L'azienda mette gli operai in cassa integrazione a rotazione. E aumenta i carichi di lavoro per quelli che (a turno) vanno in fabbrica. Così produce le stesse auto spendendo meno per i dipendenti: gli altri li paghiamo noi

Era il 20 dicembre scorso quando i capi della Fiat Sergio Marchionne e John Elkann, al cospetto del premier Monti, presentavano il nuovo piano industriale a Melfi. «Un miliardo di investimenti», dicevano. «Tra gli applausi degli operai», chiosavano i giornali. Poche settimane dopo Fiat annuncia la cassa integrazione straordinaria per due anni, per tutti i 5.500 dipendenti, a partire dall'11 febbraio.

Alla luce di quello che è successo lunedì, la vetrina natalizia con Marchionne e Monti sembra davvero una beffa. Perché il miliardo promesso, fra due anni potrebbe sparire: come sono spariti i 20 miliardi destinati a Fabbrica Italia. E perché abbandonando la produzione della Grande Punto si lascia un'auto 'popolare' per produrre vetture di fascia alta con un mercato diverso: «Si entra in un'area di incertezza in cui potrebbe diventare difficile mantenere gli attuali livelli di produzione», dice il segretario provinciale Fiom di Torino, Federico Bellono.

Ma l'annuncio di lunedì non stupisce: «Qui lo sapevamo tutti», dice Marco Forgione, in catena di montaggio a Melfi. «Si può stupire solo chi si occupa di Fiat in maniera approssimativa, come il presidente Monti», conclude Bellono. E con la riforma Fornero del lavoro, una eventuale cessazione di attività non permetterebbe neanche di richiedere la cassa in deroga.

IL PIANO MELFI.
Nei due anni di vuoto i dipendenti entreranno in cassa a rotazione e le due linee di produzione marceranno a fasi alterne. Questo in vista della ristrutturazione aziendale in cui Fiat, fra due anni, dovrebbe emettere il famoso miliardo di euro per produrre due mini suv: la 500 X e la utility vehicle Jeep. Cisl e Uil esprimono fiducia, i rispettivi segretari Bonanni e Angeletti erano con Marchionne e Monti alla presentazione del Piano Industriale il 20 dicembre. La Fiom, invece, è preoccupata: «I livelli occupazionali sono a rischio», dice il segretario Maurizio Landini. Per Marchionne è tutto normale: «Non capisco qual è il problema», spiega dal salone di Detroit. «La cassa integrazione serve a rimodernare le linee per le nuove produzioni». E sempre da Detroit l'a.d. conferma che nessun impianto italiano chiuderà.

Eppure un problema per i lavoratori c'è: «A guardare i fatti e l'operazione fatta con l'Irisbus e lo stabilimento di Termini Imerese il rischio chiusura, alla fine dei due anni, esiste», spiega Antonio Di Luca: «Oppure un forte ridimensionamento come a Pomigliano».

LE REAZIONI IN FABBRICA.
«L'unica garanzia che ci danno al momento è quella della rotazione nella cassa integrazione», ci dice Giovanni Barozzino, uno dei tre operai licenziati nel luglio 2010 a causa di uno sciopero, e poi reintegrati, oggi candidato Sel. «Oggi ho ricevuto tante telefonate dai colleghi, tra loro un padre di cinque figli che mi chiede se fra due anni la fabbrica chiuderà».

Il piano industriale, sulla carta, non c'è: «Per questo sono molto preoccupato», conclude Barozzino. Marco Forgione ha 31 anni, e un anno fa veniva spostato in un reparto per lui pericoloso, in quanto invalido al 75 per cento. In una registrazione audio pubblicata su 'L'Espresso' on line il 20 febbraio 2012 il caporeparto ammetteva: «Voi avete pagato delle colpe perché appartenete a una sigla sindacale [...] Non è per altri motivi che vi trovate qua».

Il 22 maggio 2012 Marco ha vinto la causa, ed è tornato in catena di montaggio: «Ho rifiutato un posto in ufficio, sono tornato in catena», racconta. «Preferisco così, la mia è stata una battaglia di principio, anche se molti mi hanno detto che ho fatto una fesseria».

Sulla presentazione del Piano Industriale ci dice: «Non è vero hanno applaudito Monti, non gli operai. Vieni a dirmi che sto due anni a casa e vuoi che ti applaudo?».

Marco è molto preoccupato per il blocco della fabbrica, ma, conferma, lo sapevano tutti. Continua a fare il suo lavoro e a lottare per i suoi principi: «Ho provato a far leggere ad alcuni colleghi la Riforma del Lavoro. Ci hanno messo troppo poco per demolire tutto quello che avevamo ottenuto».

LE CONDIZIONI DI LAVORO.
Tra le poche certezze degli operai Fiat c'è quella delle condizioni di lavoro notevolmente peggiorate col partire della cassa integrazione. Ci spiega Edi Lazzi della Fiom: «Sono cambiate le metriche». Cioè? «Hanno tagliato la pause da 40 a 30 minuti, o le tre pause da 15 minuti sono diventate da 10». Continua: «Così finisce che dalla postazione il lavoratore non si sposta proprio».

Poi c'è la questione chiamata 'imbarcamento', ovvero quando un operaio in catena di montaggio ritarda la propria mansione - avvitare, svitare, stringere - e finisce a ridosso della postazione successiva. «Il tetto alla saturazione dell'imbarcamento è stato spostato dall'87 per cento al 99 per cento, per cui non ci si può fermare un secondo. Questa metrica favorisce l'insorgere di malattie professionali».

Per Giovanni Barozzino nello stabilimento di Melfi l'innalzamento del tetto alla saturazione ha portato ogni operaio a lavorare 40 minuti in più al giorno. E alla fine «a Melfi ora si producono 100 vetture in più a turno, 300 in più al giorno al giorno, ed era già nel 2010 uno dei siti automobilistici più produttivi al mondo».

Continua Lazzi: «Questo sistema è sopportabile solo per via delle pause nel lavoro dettate dai giorni in cui si è forzosamente a casa. Questo sistema sembra studiato per funzionare esclusivamente in regime di cassa integrazione».

Ma la cosa peggiore per il sindacalista Fiom è che «non si son peggiorate le condizioni di lavoro in cambio di impegni con date certe. Cisle Uil hanno fimato gli accordi (dopo i referendum, nda) dove era prevista solo la prima parte: il cambiamento delle condizioni di lavoro. La seconda parte, gli impegni, gli investimenti sono sempre stati affidati a comunicati stampa».

Un comunicato stampa, come quello in cui si prometteva un miliardo in investimenti per Melfi.

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