«Sono stato testimone degli omicidi, delle torture, delle violenze compiute da Almasri e dalla sua milizia salafita Al Rada all’interno della prigione di Mitiga, dove sono stato rinchiuso dal 28 ottobre del 2017 al dicembre del 2019. Ciò che ho visto l’ho detto alla Corte penale internazionale nel giugno del 2023 per un’indagine ancora in corso». Parla così “Il pirata” Giulio Lolli, attraverso una serie di lettere spedite dal carcere di Bologna a L’Espresso. Già imprenditore nautico, arrestato in Libia ed estradato dopo 25 mesi, Lolli è ora un «detenuto modello» alla Dozza, come scrive di lui un agente penitenziario. Sta scontando condanne per associazione per delinquere, traffico d’armi e bancarotta, mentre nel 2023 è stato assolto dall’accusa di terrorismo internazionale. La sua testimonianza su Almasri, sulle torture, ma soprattutto sui suoi traffici con l’intelligence italiana, si inserisce nel pieno della bufera sul governo Meloni per il rimpatrio con volo di Stato del torturatore ricercato dalla Cpi. «Nel carcere salafita di Mitiga sono stato interrogato, ammanettato e bendato, anche per 14 ore consecutive al giorno, mentre alti ufficiali libici mi chiedevano informazioni su cosa sapessi circa gli accordi tra la milizia Al Rada e agenti segreti italiani, tra l’Aise e le forze del generale Haftar. Ai giudici della Corte penale ho riferito di pagamenti e di accordi tra agenti Aise e miliziani, alcuni dei quali legati all’Isis, con la guardia costiera Brigata 48 di Dabbashi e con Al Rada».
Ma chi è Lolli, perché era finito in Libia e soprattutto perché gli uomini di Almasri sospettavano che sapesse dei loro indicibili accordi con i nostri 007 di cui ha riferito agli investigatori de L’Aja? Fuggito dall’Italia per sottrarsi alle conseguenze giudiziarie del crac della sua società, la Rimini Yacht, Lolli è andato in Libia, ha lavorato per le Fssm, le Forze speciali di sicurezza e supporto della Marina libica, operanti all’interno del porto di Tripoli sotto il controllo del ministero dell’Interno del governo di pacificazione nazionale di al Sarraj. E, stando al suo racconto, è per questo che è finito sacrificato, con lo zampino dei nostro servizi, dentro una trama da spy story internazionale, nel pieno delle divisioni seguite alla seconda guerra civile del Paese. Per Lolli sta tutta lì la sua nuova vicenda giudiziaria apertasi con l’arresto nel 2017, pochi mesi dopo la firma del protocollo italo-libico. Dopo l’estradizione, la procura di Roma, sulla base delle indagini dei Ros dei carabinieri, gli ha contestato di essere il promotore «in concorso con altri rimasti ignoti, dell’associazione terroristica denominata Majlis Shura Thuwar Bengasi, mettendo a disposizione due barche, Mephisto e Leon, destinandole al traffico di armi». Per la difesa di Lolli, si è trattato di una montatura, poggiata su atti sommari relativi a due ispezioni operate dagli equipaggi di una nave francese e di una tedesca, facenti parte della missione di sicurezza marittima Sophia di EunavForMed, al comando dell’ammiraglio Enrico Credendino. Di quelle ispezioni, come ha ribadito la difesa di Lolli, non è stato possibile sapere altro, perché i comandanti delle navi non sono stati mai identificati, né si hanno tracce di verbali di sequestro delle armi», ribadisce l’avvocata di Lolli, Claudia Serafini.
«In Libia – racconta il legale – era diventato un eroe nazionale, le Fssm avevano compiti di anti-terrorismo, contrasto al contrabbando e al traffico di droga e di migranti e collaboravano con la Mezzaluna Rossa e organizzazioni internazionali come Unhcr e Oim. Ci sono decine di foto di Giulio Lolli che testimoniano le sue attività umanitarie al porto di Tripoli». Nella vita di Lolli il gennaio del 2017 segna la svolta. In quei giorni il comandante delle Fssm Taha Mohammed Almusrat, presenta ad al Sarraj il piano dell’operazione anti-naufragi denominata Manta, per la quale chiede al governo finanziamenti per la fornitura di imbarcazioni veloci, ma anche di medicinali e materiale di primo soccorso per i salvataggi dei migranti. A febbraio i soldi arrivano dall’Italia con la firma del Memorandum del governo Gentiloni. Il quadro cambia rapidamente e a ottobre Lolli da «eroe» finisce additato come terrorista e arrestato. Scrollatosi di dosso l’accusa di terrorismo per la quale l’ex imprenditore ha scontato due anni di carcere in Libia e tre in Italia in regime di alta sicurezza, Lolli respinge anche il coinvolgimento nel traffico di armi dal momento che la stessa corte non esclude che potesse trattarsi di forniture «destinate, quanto meno indirettamente, proprio al governo libico in carica». Del resto, anche il profilo tracciato dalla nostra Aise che lo aveva descritto come «collaboratore della pericolosa organizzazione Daesh» che avrebbe «portato 200 jihadisti in Italia travestiti da immigrati, e trasportato illegalmente soldi e armi non convenzionali, nucleari, batteriologiche e chimiche», è stato poi smentito dai giudici del processo d’Appello. I magistrati gli hanno riconosciuto, al contrario, di aver «partecipato in modo attivo alla lotta alle organizzazioni terroristiche nella città di Sirte, lavorando a favore delle famiglie libiche in base alle istruzioni del Supporto marino del ministero dell’Interno».