Le motivazioni del giudizio di appello, che assolve l'ex premier, ripercorrono le serate del bunga bunga, tra "lap dance" e "palpeggiamenti". Un universo cristallizzato ormai solo nelle aule di tribunale, a prova di quanto la giustizia, per quanto in questo caso abbastanza celere, possa essere lenta a raffronto con la vita

Nell’era di Dudù, torna a far capolino il Ruby-gate. Che disagio, che effetto stridente, che abisso. I magistrati, di là, a Milano, rendendo pubbliche motivazioni della sentenza d’appello che assolve l’ex premier (condannato in primo grado a sette anni), ripercorrono ancora, necessariamente, per legge, le serate del bunga bunga, fatte di “intrattenimenti e interazioni a sfondo sessuale”, “sfrontata disinibizione delle ragazze”, “ostentazione di nudità”, “strusciamenti”, “palpeggiamenti”, “simulazioni di atti sessuali”, “gioielli”, “conduzione di immobili”, “ingenti somme di denaro”, “lap dance”, “spogliarelli”; “toccamenti del seno, glutei o altre parti intime”; “bagni di gruppo in piscina”, “baci”.

Silvio Berlusconi, di qua, è rintracciabile in selfie sgranati e impietosi in cui sorride tirato, stringe il cagnolino Dudù, esibisce uno sguardo da punto interrogativo, avendo alle spalle sfondi fatti di broccati, trionfi fioriti e abat jour alto borghesi con lampadina da sessanta watt (dove sono finiti i suoi maghi dell’immagine?), sempre o quasi sempre vicino alla sua compagna Francesca Pascale, talune volte con gli amici o conoscenti di lei (il farmacista Rudy Cavagnoli, il cake designer Simone Pozone, l’attivista dei diritti Lgbt Vladimir Luxuria), talaltre con altri componenti del cosiddetto cerchio magico come la tesoriera Maria Rosaria Rossi (sempre meno in verità). Altro che lap dance, comunque.

E mentre i giudici spiegano “non essere provato” che Berlusconi “conoscesse la vera età” di Ruby durante le otto serate del bunga bunga che lei trascorse ad Arcore, ed escludono che durante la famosa telefonata del 27 maggio 2010 “la costrizione mediante minaccia” nei confronti dei funzionari della questura “fosse l’unico strumento per riuscire a ottenere l’affidamento di Ruby a Nicole Minetti”, l’uomo che allora governava l’Italia è politicamente rintracciabile in iniziative come la telefonata (ben diversa) fatta giorni fa durante una riunione del governo-ombra di Gianfranco Rotondi, in cui prometteva la rifondazione di Forza Italia, o ancor di più in novità del tutto imprevedibili come il sì alla legge sulle unioni civili per i gay, che ha fatto rivoltare lo stomaco a tutti i Gasparri del partito.

L’assoluzione in appello, ancor più che la sentenza di primo grado, arriva insomma nei confronti di un mondo che nel frattempo è stato sommerso dai fiumi di fagiolini a ottanta euro al chilo. Un universo cristallizzato ormai solo nelle aule di tribunale, a prova di quanto la giustizia, per quanto in questo caso abbastanza celere, possa essere lenta a raffronto con la vita. E, forse, probabilmente, un altro Berlusconi avrebbe utilizzato anche questo argomento come prova della persecuzione contro di lui.

Nei mesi dei venerdì a Cesano Boscone tra i malati d’Alzheimer, s’è invece come spento il revanchismo dell’ex Cavaliere, insieme a quasi tutto il resto. Per dire un esempio significativo. La parola complotto, o golpe, non affiora più alle labbra almeno da maggio. Quando, dopo le rivelazioni dell’ex ministro del Tesoro Usa Geithner sul "complotto anti Berlusconi" del 2011, l’ex premier si disse determinato ad “andare fino in fondo” sulle vicende relative all’avvento del governo Monti (uno dei “quattro golpe” di cui è stato vittima, secondo la nota vulgata).

Della commissione d’inchiesta sul caso Geithner, della cui eventuale opportunità s’era anche votato in conferenza dei capigruppo a Montecitorio, su proposta di Brunetta (ne avevano calendarizzato la discussione in giugno) s’è persa traccia. Nessuno, del resto, ha depositato una proposta scritta, tra le 66 richieste per una commissione d’inchiesta di questa legislatura. L’idea stessa del complotto viene rinfrescata di tanto in tanto, da qualche volenteroso deputato azzurro. L’ultima, proprio oggi, è Gabriella Giammanco, in un tweet; “Come @alanfriedmanit chiediamo Commissione inchiesta su complotto poteri forti contro Italia nel 2011”. Ma da Palazzo Grazioli, nessun segno.

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