“Scassaminchia”. Giulio Cavalli, attore, scrittore e politico nato a Milano 36 anni fa, è per le mafie del Nord uno “scassaminchia” e per questo andrebbe eliminato.
La conferma è arrivata il 3 agosto, in una videointervista al pentito Luigi Bonaventura, che racconta come le cosche fossero pronte a ucciderlo, simulando un incidente.
Un attentato preparato nei dettagli da affiliati «senza alcun accento» con l'obiettivo di eliminare una volta per tutte quello “scassaminchia” che da anni denuncia e racconta la presenza della mafia in Lombardia. «Caro @giuliocavalli, le tue battaglie sono le nostre battaglie. La tua vita la nostra. Non sei solo e non lo sarai mai» ha scritto su Twitter l'associazione Tilt, legata a Sinistra Ecologia e Libertà, il partito con cui Cavalli si è candidato alle ultime elezioni regionali. Per sostenerlo Tilt ha lanciato #untweetpergiulio, una campagna di solidarietà che ha raccolto, tra gli altri, i messaggi di Umberto Ambrosoli e Pietro Grasso, oltre le dichiarazioni istituzionali di Sonia Alfano e Antonio Ingroia.
Per l'attore le dichiarazioni di Bonaventura non sono però che l'ennesima conferma di un'attenzione che lo tiene sotto scorta, a tempo pieno, dal 27 aprile 2009. Sulla porta d'ingresso del teatro che dirigeva, in provincia di Lodi, spuntò il disegno di una bara. Ennesima minaccia dopo i furti, i messaggi di morte, le ruote tagliate, gli avvertimenti.
Alle cosche non andavano, e non vanno giù, i suoi spettacoli, come “Do ut Des”, dove porta in scena, e ridicolizza, i riti mafiosi, realizzato grazie alla collaborazione con il comune di Lodi e quello di Gela (guidato allora da Rosario Crocetta). Non accettano la sua attenzione nel fare nomi e cognomi, nell'unire i punti e le relazioni, la precisione con cui dal 2008 anima “Radio Mafiopoli”, una trasmissione nata sull'esempio di Radio Aut di Peppino Impastato. Vogliono stroncare la carriera, e la vita, di quel venditore di surgelati, poi materiali elettrici, poi fibra ottica, di Lodi, che ha creduto a tal punto nella sua passione per il teatro d'inchiesta da farlo diventare un lavoro, partendo nel 2007 con 'Kabum!', uno spettacolo sulla Resistenza, e con “Linate 8 ottobre 2001” resoconto dell'incidente aereo costato la vita a 118 persone.
Nonostante la scorta gli spettacoli continuano. E le intimidazioni pure.
Nel 2009 debutta a Napoli “L'Apocalisse rimandata, ovvero benvenuta catastrofe” di Dario Fo e Franca Rame, dove Cavalli sale sul palco come attore. Lo stesso anno realizza con Gianni Barbacetto “A cento passi dal Duomo”, «Una ninna nanna dolce per un risveglio brusco di quella Lombardia che si crede immune dalla mafia» e porta al festival Teatri della Legalità “Nomi, cognomi e infami”, in cui racconta i soprusi della camorra campana. Inizia anche l'attività politica, candidandosi con Italia dei Valori alle Regionali del 2010. In campagna elettorale, porta l'apocalisse di Fo al teatro Oscar di Milano. E ventitré proiettili vengono trovati di fronte all'ingresso della sala.
Cavalli, eletto nel frattempo consigliere regionale, è scomodo. Continua ad esserlo, e per questo viene seguito 24 ore su 24 da due carabinieri armati. La mafia lo combatte coi suoi mezzi. Le minacce, ma anche la delegittimazione.
Come racconta nell'ultima intervista lo stesso Bonaventura, le cosche mettono in campo tutti gli strumenti possibili per isolare l'attore lombardo. Fanno circolare la voce che lui sia la mafia nell'antimafia. Un pallone gonfiato. Un ragazzo troppo pieno di sé.
Cavalli scrive un altro libro, “L'innocenza di Giulio”, 176 pagine di biografia puntuale di Giulio Andreotti e dei suoi trascorsi giudiziari, pubblicato l'anno scorso da Chiarelettere sulla traccia di uno spettacolo teatrale.
E oggi, dopo la sconfitta alle ultime elezioni regionali, continua a nutrire il suo blog e la newsletter di spunti, analisi e riflessioni, che non staccano la presa dall'obiettivo: fare luce sulla presenza delle mafie al Nord. Sul suo sito, dopo le dichiarazioni di Bonaventura, ha ricordato: «Ora ci si mette al lavoro. Aspettiamo di sapere la reazione delle istituzioni. Si continua a raccontare come possiamo. Cerchiamo di unire i puntini. Ostinatamente. Come gli scassaminchia, eh».