«La violenza in una lotta ti porta sempre dalla parte del torto. I reati dei singoli vanno perseguiti, ma non possono essere usati per annullare il valore di una grande protesta pacifica e di massa». Giorgio Airaudo, storico dirigente della Fiom torinese, deputato di Sel, è uno dei pochi politici italiani ad avere tenuto aperto un canale di dialogo con i No Tav. «Vivo alle pendici della Val di Susa, seguo il movimento dal '91. È un fenomeno unico in Italia, che non si può liquidare così».
I No Tav, alla luce degli ultimi sabotaggi, sono più forti o più deboli?
«La forza del movimento è sempre stata suscitare simpatie e diffondere conoscenza. Per cui non è un momento facile. Lo scontro militare, però, è perdente e sbagliato per tutte due le parti. ?Chi pensa di usare la forza, di Stato o antagonista, per risolvere quella che è e rimane una questione di vuoto politico è destinato a perdere».
Il commissario Virano ha tentato una mediazione, però.
«È un uomo intelligente e preparato, ma ?ha fatto degli errori. È arrivato come figura di dialogo, poi ha preso una parte: oggi è lì perché la Tav venga fatta. Come dire che un arbitro comincia a giocare con una delle due squadre. La colpa non è solo sua: la politica ha abdicato al suo ruolo. Lo Stato si è affidato a un commissario e alle forze dell'ordine per quello che la democrazia non ha saputo fare».
La Procura di Torino non esclude che, dentro il movimento, possano crescere comportamenti di matrice "terroristica". Le sembra stia succedendo?
«I reati vanno perseguiti, se ci sono e se ci sono le prove. Qualunque atto di violenza o di sabotaggio è sbagliato. Le controparti non possono mai essere chi lavora in un cantiere o le forze dell'ordine. Detto questo, i comportamenti di singoli non possono prevalere sulle ragioni di una protesta così profonda e partecipata. Con queste istanze lo Stato deve prima di tutto dialogare. Non farlo e poi concentrarsi solo sul tema dell'ordine pubblico, fino a ipotizzare comportamenti eversivi, significa che – se poi non si dimostra vero - c'è qualcosa, anche nello Stato, che non va».