietro nell'atrio della stazione. Due poliziotti in divisa fanno scendere dai treni per Nizza alcuni nordafricani senza documenti. Succede anche con il regionale delle 12.47. Non sono cambiati gli ordini. Semplicemente c'è in giro il cameraman di una tv locale. La polizia fa i controlli la mattina. Ma soltanto quando accorrono in visita il sindaco, i funzionari della prefettura, qualche assessore.

Poco dopo l'una decine di tunisini scendono dall'Intercity partito da Milano alle 9.05. Dalle 13.47 altri treni partono ogni ora per la Francia. Il cameraman se n'è andato, le autorità pure. Carabinieri e polizia presidiano il marciapiede al binario 1, proprio dove attendono le carrozze per la Costa Azzurra. E nessun immigrato deve più scendere. La sera, tra i tanti in attesa, si fa avanti un passatore. È un franco-tunisino che vive a Nizza: "Per 150 euro ti porto di là". E la polizia? "Io sono la polizia", dice lui e ride: "Mio fratello fa il poliziotto in Francia. È un viaggio sicuro".

Venerdì 25 marzo.
Aziz dà informazioni ai connazionali appena arrivati. Ma non è una buona fonte. Dice che lui ci ha provato quattro volte. E che per quattro volte è stato riportato dalla polizia francese alla frontiera di Mentone: "Per quattro volte mi è toccato tornare a piedi a Ventimiglia". Più o meno dieci chilometri. Racconta anche di un ragazzo bloccato da un mese e respinto 20 volte. Lo cerca. Non si trova più. Forse la ventunesima gli è andata meglio. Alle quattro del pomeriggio la polizia francese si allontana dal valico di Mentone. Zeid, 35 anni, e due connazionali ne approfittano subito. Passano a piedi sul lungomare. Uno dei tre tiene bene in vista la chiave di una Volkswagen: "L'ho trovata per terra", dice: "Così penseranno che ho parcheggiato qua vicino". Ogni stratagemma è buono. Mentre cammina veloce, Zeid racconta che fa l'imprenditore: "Vado a Marsiglia a trovare mio padre. Vive lì dal '69, lui è più francese che tunisino. Penso però che tornerò. Ho una piccola ditta di trasporti in Tunisia, non mi posso lamentare. Non mi hanno dato il visto, per questo entro in Francia da clandestino".

Quelli bloccati a Ventimiglia si ritrovano al tramonto alla foce del fiume Roja. Lo stesso punto descritto ottant'anni fa dal premio Nobel Salvatore Quasimodo, dove soffia "un vento grave d'ottoni". Ma il loro interesse non è l'intensità del paesaggio. Raccolgono e mangiano molluschi vivi, accompagnandoli con qualche morso di pane. Hanno finito i soldi, è l'unico pasto. "Vorrei tornare", confessa un amico di Aziz: "In Tunisia qualcosa da mangiare te la danno sempre. Qui soltanto l'acqua la trovi gratis. Vorrei tornare ma nessuno sa spiegarmi come fare".

La sera a decine prendiamo il regionale per Cannes delle 19.47. Najib, 32 anni, deve raggiungere a Parigi il figlio di 7 anni e la compagna che non vede da quando un anno fa è stato espulso. Suo cugino Faysal, poco più di vent'anni, è uno smanettone di Facebook. Alle 20.05 di lunedì 14 marzo scrive da un Internet point di Roma il messaggio che i suoi 169 amici aspettavano ansiosi da giorni: "Faysal in Italy". Il terzo è un loro amico. I poliziotti ci scrutano attraverso i finestrini. La capostazione fischia la partenza. Un graduato della polizia ferma il treno già in movimento. I tunisini si guardano intorno spaventati. Salgono due agenti. Ma subito si capisce che il problema non sono i clandestini. Chiedono i documenti al fotografo de "l'Espresso" che ci sta seguendo da un'altra carrozza. Poco dopo si riparte. Alla stazione di Mentone appare sul marciapiede lo sguardo di un agente della polizia francese. Najib si fa piccolo sul sedile per nascondersi. Avranno la stessa età e a tutti e due scappa un sorriso. Il poliziotto con l'indice sulle labbra fa capire che non avvertirà i colleghi. Il treno richiude le porte. "Siamo in Francia?", chiede Najib a una passeggera. "Siamo in Francia", ripete a suo cugino Faysal, "il cuore mi batte forte". Un'ora e mezzo più tardi scendiamo nella capitale del cinema. "Welcome", benvenuti, è scritto su un cartello di Cannes. Ma è solo un modo di dire. Prima di uscire dalla stazione, ci si nasconde a lungo nella sala d'attesa. "Noi cerchiamo un bus per Marsiglia", dice Najib. E spariscono come fantasmi.

Sabato 26 marzo.
I bagni della stazione di Ventimiglia restano finalmente aperti anche la notte. Fa più freddo del solito e i macchinisti hanno parcheggiato un treno con le porte spalancate. Qualcuno ne ha approfittato per salire a dormire. Polizia, carabinieri, personale delle Ferrovie stanno affrontando l'emergenza con umanità. Ora i tunisini scappano anche dal nuovo centro di Mineo, in provincia di Catania. Dagli Intercity Milano-Genova-Ventimiglia ne scendono i primi cento. E troppi ne salgono sul regionale delle 13.47. I poliziotti italiani ci lasciano partire. Ma è sabato, la Costa Azzurra è piena di turisti. Alle 14.36 il treno si ferma a Nice Ville.

Un colpo d'occhio basta per vedere gendarmi e agenti ovunque. In mezzo alla folla, vicino alle uscite, davanti ai sottopassi. "Signore, per favore, documenti", la mano forte di un gendarme stringe il braccio di un ragazzo che fa finta di non sentire. L'ha tradito il volto arabo. Finiamo in un angolo. Il brigadiere, il più alto in grado, chiede a un poliziotto cosa deve fare ora che ne ha presi quattro: "Siamo il gruppo di rinforzo appena arrivato in città", si presenta. Ci portano nell'ufficio di polizia in stazione. Perquisizione di zaini, tasche, mutande, scarpe, calze. Due tunisini ci osservano dal vetro blindato di una camera di sicurezza. "Dammi il polso sinistro", dice un ventenne in divisa. Click e l'acciaio si stringe sulla pelle. Un graduato della polizia protesta: "Questi qua li dovevano fermare a Mentone. Cosa stanno facendo al confine?". Ci scortano ammanettati a due a due. Saliamo su un furgone bianco. Quattro stranieri, quattro gendarmi di guardia e un poliziotto al volante. Loro parlano del caos in Italia e delle misure di Sarkozy. Qui dietro il silenzio è totale. Il centro di detenzione per immigrati nella Caserne d'Auvare, a Nizza Est, è un solido cubo di cemento e finestre blindate. Dentro un ufficio ci chiedono nomi e nazionalità. Ahmed, jeans e giubbotto in finta pelle, viene da Medenine, una delle ultime città prima del confine libico. "Ora la prefettura vi darà il foglio di espulsione", lo avverte una ragazza in borghese: "Di solito vi riportiamo al confine con l'Italia, da dove siete venuti. Ma oggi è sabato e tra qualche ora sarete liberi. Entro sette giorni però dovrete lasciare la Francia. Se vi riprendono, centro di detenzione e rimpatrio in Tunisia. Chiaro?". Un poliziotto spiega ai gendarmi che il consolato tunisino collabora e in 17 giorni i fermati vengono di solito rimpatriati. La porta resta aperta.

La vignetta appesa in corridoio è delicata come un pugno. Gioca sul significato di sans-papier, clandestino, e papier, carta igienica. "Aiutare un sans-papier è un delitto", sostiene il titolo. "Cara, non ho la carta", grida il marito chiuso nel bagno. "Fottiti", gli dice lei con un'espressione che suona anche come "fattela addosso". Se i tunisini avessero risposto così ai 150 mila lavoratori di tutto il mondo arrivati stremati dalla Libia, oggi conteremmo migliaia di morti.

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