Un album cruento ma sfocato. Un film senza finale, ma pieno di spine. Il ddl sul testamento biologico è fermo da oltre un anno al Senato, dove è approdato in terza lettura (con mille modifiche) dopo il sì della Camera il 12 luglio 2011 e, ancora prima, il via libera di Palazzo Madama il 26 marzo 2009. Non se ne parla più da un pezzo. Una lenta agonia, alla fine della quale è davvero improbabile (ma sono in molti a gioirne, preferendogli il nulla) che il testo vedrà la luce, diventando legge.
Giace dunque quel ddl paradossalmente placido, tra i faldoni, simbolo tra i più efficaci di un'era forsennata e inconcludente. Dopo essere stato, fra l'altro, miccia del primo furibondo scontro tra Silvio Berlusconi, che voleva un decreto in fretta e furia per «salvare» Eluana, e Giorgio Napolitano, che glielo bloccò; causa di una rissa al Senato; motivo per la prima seria presa di distanza di Gianfranco Fini dal neonato Pdl («È un testo da Stato etico»); nonché occasione per il Cavaliere di pronunciare in conferenza stampa l'infelice «è persona che in ipotesi potrebbe generare un figlio» e per Gaetano Quagliariello di urlare in Aula l'altrettanto appropriata «non è morta, è stata ammazzata».
Quando Eluana morì, pareva in effetti che il programma della maggioranza fosse ridotto ad un unico punto: evitare che il caso potesse ripetersi. «Lavoreremo con tempestività affinché questo sacrificio non sia stato del tutto inutile», disse grave il ministro Sacconi in aula al Senato. Il Pdl riuscì a far approvare a Palazzo Madama il ddl in quarantacinque giorni. Ma poi, fine. Passato l'attimo, vennero fuori mille problematiche di una legge frutto dell'urgenza, del caso concreto, di troppe parole d'ordine («Frenare l'ingerenza dei giudici», per esempio) oltreché degli inconciliabili approcci su vita e morte dei vari schieramenti. Risultato: un testo riscritto mille volte, e alla fine all'unisono pesante e oscuro. Dove, per esempio, le disposizioni scritte su come si vorrà essere trattati in caso di coma e affini sono sì previste, ma poi vengono subordinate - perché considerate meri «orientamenti» - alle decisioni del medico.
Un pasticcio. Tanto che in ultimo, persino il centrista cattolico Rocco Buttiglione, pur votando sì alla legge, sentenziò: «Forse sarebbe stato meglio non farla». E infatti: il Parlamento si è arenato e, come per le unioni civili, la questione sta slittando sulle amministrazioni locali (hanno istituito un registro 96 comuni, da ultimo si appresta a farlo anche la giunta Pisapia a Milano) per mancanza di soluzioni diverse.