Marciano compatti nella calle, dietro la guida con l'ombrello impugnato a mo' di gladio, pronta all'arrembaggio. Fanno foto mentre camminano, senza neppure fermarsi perché non c'è tempo: poco più di mezza giornata per vedere Venezia, la città più bella del mondo. Sono arrivati di buon mattino, ripartiranno nel pomeriggio. Compreranno un po' di paccottiglia: una maschera qua, una mini-gondola là. Mangeranno panini e tranci di pizza. Forse, non trovando un cestino delle immondizie nei paraggi, getteranno distrattamente una bottiglia d'acqua vuota in un canale. E alla fine del tour avranno speso in media 16 euro a testa, perché questo dicono le statistiche. Sono i turisti mordi e fuggi: tanti, tantissimi. L'ottanta per cento di quei trenta milioni che nel 2011 hanno visitato Venezia. Un'armata destinata a ingrossare le proprie fila, visto che all'appello mancano ancora il grosso dei cinesi, e gli indiani hanno appena iniziato a fare capolino.
Bisogna fare qualcosa, è il mantra che recitano un po' tutti, periodicamente. Ma quel fiume di gente è anche un fiume di denaro. E il turismo, a Venezia, è il business principale. Sul suo altare, nei decenni passati, si è sacrificato un po' di tutto. Svuotata dei suoi abitanti, delle botteghe storiche, persino dei supermercati, la città d'acqua si avvia secondo alcuni a diventare una sorta di parco tematico. Dove al posto dei residenti, nel frattempo trasferitisi in terraferma (prima solo a Mestre, ora nei paesi della seconda cintura), ci saranno le comparse: un po' come i finti centurioni davanti al Colosseo, solo che i venexiani… reciteranno se stessi.
Catastrofismo fuori luogo? Anni fa, uno studio del Coses sull'impatto del turismo in laguna pronosticava "un numero di visitatori così elevato da non potersi dire, per non scatenare reazioni sociali allarmate". Il Comune ha calcolato prudenzialmente 20 milioni di visitatori all'anno, ma a parte i croceristi (oltre due milioni solo loro), all'appello mancano gli ospiti in nero di affittacamere e bed and breakfast abusivi, nascosti dietro portoni anonimi e campanelli senza nomi. I conti sono presto fatti e portano a una media giornaliera di 83 mila visitatori, che nei periodi di punta – praticamente tutta l'estate – possono diventare140 mila. A loro, tolti i 29 mila veneziani delle altre isole, dal Lido a Murano, vanno aggiunti 59 mila residenti (sempre meno, nel 1980 erano 95.222, 66.386 nel 2000), 4.800 utenti di seconde case, quasi 10.000 studenti (di cui 3.500 dimoranti) e 15.000 pendolari per lavoro, tutti provenienti dalla terraferma.
Una pressione antropica devastante, sulla città più fragile del mondo. Lungo il Canal Grande, ogni giorno si compie un piccolo miracolo quotidiano: vaporetti, taxi acquei, motoscafi, chiatte da trasporto merci (i cosiddetti mototopi), battelli vari e gondole si sfiorano e si incrociano di continuo, riuscendo magicamente ogni volta a scansarsi all'ultimo. In compenso, il moto ondoso generato dall'incessante viavai scava rive e fondamenta, disfacendole poco a poco. Guai a fotografare pontili fuori uso, bricole (i caratteristici pali d'attracco) rotte e marciapiedi ormai consunti: è il retro della cartolina, che non si deve mostrare.
I turisti passano su ponti transennati da tempi immemorabili, guardano distratti palazzi storici che cadono a pezzi e intonaci scrostati (il sale corrode tutto) e tornano a casa felici con la foto-trofeo scattata in piazza San Marco, su una gondola o a Rialto. I veneziani, considerati ricconi un po' snob e spesso burberi, hanno a disposizione tre negozi di frutta e verdura in tutta la città. Fanno la coda alle Poste per comprare un francobollo, visto che gli edicolanti - troppo impegnati a vendere paccottiglia made in Taiwan o Hong Kong – non li tengono più. Spendono interi patrimoni per risanare palazzi che richiedono cure continue. Se si sentono male, devono farsi trasportare in terraferma, perché l'Ospedale a mare (al Lido) è stato venduto e quello civile – ospitato in una vasta area monumentale - è sempre più ridimensionato. Si intruppano nei vaporetti stracolmi, anche perché il battello turistico (Vaporetto dell'arte) creato quest'anno nella speranza di alleggerire la pressione sui mezzi dell'Actv viaggia semivuoto, forse anche perché costa 24 euro. Camminano nelle calli pigiati e spintonati dalle torme di gruppi organizzati che si guardano bene da tenere la destra, come sarebbe buona norma. Tanto che tra le soluzioni creative, qualcuno è arrivato a teorizzare i vicoli a senso unico.
La soluzione più estrema sarebbe un'altra, il numero chiuso. Ipotesi impraticabile, per il Comune. Così come il ticket d'ingresso, schiaffo giuridico alla libera circolazione. E allora? C'è chi vorrebbe lavorare sulla "gestione dei flussi", ma ormai la differenza tra alta e bassa stagione si è così assottigliata da rendere inattuabile il proposito. Altra idea: visto che la grandissima maggioranza di turisti occupa militarmente una fetta ben delimitata del centro storico, bisognerebbe ampliarne il raggio d'azione, coinvolgendo i "campi" (le piazze veneziane) e le calli attorno alla prima cintura. Ma anche questa ipotesi sembra campata per aria: puoi proporre una Venezia diversa a una ristretta élite di turisti acculturati, non ai gruppi che restano in città mezza giornata. La proposta meno avversata è quella di un sistema di prenotazioni incentivate: city-card, sistemi taglia-code, sconti nei musei. Per Jan van der Borg, docente di economia del turismo a Ca' Foscari, ci vorrebbero almeno dieci milioni di ospiti in meno, per riportare la situazione sotto controllo: è la cosiddetta "carrying capacity", ovvero la dimensione fisica, economica e sociale entro la quale bisogna restare per evitare che il giocattolo si rompa. Di certo, Venezia non si fa mancare niente: la Biennale, la mostra del cinema, il Carnevale, l'America's Cup, la Venice Marathon, il Redentore, le grandi mostre. Tra eventi di massa e proposte per palati fini, manca solo il concerto-bis dei Pink Floyd sul palco galleggiante nel bacino di San Marco, che nel 1989 ammaliò mezzo mondo e scandalizzò l'altra metà.
Nelle enunciazioni teoriche, un po' tutti a Venezia sembrano d'accordo sul fatto che il primo passo sia scoraggiare il turismo mordi e fuggi, quello dei cosiddetti escursionisti. Eppure, ci si muove nella direzione opposta: basti pensare alla tassa di soggiorno (un euro al giorno a persona per ogni stella e per un massimo di cinque notti consecutive) che colpisce quel misero 20 per cento di turisti pernottanti, 134 euro di spesa media giornaliera secondo uno studio dell'università. E i "visitors" giornalieri? Troppi e troppo concentrati. La giunta Orsoni sta ora realizzando un tram che, nelle intenzioni, dovrebbe velocizzare gli spostamenti da e per Venezia, ma che molti abitanti vedono come fumo negli occhi. Per non parlare della madre di tutti i progetti, ovvero la sublagunare: una metro sottomarina che scaraventerebbe direttamente in laguna i turisti appena sbarcati dall'aeroporto Marco Polo situato a Tessera, dove è all'orizzonte una nuova colata di cemento tra alberghi, centri commerciali e un super-casinò. Più la TAV, altro moltiplicatore di accessi rapidissimi sull'isola. "Sulla sublagunare abbiamo un approccio laico, non c'è alcun impegno politico", rassicura l'assessore alla mobilità Ugo Bergamo, che vede invece di buon occhio l'ipotesi di un porto offshore per navi container.
Dal mare, per ora, continuano ad arrivare – anche dopo il naufragio della Costa Concordia al Giglio – duemila grandi navi, bestioni da quattromila passeggeri e 40 mila tonnellate di stazza che fanno l'inchino a San Marco e scaricano in centro altri turisti mordi-e-fuggi che si fermano qualche ora per poi tornare a bordo, visto che i pasti sono compresi nel pacchetto. I pullman Granturismo depositano gli escursionisti a Piazzale Roma, ma per chi arriva in treno la sorpresa è un'altra: la città più bella al mondo ha una stazione – quella di Santa Lucia – che non dispone neppure di una sala d'aspetto. Grandi Stazioni e Benetton aprono bar e negozi, mentre i turisti accaldati si sdraiano sui pavimenti originali Pirelli in gomma datati 1951, guardando perplessi lo squallore così meschinamente contrapposto all'abbagliante bellezza della città sull'acqua.
Una cartolina italiana, insomma.