Ecco cosa conviene studiare e dove. Guida per neodiplomati alla scelta della facoltà

Un'Italia che invecchia, ripiegata su stessa a leccarsi le ferite; persino tentata da un ritorno alla terra. Impegnata per lo più a rincorrere la modernità dispiegata altrove, ingabbiata, invece, quando si tratta di produrre innovazioni nei settori trainanti dell'hi-tech. Questo racconta l'analisi dei giovani che trovano lavoro oggi; dopo il biennio orribile 2008-2009 che ha visto una forte contrazione del mercato dei laureati, i trend ritornano positivi, leggermente, e il Paese chiede ragazzi qualificati, per soddisfare le esigenze di un mondo, però, in gran parte ingessato.

Servono innanzitutto i professionisti della sanità per l'Italia over 60, ma non solo perché il culto del corpo non ha età: piena occupazione ovunque per infermieri, fisioterapisti, educatori fisici e persino podologi. E per i medici che, nonostante blocchi del turn over e tagli alla sanità, non si trovano, per colpa di un grottesco paradosso: chissà come e chissà perché, col numero chiuso, sono stati arruolati nelle facoltà di medicina meno aspiranti dottori di quelli di cui c'è bisogno e, soprattutto, ci sarà bisogno nel giro di qualche anno.

E servono esperti di informatica: ingegneri, ma anche softwaristi e tecnici perché il Paese ha capito che stiamo scontando un ritardo difficilmente colmabile in un mondo in cui tutto corre ad alta velocità; e tutti, dalla pubblica amministrazione alle imprese, si affannano a mettersi al passo.

Così si spiega la straordinaria richiesta di scienziati nel Paese che ha voltato le spalle alla scienza ormai da decenni. E anche la parabola di agronomi e biotecnologi racconta la stessa storia: l'agricoltura chiede, un po' a sorpresa, i primi e lascia al passo i secondi.

E gli altri? Il Paese è un puzzle. Con picchi di eccellenza e occupazione che convivono, a distanza di pochi chilometri, con situazioni di grandi difficoltà. "Rispondiamo alle esigenze che ci sono, e decolla a fatica l'Italia che guarda alle nuove tecnologie, della green economy soprattutto", annota Andrea Cammelli, presidente del consorzio Alma Laurea che raccoglie 64 atenei e monitora i livelli di occupazione dei laureati: "Ma è impossibile rappresentare una media italiana perché c'è un'enorme variabilità non solo tra ateneo e ateneo nella stessa area geografica, ma anche tra corso di laurea e corso di laurea". Insomma, il destino di giuristi e biologi, ingegneri e filosofi, chimici e linguisti dipende largamente, oltre che dalla determinazione del ragazzo, dal corso di laurea che la sorte gli ha riservato.

Serendipity, allora. Ma, sapendo che, come indicano i dati Ocse, nell'intero arco della vita lavorativa la laurea premia, per un giovane che si iscrive oggi all'università è necessario capire cosa studiare e dove. Perché se è vero che, come affermano tutti i professionisti della formazione, per riuscire nel mondo del lavoro bisogna innanzitutto seguire la propria vocazione, è anche vero che nel puzzle Italia, conviene andare a vedere bene dove iscriversi e in cosa specializzarsi.

E la scelta non è facile: nelle tabelle che pubblichiamo qui diamo conto del tasso di occupazione e dello stipendio a un anno dalla laurea di diversi gruppi disciplinari. Per elaborarle abbiamo usato i dati ricavati da interviste ai laureati un anno dopo il conseguimento del diploma effettuate dal consorzio AlmaLaurea, dal Cilea, che raccoglie otto università lombarde, dalla Bocconi e dal Politecnico di Milano, dalla Luiss e dall'Università Cattolica. Indichiamo soltanto le università che si piazzano nei primi dieci posti, ma non nello spirito di compilare delle classifiche. Impossibili: innanzitutto perché consorzi e atenei raccolgono i dati diversamente e, ammoniscono gli statistici, guai a mettere insieme le pere con le mele. Poi, è ovvio che a determinare la condizione occupazionale dei laureati siano, in primo luogo, il territorio e la sua dinamicità economica.


Insomma, per quanto bravi possano essere professori e programmatori didattici della Federico II di Napoli, l'occupabilità di un laureato campano non può essere paragonata a quella di un varesotto.
Ma resta che l'offerta didattica e la qualità del corpo docente svolgono un ruolo importante e i dati statistici ne danno conto. Perché ciò che i professionisti della formazione sanno bene è che ci sono degli indicatori precisi capaci di misurare il polso di quanto l'ateneo sia impegnato per produrre occupati e non laureati a spasso: il rapporto con le imprese e quindi il numero degli stage proposti agli studenti, le relazioni internazionali e dunque la quantità e qualità di Erasmus e corsi all'estero offerti, la capacità di attrarre un corpo docente di qualità riconosciuta nel mondo e di fare ricerca scientifica di alto livello. Chi può vantare questi requisiti ha più probabilità di insegnare a essere professionisti appetibili per il mondo del lavoro.

IN POLE POSITION
Uno spaccato indicativo di come si muove il mondo del lavoro ce lo dà la banca dati dei curricula raccolti da AlmaLaurea: oltre un milione e mezzo di profili che le aziende possono consultare quando cercano un professionista. Andare a vedere le esigenze delle aziende dà una buona idea dei trend del mercato. E, oggi, un dato colpisce, quello relativo alle richieste nel campo scientifico: più 340 per cento rispetto al 2008.
Viene da chiedersi come mai, visto che la scienza è la Cenerentola d'Italia. "Le classi di laurea più rappresentate in questo gruppo sono informatica, scienze e tecnologie informatiche e matematica", spiega Francesca Ralli, responsabile marketing di AlmaLaurea.

Un dato che fa il paio con la classifica degli ingegneri più richiesti: gestionali, dell'informazione, informatici ed elettronici. Uno stuolo di esperti di informatica a diversi livelli pronti a fornire servizi avanzati e tecnologici alle aziende. E infatti, dopo quelle di carattere sanitario, sono proprio le aziende di servizi che hanno più bisogno di laureati, come conferma l'indagine Excelsior condotta da Unioncamere e dal ministero del Lavoro che rileva una cronica carenza di sviluppatori di software: 2.310 richieste di cui il 41,6 per cento inevase, specialmente in Lombardia.

Perché certo va dimenticata l'idea dello scienziato stravagante, chiuso nel suo laboratorio o impegnato a insegnare a studenti recalcitranti le basi della fisica e della matematica.

I laureati del gruppo scientifico sono professionisti coi piedi ben piantati per terra e hanno davanti a loro un ventaglio di possibilità di lavoro piuttosto ampio: "Ci sono moltissime professioni che un laureato in fisica può intraprendere grazie alla natura di questa laurea, che forma al problem solving e alla capacità di formulare domande e trovare risposte", spiega Simonetta Croci, esperta della Società italiana di fisica, che lavora all'Università di Parma presso il Dipartimento di Sanità Pubblica, sezione di fisica. Quindi, oltre all'informatica in senso stretto, occupazione nel settore bancario e finanziario per quel che riguarda l'analisi di dati e flussi, nel campo sanitario per la gestione dei macchinari di radioterapia, radiologia e in generale di imaging. E poi c'è la libera professione: consulenti nel campo della certificazione energetica, o della misura del rumore o delle vibrazione o dei campi elettromagnetici.

CHI CERCA NON TROVA

Essere versatili nello stagno-Italia può fare davvero la differenza. Perché questo può permettere di aggirare la vera difficoltà che scompagina il mercato del lavoro dei laureati: in Italia chi cerca laureati troppo spesso non entra in contatto con chi cerca lavoro. Le aziende hanno in mente profili professionali precisi e faticano a trovare giovani che vi rispondano. Come indica anche l'indagine Unioncamere che ogni anno chiede agli imprenditori quali laureati pensano di assumere: le rilevazioni fatte nel 2010 (le ultime disponibili) parlano di 68.800 nuove assunzioni previste. "Ma le aziende denunciano una particolare difficoltà a reperire il personale di cui hanno bisogno a causa del ridotto numero di candidati", si legge nel rapporto dell'associazione. Un divario fra richieste e profili professionali adeguati che si fa sentire particolarmente nei settori ad alta qualificazione e tra le professioni intellettuali, scientifiche e ad elevata specializzazione. Tra i profili high skill per i quali le imprese segnalano difficoltà di reperimento, ad esempio, la prima posizione è riservata agli addetti al marketing: 1.300 quelli richiesti, la metà dei quali "introvabili", particolarmente in Toscana.

Insomma, da una parte le università che laureano migliaia di giovani, dall'altro le imprese che non trovano personale ad alta qualificazione. Perché? "Domanda e offerta faticano a incontrarsi per carenza di informazione. C'è una grande segmentazione", spiega Cammelli: "Le imprese si rivolgono alle università del territorio. In Lombardia, per esempio, le imprese faticano a trovare ingegneri, ma il sistema degli atenei lombardi laurea circa 9 mila ingegneri l'anno, il Paese ne sforna 29 mila. E le nostre rilevazioni indicano che la grande maggioranza dei giovani è dispostissima a spostarsi per un buon lavoro; solamente il 4 per cento di loro dichiara di non prendere in esame offerte di lavoro lontano da casa. Ma le imprese reclutano solo a livello locale e così sono costrette a trattare con ragazzi che hanno esigenze più elevate. Mentre potrebbero pescare in un bacino più ampio, magari trovare candidati migliori ed essere più soddisfatte".

I contraccolpi di questo sistema strabico non sono sfuggiti ai ministri Mariastella Gelmini e Maurizio Sacconi che, con il progetto Italia 2000 hanno imposto alle università di pubblicare su siti Internet i curricula dei laureati con il chiaro intento di metterli a disposizione delle imprese. Ma gli atenei, per lo più, fanno una gran fatica a informatizzare i laureati e c'è un requisito che rende il tutto molto farraginoso: i curricula sono anonimi, quindi le imprese interessate devono mettersi in contatto con la burocrazia universitaria per avere i nominativi e solo in un secondo tempo arrivano ai candidati.
Ovvio che l'intento è giusto, ma il sistema non funziona e va perfezionato. E anche in fretta se si vuole cogliere il lieve trend che sembra archiviare il biennio horribilis. Perché l'impressione è che il peggio sia ormai alle spalle. E sembra dimostrarlo anche il fatto che nei primi mesi del 2011 i curricula della banca dati Alma presi in esame dalle aziende sono aumentati del 34 per cento rispetto al 2009. Ma la ripresa non è per tutti e, andando a vedere l'occupazione reale, le cose non sono andate bene per niente per i ragazzi che avevano scelto i corsi di laurea economico-statistici e politico-sociali, e a sorpresa anche le ingegnerie: la riduzione del tasso di occupazione per questi ragazzi oscilla tra i 4 e i 5 punti percentuali.

INGEGNERI IN CRISI
La situazione professionale degli ingegneri fotografa chiaramente un'amara realtà: da un lato le imprese sembra ne abbiano grande bisogno, lo indica l'indagine Unioncamere e lo indica il fatto che rispetto al 2008 i curricula di ingegneri richiesti alla banca dati Alma sono cresciuti del 118 per cento. Ma i laureati faticano a trovare un posto: soltanto il 65,1 è occupato a un anno della laurea, con la piena occupazione riservata ai professionisti dell'elettronica, dell'informatica e delle reti. Colpa del ritardo italiano nell'innovazione, in particolare nei settori dell'energia, della progettazione ecosostenibile e dell'hi-tech di consumo.
Non solo: chi trova lavoro è poco remunerato. "In alcune aree del Paese sono pagati anche 6-7 euro l'ora", sottolinea Giovanni Rolando, presidente del Consiglio nazionale ingegneri: "Il mondo della libera professione è in profonda crisi e di contro quello dei lavori pubblici è sempre più ristretto: il lavoro si è ridotto a un decimo negli ultimi 20 anni, mentre i professionisti sono raddoppiati".

Ma a pesare è la disomogeneità territoriale: tutti i laureati del Politecnico di Torino vengono assorbiti dalle imprese padane (Veneto, Piemonte e Lombardia), mentre nella sola Cosenza ci sono 5 mila ingegneri liberi professionisti.
Ecco allora che anche il laureato più "quadrato" deve scoprire la versatilità. Ad esempio, spiega Rolando, "puntando su quei corsi che creano figure ad hoc per il territorio in cui si trova l'università". A Torino c'è Ingegneria dell'automobile che ha rappresentato sino a oggi un bacino importante per le aziende del settore, e a Roma, grazie a un accordo tra l'università La Sapienza e il Corpo nazionale dei Vigili del fuoco, è nato il corso magistrale di Ingegneria della sicurezza che si occupa di sicurezza antincendio.

RITORNO ALLA TERRA
La crisi della professione ingegneristica trova senz'altro una ragion d'essere nella difficoltà di far incontrare all'impresa che lo cerca il candidato giusto, ma a farvi da sfondo è un'Italia che non si presenta sul mercato delle nuove tecnologie e della green economy. La stessa Italia che ha sfornato decine di biotecnologi e oggi guarda con nostalgia all'agronomo conoscitore della terra madre. Perché di certo un posto d'onore fra le professioni scientifiche del futuro ce l'avrebbero i biotecnologi, che in Italia ancora non sono riconosciuti come professionisti. "L'entusiasmo che ha portato alla fioritura di oltre 50 corsi di laurea in Biotecnologie non è mai stato seguito dal riconoscimento professionale", spiega Simone Maccaferri, presidente dell'Associazione italiana biotecnologi. E questo è lo specchio della diffidenza con cui il Paese guarda a questa professione del futuro. Con un'incongruenza: il biotech è il grande trend del mercato farmaceutico e l'Italia non può che adeguarsi, ma di farne la colonna dei processi di produzione agricoli neanche a parlarne.

Le aziende interessate all'acquisizione di biotecnologi nel proprio organico sono infatti le aziende biotech, 375 oggi in Italia, per lo più piccole e medie imprese biomediche e farmaceutiche. Con un dato positivo: sono settori in crescita anche le biotecnologie applicate al risanamento ambientale e ai processi industriali. E in campagna?
A sorpresa, i dati 2010 raccontano che c'è bisogno di agronomi. "Finora si è pensato alla pianificazione urbanistica, ora è il momento di pensare alla campagna. E l'agronomo è la figura professionale più competente per la pianificazione rurale", commenta Andrea Sisti, presidente del Conaf (Consiglio dell'ordine nazionale dei dottori agronomi e dei dottori forestali) e trova riscontro nei dati sull'occupazione di questi laureati: il 58,4 per cento trova lavoro a un anno dalla laurea. E i ragazzi l'hanno colto, tanto che gli iscritti alle facoltà sono aumentati del 25 per cento, con un trend che è cominciato 2-3 anni fa. A trainare il settore sono la professionalizzazione dell'agricoltura, il boom delle coltivazioni biologiche e la nuova politica agricola comunitaria, che spinge verso la compatibilità ambientale e l'attenzione al contesto rurale. "Senza dimenticare la riqualificazione ambientale", aggiunge Sisti.

LE MOSSE VINCENTI
Guardare al futuro, ad esempio credere nella green economy. Ma anche specializzarsi, acquisire competenze, non spaventarsi della gavetta. Le parole d'ordine per riuscire a trovare lavoro sono queste.
A partire dallo stage. Un investimento in termini di tempo e di denaro che sembra però ripagare. Già dopo un anno dal conseguimento del titolo chi ha fatto uno stage durante gli anni di università lavora di più: il 58 per cento contro il 52 di quelli che non hanno fatto esperienza nelle aziende. Ancor meglio funziona lo stage dopo la laurea: il tasso di occupazione sale al 65 per cento contro il 58 di chi non ha fatto questo tipo di esperienza.

Peccato che, come evidenzia l'ultimo rapporto del Comitato nazionale di valutazione del sistema universitario, lo stage o tirocinio curriculare sia stato attivato solo per il 25,3 per cento degli studenti che potrebbero accedervi. Un dato peraltro in crescita rispetto agli anni precedenti, soprattutto nei piccoli atenei del Nord e in quelli medio-grandi del Centro, ma di certo non è soddisfacente e indica che la maggior parte degli atenei non ha capito qual è la strada maestra per trovare lavoro agli studenti. Anche se c'è chi vincola i propri iscritti a svolgere un periodo in azienda: è la Bocconi, dove se non hai fatto lo stage non ti puoi laureare. E a giudicare dai dati di placement dei ragazzi che escono dall'ateneo milanese la cura funziona.

hanno collaborato Tiziana Moriconi e Caterina Visco

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