Giustizia

No Tav: cade l'accusa di terrorismo

di Francesca Sironi   17 dicembre 2014

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Sono in carcere da poco più di un anno. Per mesi hanno subito il regime duro. Per aver incendiato un compressore nel cantiere dell'Alta Velocità in Val Susa la notte fra il 13 e il 14 maggio del 2013. La richiesta della procura era di 9 anni e mezzo di detenzione. Oggi la decisione della Corte d'Assise: tre anni e mezzo

Cade l'accusa di terrorismo per Mattia, Chiara, Claudio e Niccolò. I quattro No Tav erano in carcare dal 9 dicembre del 2013 per aver partecipato ad azioni contro il cantiere del'Alta Velocità in Val Susa. In particolare ad una azione: quella che ha portato all'incendio di un compressore nella notte fra il 13 e il 14 maggio dell'anno scorso. Circa 180mila euro di danni. La procura di Torino, nella requisitoria del 14 novembre, aveva chiesto una condanna a 9 anni e mezzo di carcere, per terrorsimo. «Fu un atto di guerra contro lo Stato», avevano ribadito nell'ultima arringa i due pm Antonio Rinaudo e Andrea Padalino.

Oggi la Corte d'Assise di Torino presieduta da Pietro Capello ha però assolto i quattro attivisti dall'accusa di aver agito con finalità di terrorismo. Mentre li ha condannati a tre anni e mezzo di carcere ciascuno per porto d'armi da guerra (le bottiglie incendiarie molotov), danneggiamento, incendio e violenza a pubblico ufficiale. «È una vittoria su tutta la linea», ha commentato Claudio Novaro, legale dei quattro imputati: «la sanzione mi sembra equilibrata rispetto a ciò che si è visto nel corso del processo. La circostanza che sia caduta l'accusa di terrorismo che nulla aveva a che fare con la storia del movimento No Tav ci sembra una straordinaria vittoria, la consacrazione di quello che abbiamo tentato di dire fin dalle prime battute del processo».

L'accusa di terrorismo era stata messa in discussione già a maggio dalla Cassazione, che si era espressa su un ricorso al tribunale del Riesame riguardo alle misure restrittive (carcere duro) imposte ai quattro arrestati. «Non ci può essere terrorismo se non c’è un grave danno per un Paese o un’organizzazione internazionale, e se non si è creata un’apprezzabile possibilità di rinuncia da parte dello Stato alla prosecuzione delle opere», avevano scritto i giudici della Suprema Corte. «Bisogna mantenere un'adesione rigorosa alla realtà. Formulare accuse equilibrate, senza enfatizzare. E soprattutto senza esagerare con le misure cautelari», aveva commentato a l'Espresso il magistrato Livio Pepino.
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«Si trattò di violenza armata», avevano invece ribadito i due pm nella richiesta di condanna: «Il cui obiettivo era costringere lo Stato ad abbandonare una scelta politica ed economica, a retrocedere. E questa, in base al codice, è una finalità terroristica». Al contrario Claudio Novaro, guida del pool della difesa, nella sua arringa aveva sostenuto ci fosse un abisso fra la realtà dei fatti e l'accusa. «La percezione sociale dell'azione è straordinariamente distante rispetto alla qualificazione di terrorismo», aveva spiegato in aula il 27 novembre, portando come esempio le centinaia di manifestazioni di soldarietà agli arrestati che si sono susseguite da dicembre dell'anno scorso.

A settembre, durante un'udienza nell'aula bunker del Carcere delle Vallette, i quattro No Tav avevano preso parola. Per dire: «Quella notte io c'ero». Ribadendo la propria partecipazione a quell'azione di maggio e a una una lotta che vede contrapporsi ormai da decenni parte della popolazione locale, diventata poi un movimento nazionale, e il cantiere per la linea ferroviaria ad Alta Velocità che dovrebbe collegare con Torino a Lione.
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«In quei luoghi sono tornato più volte in questi anni, ho visto gli alberi cadere sotto le ruspe, l'esercito arrivare a sorvegliare un desolato sterrato lunare», aveva detto Mattia Zanotti: «Sono tornato una volta ancora in quella ormai celebre notte di maggio. Molto, troppo è stato scritto su quella notte. E non sta a me, non mi interessa, dire come si trascriva quel gesto nella grammatica del codice penale. Quello che posso dire è che quella notte c'ero anch'io».

«Che non fossi lì per perseguire il terrore altrui o anche peggio», aveva proseguito: «lo può capire qualsiasi persona dotata di buon senso che abbia solo una lontana idea di quale sia la natura della lotta No Tav e in quali coordinate etiche esprima la propria resistenza. Che fossi lì per dimostrare una volta di più la mia radicale inimicizia verso quel cantiere, e sabotarne se possibile il funzionamento, ve lo dico io stesso».
La copertina dell'Espresso

A maggio, in una lunga intervista pubblicata in copertina da l'Espresso, la madre di Mattia aveva raccontato lo shock dell'arresto e della lunga detenzione in carcere duro del figlio: «Per dieci giorni non ci fu possibile vederlo», aveva spiegato: «e, quando finalmente andammo al carcere delle Vallette, io e suo padre, le prime parole non riguardavano i treni. Ci ha detto: “Mi dispiace tantissimo che vi abbiano portato in questo posto, questa accusa è una cosa lontanissima da me. Sono scosso, sento di avere i poteri forti contro di me”».

Nel frattempo, proprio il 9 dicembre di quest'anno, dopo un weekend di scontri fra attivisti No Tav e polizia in Val Susa, l'imputazione di terrorismo è stata formulata anche a carico di altri tre indagati per l'azione di maggio. Lucio, Graziano e Francesco erano stati arrestati a luglio, sulla base di intercettazioni ambientali che avrebbero rivelato la loro partecipazione al blitz. Anche loro dovranno rispondere di terrorismo. L'accusa caduta oggi alla Corte d'Assise di Torino.