Nella crisi più nera della tv pubblica, è una follia continuare a fare programmi su scala industriale. Bisognerebbe raccontare il cambiamento. Ma nei corridoi di viale Mazzini vale più obbedire che essere competenti. La diagnosi spietata di Carlo Freccero

"Siamo nella crisi più nera. Alla fine di un regime, quello berlusconiano, in cui fare ancora programmi come il "Grande Fratello" è una follia". Così Carlo Freccero, 64 anni, autore televisivo e professore di comunicazione, innovatore della tv in Italia: da "Macao" di Gianni Boncompagni al "Satyricon" di Daniele Luttazzi al "Raggio Verde" di Michele Santoro, fino alla direzione di Rai 4, primo canale digitale della tivù pubblica, dove oggi gli negano il budget, censurandolo a tutti gli effetti.

Freccero, come sta oggi la nostra tv?
"Male. Continuare a fare una televisione su scala industriale, in studio, con format astorici, fuori da ogni collocazione sociologica, come sta facendo Endemol con il "Grande Fratello", è un modello perdente. Bisogna raccontare il cambiamento. Certo, non esiste una tivù ideale".

Mediaset racconta il cambiamento?
"C'è ancora qualcuno che pensa di essere il custode assoluto della Televisione, ma con Internet è impossibile. Mediaset agli esordi ha saputo raccontare lo spirito del tempo, rappresentando la transizione dal sociale al privato. Era la tivù del "vietato vietare". Oggi la gente ha voglia di informazione, ma a Mediaset si cerca di espellerla, filtrandola".

E in Rai?
"La Rai la stuprano tutti. E lì quel che viene prima di tutto è l'obbedienza, non la competenza. Hanno lasciato che andasse via Michele Santoro: un danno incalcolabile".

L'informazione lascia spazi vuoti. A favore di chi?
"Dell'infotainment: pensi agli share di tutto riguardo di "Quarto Grado" di Salvo Sottile su Rete 4 e "Kalispera" di Alfonso Signorini su Canale 5. Quindi, sì ai processi di Avetrana, ad Amanda Knox e alle vicende di Ruby Rubacuori. Ovviamente no ai processi del premier. Poi ci sono gli ottimi "Striscia la Notizia" e "Le Iene". Anche loro però sono come trattenuti, teleguidati".

E che fine farà ciò che, in termini di marketing, ha avuto più successo negli ultimi anni?
"I talent show funzionano ancora perché raccontano una storia, tornano allo spirito del tempo. Il "Grande Fratello", pur avendo sancito dieci anni fa il trionfo del privato sul sociale, oggi rappresenta l'afasia di Mediaset nel raccontare la complessità del reale. Il "Grande Fratello" è un successo che si vergogna di esserlo. Un risultato forse ancora produttivo in termini di numeri, ma che dimostra l'arretratezza dell'azienda. Soprattutto quando nello stesso giorno di programmazione, il lunedì sera, si incontra un programma come "Vieni via con me" di Fabio Fazio e Roberto Saviano".

Come valuta la dichiarazione di Pier Silvio Berlusconi sull'interessamento di Mediaset per Giovanni Floris e Ballarò?
"Forse questa boutade spiega l'imbarazzo che c'è in azienda e come coloro che vi lavorano siano probabilmente consapevoli di non "produrre senso". Solo Berlusconi padre ancora non se n'è reso conto e in questo senso è fuori dal grande cambiamento in corso tra tivù e web. Berlusconi è analogico".