Uno dei tre lavoratori licenziati dalla Fiat (e poi reintegrati dal giudice) ha registrato le telefonate, gli incontri e gli sms ricevuti. Per testimoniare un clima aziendale non proprio edificante, visto che si parla anche di 'pulizia etnica'

"Nella mia vita ho fatto di tutto e questa volta ho fatto anche l'investigatore. Perché non mi interessava più solamente il lavoro (anche se importantissimo): dovevo difendere la mia dignità di uomo. E poi dovevo difendere la Fiom che mai ha sabotato e dimostrare che gli uomini e le donne della Fiom non sono terroristi che sputano nel piatto dove mangiano. Da lì sono partite le mie indagini. Non me ne vergogno. Ho registrato coloro i quali venivano a dirmi certe cose".

Giovanni Barozzino, uno dei tre operai licenziati un anno fa alla Fiat di Melfi, racconta così nel suo libro ("Ci volevano con la terza media", Editori Riuniti) quando decise di inventarsi detective. Registra i suoi incontri e le sue telefonate, annota, cataloga. File che, spera, possano tornargli utili nel processo.

Ma che, intanto, raccontano di atteggiamenti ambigui di delegati sindacali che firmano documenti e poi si smentiscono in Tribunale, di "influenze esterne di persone che ti possono chiamare" per raccontare un'altra verità, del clima di sospetto e di scontro che si respira nello stabilimento lucano della Fiat. Registrazioni che 'l'Espresso' è in grado di riproporvi, senza filtri, così come descritte nel libro e agli atti processuali.

C'è il rappresentante sindacale di una sigla opposta a quella di Barozzino (che a Melfi è rappresentante Fiom) che racconta di come "quella notte ci hanno chiamati a noi e ci hanno detto: allontanatevi, allontanatevi da lì". Si ipotizza, insomma, una premeditazione dietro quella contestazione di "sabotaggio" avanzata a Barozzino e a suoi compagni - Antonio Lamorte e Marco Pignatelli - la notte tra il 13 e il 14 luglio 2010 e il successivo licenziamento che un mese dopo il Tribunale di Melfi dichiarerà "sproporzionato e illegittimo".

"Poi", prosegue il racconto intercettato, "ci dicevano: abbiamo iniziato a fare un po' di pulizia etnica". Un sindacalista della Uilm parla del preposto aziendale che quella notte contestò alle tute blu il presunto sabotaggio: "È pericoloso", dice. E poi aggiunge: "Lo pagano ogni volta cinquemila euro per licenziare un cristiano, fa pure le battutine…". Che quel responsabile non fosse tanto tenero con gli operai lo spiegava bene anche un sms ricevuto sul cellulare di Barozzino addirittura due mesi prima del licenziamento. Parole che il delegato sindacale capirà solo dopo quella notte.

Tra le testimonianze raccolte, c'è poi quella del delegato Fismic, che quella notte aveva pure firmato un documento unitario per stigmatizzare l'atteggiamento irrituale del superiore nei confronti delle tute blu che stavano manifestando: "Quello che la Fismic nazionale dice, non è quello che ho sostenuto", racconta: "Se ho firmato un documento, è perché ci sono stati atteggiamenti provocatori che ho sentito con le mie orecchie, non posso dire il contrario".

Ma al processo, la sua versione sarà differente. "È anche merito delle mie "investigazioni" se nessuno ha avuto il coraggio in Tribunale di sostenere che c'è stato sabotaggio", scrive nel suo libro Barozzino. "Anzi", prosegue, "quando sono stati registrati a loro insaputa, tutti si sono spinti in dichiarazioni molto meno filoaziendali, finendo con il dire che quella sera non era successo niente o, peggio, che tutto era stato preparato ai nostri danni. È chiaro che io non ce l'ho con queste persone e anzi provo pena per loro".

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