Attualità
8 ottobre, 2014

La pasticceria migliore d'Italia? E' in carcere "Il Papa ordina 250 panettoni ogni anno"

Un'immagine dal sito della pasticceria
Un'immagine dal sito della pasticceria

La casa circondariale di Padova, investita dall'inchiesta sulla cupola di carcerati e guardie, ha al suo interno anche un esempio di eccellenza di recupero dei detenuti

Un'immagine dal sito della pasticceria
La migliore pasticceria italiana? È nel carcere di Padova, e si chiama Giotto.

A certificarlo è un premio nazionale assegnato il 2 luglio scorso dal gastronauta Davide Paolini che con un sondaggio sul proprio sito ha selezionato la regina tricolore della pasta frolla. Insomma, Giotto batte resto d’Italia uno a zero. I mastri pasticceri padovani del Due Palazzi, un gruppetto di detenuti che si è dato allo zucchero e alle creme, sono saliti sul gradino più alto del podio, alle loro spalle dieci blasonate pasticcerie del Nord e del Sud del Paese.

Così dopo aver preso il Vaticano per la gola, il Papa ogni Natale ordina 250 panettoni, i carcerati della coop raggiungono un altro grande traguardo. Un’esperienza eccezionale rispetto al desolante panorama dei penitenziari italiani. Per questo il presidente della coop Nicola Boscoletto si è fatto un’idea precisa rispetto all’indagine che ha coinvolto agenti infedeli e alcuni reclusi: «Di storie così sono piene le carceri italiane, solo che i colpevoli non si trovano mai, mentre a Padova questo è successo. ?È una struttura modello anche per la sua capacità di fare pulizia al proprio interno».

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I dirigenti della Giotto credono al recupero dei prigionieri attraverso il lavoro, che secondo le statistiche ufficiali, abbatte drasticamente la recidiva. La cooperativa padovana occupa 150 detenuti che producono anche valigie e penne usb. In quindici anni ha fatto lavorare oltre 700 detenuti con stipendi che arrivano fino a mille euro. E il Consorzio Rebus, che ingloba Giotto, ha quasi 20 milioni di euro di fatturato. Non a caso l’impresa è stata scelta in Brasile come esempio di best practice da esportare. E pensare che tutto è iniziato negli anni Ottanta con un orto botanico realizzato nella casa di reclusione.

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