Dopo il carcere, lo sciopero della fame e il ricovero in ospedale psichiatrico Fabrizio Cinquini è ora agli arresti domiciliari. Era stato arrestato per aver coltivato marjuana a scopo terapeutico nel suo giardino
Fabrizio Cinquini tornerà presto a casa. Il medico, 49 anni, era in cella in attesa di giudizio dal 22 luglio scorso. Da quando cioè i carabinieri avevano trovato nel giardino della casa di Pietrasanta 277 piante di cannabis, che coltivava, così ha spiegato in un'intervista esclusiva a l'Espresso, per scopi di ricerca terapeutica.
Dopo un periodo nel carcere sovraffollato di Lucca, uno sciopero della fame durato 16 giorni, un ricovero all'ospedale psichiatrico giudiziario di Montelupo Fiorentino e, dichiarato sano di mente, un trasferimento al carcere di Massa, Cinquini tra pochi giorni potrà riabbracciare moglie e figlia.
Il giudice di Lucca Valeria Marino infatti gli ha accordato gli arresti domiciliari. “Ha ritenuto attenuato il pericolo di reiterazione del reato” spiegano i legali Lorenzo Simonetti e Claudio Miglio. Cinquini sarà trasferito a Forte dei Marmi dalla madre. “Perché lì non ha terreno a disposizione” precisa la difesa.
Il medico specializzato in chirurgia vascolare rischia ancora 20 anni. Ma potrà aspettare la sentenza a casa. Una notizia positiva, considerato che i suoi valori medici sarebbero peggiorati nell'ultimo mese. E non può permetterselo: Cinquini, infatti, è malato di epatite C dal '98, quando contrasse il virus operando in emergenza a bordo dell'ambulanza.
“Punteremo sulla questione del rapporto tra epatite C e coltivazione per uso terapeutico” rivela a l'Espresso l'avvocato Simonetti.
Cinquini, infatti, ha iniziato a interessarsi di canapa per trattare la sua malattia. Dopo 18 mesi di chemio era completamente senza forze e capì che doveva trovare un trattamento diverso. Mise a punto una terapia nutrizionale a base di canapa, aloe e papaia. Ebbe successo: il peso tornò e gli anticorpi salirono. Da allora il medico non ha più smesso di studiare le innumerevoli proprietà terapeutiche della pianta. Ha fondato un'associazione, Cannabis Tipo Forte, organizzato congressi con esperti internazionali e scambiato semi e informazioni con medici, pazienti e ricercatori in tutto il mondo.
Tanti, in questo periodo, gli appelli in sua difesa, sia dal mondo antiproibizionista che da quello culturale e politico. Dal palco del Premio Satira di Forte dei Marmi, dove erano premiati il 15 settembre, i vignettisti Emmanuel e Fabrizio Vegliona hanno gridato: “Cinquini libero!”.
Cinque giorni dopo il consigliere regionale Mauro Romanelli (Sel) ha incontrato il dottore nel carcere a Massa. Il 25 settembre è stata la volta di Enzo Brogi (Pd). Non è un caso: i due politici sono tra i promotori della legge regionale sull'uso medico della cannabis.
Ma l'interesse per Cinquini non conosce colore politico. Nello stesso giorno, infatti, l'on. Lucio Barani, eletto tra le fila del Pdl e oggi nel gruppo Gal (Grandi Autonomie e Libertà), ha sollecitato – applaudito dal MoVimento 5 Stelle - una risposta alla sua interrogazione del 4 settembre, in cui aveva chiesto ai Ministri della Salute e della Giustizia se fossero a conoscenza del caso Cinquini e cosa intendessero fare per superare i problemi di accesso dei pazienti al farmaco canapa.
Farmaco che in Italia è legale da 10 anni ma ancora boicottato. “I medici non prescrivono la cannabis” spiega Fabrizio Dentini, giornalista genovese autore del libro “Canapa medica” (240 pp., 2013, 15 euro, Chinaski Ed.). “Si sentono spacciatori – continua - solo a nominarla. Serve un aggiornamento professionale tramite il loro Ordine”.
Intanto giovedì 3 ottobre si terrà la prossima udienza per il medico di Pietrasanta. Il giudice darà l'incarico a un esperto di calcolare il THC (tetraidrocannabinolo, uno dei principi attivi) presente nelle piante sequestrate. Cinquini ha rinunciato a comparire. I suoi legali potrebbero nominare un perito di parte.
“Libertà di terapia, di ricerca, di culto sembrano oggi in Italia parole prive di un fondamento pragmatico” aveva scritto alcuni giorni fa Cinquini a l'Espresso. Il suo caso, oggi, non è più solo suo. In molti in Italia, pazienti in primis, aspettano con lui la sentenza.