Grosso guaio a Renzitown. Sullo splendido set di Firenze si gira un film dove i protagonisti sono una fresa da scavo chiamata Monna Lisa, l’archistar Norman Foster, l’ex sindaco-star diventato premier, imprese che falliscono e imprese che le sostituiscono con corredo di arresti eccellenti di politici e manager.
La sceneggiatura è talmente già vista sugli schermi da poter essere inserita nei manuali della commedia all’italiana. Non manca nemmeno l’autorità anticorruzione (Anac) con il presidente Raffaele Cantone che all’inizio di settembre ha aggiunto il pasticciaccio fiorentino alla sua lista di istruttorie già parecchio ingombra.
Lo sfondo è quello degli schieramenti contrapposti fra No Tav e Pro Tav anche se la Val di Susa è lontana. Il coinvolgimento della cittadinanza è a bassa intensità e le derive insurrezionaliste non vanno oltre qualche scritta sui muri. I più complottisti arrivano a collegare ai No Tav l’incendio di una sezione del Pd in via Forlanini la notte del 4 settembre. Ma per ora c’è solo evidenza di un confronto civile tra chi invoca la necessità del tunnel con stazione e chi evidenzia i rischi ambientali, lo smaltimento irregolare delle terre di riporto, la mancanza di una valutazione di impatto ambientale, i costi già fuori controllo prima ancora che Monna Lisa si sia addentrata nelle viscere di Firenze.
[[ge:espresso:inchieste:1.173273:article:https://espresso.repubblica.it/inchieste/2014/07/15/news/brennero-la-tav-che-non-fa-rumore-1.173273]]E poi ci sono i soldi per cantare la messa dell’alta velocità, dalla quale Renzitown si è sentita ingiustamente estromessa rispetto, per fare nomi, a Bologna che ha ottenuto la sua brava stazione nel sottosuolo con annesso tunnel di attraversamento. Per smaltire il traffico ad alta velocità - sostengono i no Tav - bastava aggiungere due binari in superficie. Però costava poco, 300-400 milioni al massimo.
Per il progetto in corso, invece, ci sono in ballo 1,6 miliardi secondo le fonti ufficiali. Secondo le cassandre ammaestrate dall’esperienza, bisognerà spendere più del doppio per realizzare il tunnel da 7,5 chilometri e la nuova stazione in parte sotterranea riservati al passaggio dei treni ad alta velocità. Tutto denaro pubblico affidato attraverso Rfi e Italferr (gruppo Fs) al consorzio privato Nodavia per il tunnel e all’associazione fra Ove Arup con Foster & partners per la stazione.
[[ge:espresso:inchieste:1.173273:article:https://espresso.repubblica.it/inchieste/2014/07/15/news/brennero-la-tav-che-non-fa-rumore-1.173273]]In quanto ai tempi, oggi si lavoricchia alla stazione Foster e forse si riprenderà lo scavo del tunnel all’inizio del 2015, dopo che gli esperti del Cnr decideranno se i materiali di risulta sono semplici inerti o, come appare più probabile, rifiuti speciali da smaltire a un costo molto più elevato. Per quella data bisognerà anche avere sostituito o riparato Monna Lisa, una fresa colossale che pare avere risentito dell’esposizione alle intemperie più di un dipinto di Donatello e che era stata presa in leasing dalla Seli, una società romana finita in concordato preventivo.
Da lì in avanti, è buio fitto. E c’è chi rischia del suo per scommettere che non si farà mai. «Non basteranno vent’anni e tre miliardi di euro. Vorrei morire il giorno che il treno ad alta velocità passerà da quei binari», dice con arguzia fiorentina il sessantenne Tiziano Cardosi, esponente del comitato No Tunnel. A vantaggio della longevità di Cardosi ci sono parecchi fattori, a cominciare dalle difficoltà del general contractor.
GARA E ASSETTI SOCIETARI
La gara di appalto per lo snodo Tav di Firenze si è conclusa con la firma della convenzione tra Fs e Nodavia il 28 maggio 2007. Nodavia ha vinto l’appalto presentando un ribasso più consistente, rispetto a quello proposto dalla Baldassini-Tognozzi-Pontello (Btp) di Roberto Bartolomei e Riccardo Fusi. A guardarla secondo schemi politico-sportivi, si può definirla una vittoria casalinga delle imprese edili di centrosinistra (le cosiddette cooperative rosse) contro un’impresa di destra legata al satrapo berlusconiano in Firenze, Denis Verdini, deputato e banchiere del Credito cooperativo fiorentino.
All’interno del consorzio vincitore, il 70 per cento delle quote era in mano alla reggiana Coopsette. Nella partecipazione restante, intestata a Ergon, si trovava un’altra cooperativa della Lega, la fiorentina Coestra, e la Inso del gruppo Condotte, colosso dell’edilizia protagonista nelle maggiori opere pubbliche nazionali (Mose, Salerno-Reggio Calabria, ponte sullo Stretto).
Negli anni successivi alla gara, l’assetto di Nodavia ha risentito sempre di più della recessione. Oggi Coestra è in liquidazione, Coopsette è finita in crisi ed ha annunciato la fusione con Unieco, l’altra coop reggiana dell’edilizia in difficoltà. Anche la stessa Nodavia è stata costretta a chiedere il concordato preventivo e la ristrutturazione del debito con i creditori, in particolare Unicredit e la finanziaria del gruppo Fs Fercredit che hanno in pegno le azioni Nodavia.
Condotte, partita da una posizione molto minoritaria nel consorzio, si è impegnata a rilevare il 99,9 per cento di Nodavia. Il passaggio sarà formalizzato in questi giorni (vedere intervista a pagina 52). Una percentuale infinitesima rimarrà a Coopsette, che non si è ancora fusa con Unieco. Lo zero virgola qualcosa intestato a Coopsette serve ad evitare l’annullamento della gara del 2007. Anche perché non si può passare l’appalto alla seconda classificata Btp che, nel frattempo, è finita in dissesto. A luglio Fusi e Bartolomei sono stati rinviati a giudizio per la bancarotta del loro finanziatore, il Credito fiorentino, insieme a Verdini.
LE OSCILLAZIONI DEL GIOVANE RENZI
Quando nel 2007 Nodavia si aggiudica la gara, Renzi è una figura emergente del panorama politico ma soltanto su base locale. Allora trentaduenne, Renzi presiede la Provincia e si mostra molto poco convinto del progetto Foster, come del resto giudicava la Torino-Lione nel suo libro-manifesto “Oltre la rottamazione”. I No Tav fiorentini se lo ricordano al loro fianco nelle assemblee in cui si criticava il tunnel come inutile, dannoso, troppo costoso e mal collegato visto che il sito della nuova stazione si trova a 1,5 chilometri da Santa Maria Novella, il principale scalo ferroviario fiorentino.
Nel 2009 Renzi diventa sindaco battendo nettamente alle elezioni l’ex portiere della Fiorentina Giovanni Galli (Pdl) e si ammorbidisce in modo sensibile. Con l’elasticità che gli si conosce, il primo cittadino abbandona l’avversione all’alta velocità e abbraccia la trattativa. In questo modo, ottiene dalle casse dello Stato una compensazione di 85 milioni di euro per i disagi affrontati dalla città a causa dei cantieri. I non renziani rimasti a Firenze raccontano che il cambio di strategia è stata una manovra astuta mirata anche ad intrecciare buoni rapporti con quel mondo cooperativo che, fino ad allora, era una piazzaforte di Pierluigi Bersani. Al momento di dare la scalata alla segreteria dei democratici, Renzi ha avuto un alleato in più.
Da presidente del Consiglio Renzi ha confermato l’appoggio all’opera. Dario Nardella, l’attuale sindaco di Firenze ed ex vicesindaco con Renzi, non sarebbe entusiasta del tunnel ma fa professione di realismo di fronte a un investimento che ha portato soldi nelle casse comunali. Pochi, benedetti ma non subito. Solo la prima tranche degli 85 milioni è stata versata. Il resto è vincolato ai successivi Sal, ossia gli stati avanzamento lavori che, per adesso, non avanzano.
Alla fine, l’ostinazione sul tunnel ferroviario e sulla nuova megastazione sarà stata anche una questione di prestigio campanilistico. Lo snodo dell’alta velocità fiorentina non poteva costare 300 milioni di euro quando a Napoli si sono spesi 4 miliardi, a Milano altri 4, a Bologna 2,5 e a Roma 4,5.
UNA GALLERIA NEL BACINO DELL'ARNO
Le perplessità progettuali sono parecchie. Non è solo la fresa Monna Lisa a funzionare male. I conci di protezione della galleria a doppia canna erano depotenziati e gli scavi hanno riempito una frazione di Scarperia del Mugello di rifiuti tossici, come ha evidenziato l’inchiesta della magistratura partita il 17 gennaio 2013 con 31 indagati e proseguita, a settembre, con l’arresto per corruzione e associazione a delinquere di Maria Rita Lorenzetti, ex presidente Pd della regione Umbria passata alla guida di Italferr, la società di engineering del gruppo Fs.
I comitati locali No Tav hanno elencato le magagne del progetto a partire dalla Valutazione di impatto ambientale (Via). «Che non c’è», dice Alberto Ziparo, ingegnere urbanista con cattedra all’università di Firenze. «La conferenza dei servizi del 2003 ha adattato una vecchia Via relativa al vecchio progetto. Non si sono fatte le analisi del rischio sismico e dei regimi alluvionali per un’opera che è nel bacino dell’Arno e nelle vicinanze di aree monumentali: Fortezza da Basso, Porta del Belgio, Porta San Gallo e Arco dei Lorena. Il confronto con Bologna non regge. Lì il terreno era più compatto e si è scavata una galleria a canna unica, meno problematica di quella doppia prevista dal progetto fiorentino. Inoltre gli abitati qui sono più antichi che a Bologna e rappresentano un patrimonio abitativo vincolato».
La vicenda della Via è stata soltanto sfiorata dall’inchiesta penale. Nelle intercettazioni alcuni indagati coprono di insulti Fabio Zita, architetto e funzionario regionale responsabile delle valutazioni di impatto ambientale. La sua colpa era di avere qualificato come rifiuti i materiali scavati da Monna Lisa nell’aprile del 2012. Un giudizio che è costato a Zita il trasferimento ad altro ufficio.
Per adesso la linea della Procura sulle questioni ambientali è stata di non agire per danno presunto, cioè di colpire soltanto nei casi come quello dei materiali di scavo, risultati inquinanti per gli agenti chimici impiegati nella compattazione degli inerti.
Il rischio è che finisca come a Palermo dove, appena sono iniziati i lavori per lo scavo del passante ferroviario sotterraneo, è arrivato lo stop per crolli nell’abitato. L’altro esempio al rovescio è la linea C della metropolitana di Roma, partita nel 1990 da un preventivo di 1,9 miliardi di euro, non ancora finita e con un costo di arrivo più che triplicato.
IL GIALLO DELLE PENALI
Sulla vicenda dello snodo Tav di Firenze e dell’eventuale rescissione dell’appalto aleggia lo spauracchio delle penali, impiegato come deterrente verso chi si oppone all’opera. Il concetto è: tra farla e pagarla o non farla e pagarla lo stesso, tanto vale scavare.
Queste sono opinioni. Vediamo i fatti. Secondo fonti ufficiali delle Fs, le uniche penali previste dal contratto con Nodavia sono quelle che Nodavia deve pagare al committente in caso di mancato rispetto dei suoi obblighi. Tra questi, c’è il mancato rispetto dei tempi. In caso di rescissione da parte del committente, vale il codice degli appalti che riconosce al general contractor i compensi per i lavori già eseguiti, per i materiali approvvigionati e per una quota dei lavori da eseguire. È lo schema del ponte sullo Stretto.
Duccio Astaldi, amministratore delegato di Condotte e nuovo azionista di controllo di Nodavia, lascia intendere che l’impresa potrà comunque procedere contro il committente in caso di annullamento del contratto ma conferma l’interpretazione delle Fs.
In questi termini suona quasi rassicurante. Ma la vera minaccia finanziaria dello snodo fiorentino non è tanto nelle penali incerte quanto nello sforamento del budget, iniziato il giorno dopo l’assegnazione della gara e continuato da allora. I 700 milioni di euro iniziali sono saliti a 771 milioni di euro attuali. Nei documenti più recenti di Nodavia si segnala che le riserve a fine 2013 erano di 421 milioni di euro. A fine aprile 2014, erano già schizzate a 528 milioni con un’aggiunta di 100 milioni in soli quattro mesi. Se il Cnr confermerà che i terreni di riporto vanno smaltiti come rifiuti tossici, i costi per il tunnel e per la stazione saliranno di altre decine di milioni.
L’aspetto finanziario è quello che più preoccupa Girolamo Dell’Olio, dell’associazione Idra, molto attiva sulla Tav. Proprio il dossier spedito da Idra ha convinto Cantone ad aprire un’istruttoria dell’anticorruzione sull’alta velocità a Firenze. Idra ha richiesto un’audizione a Roma per chiarimenti ulteriori. «Il vero cuore della questione secondo noi», dice Dell’Olio, «è la sostenibilità e l’onorabilità del piano finanziario. Bisogna aiutare gli amministratori a uscire dignitosamente da questa vicenda che ha già avuto risvolti di tipo giudiziario».
Fra quelli che più hanno attirato l’attenzione di un magistrato antimafia di lungo corso come Cantone c’è la contiguità, descritta nelle carte dell’inchiesta della Procura fiorentina, di un’impresa coinvolta nei lavori. È la casertana Veca Sud, incaricata dello smaltimento dei fanghi, il cui management sarebbe strettamente collegato ai casalesi e, in particolare, al clan Caturano.
Dulcis in fundo, si attendono i primi risultati dell’inchiesta con i rinvii a giudizio. Qui si profila un altro contenzioso. Il governatore della Toscana Enrico Rossi ha detto che, se le accuse dei magistrati contro i manager Fs e Nodavia saranno convertite in condanne, la Regione chiederà i danni per i disagi affrontati dal trasporto locale.
Con la nuova Nodavia che difficilmente può essere considerata responsabile delle azioni della vecchia Nodavia, lo scontro sulle penali vedrebbe da una parte la regione, un ente pubblico, contro una società altrettanto pubblica, le Ferrovie. Praticamente, un derby.