La Consulta boccia la legge varata nel 2006 dal governo Berlusconi. Secondo le stime la sentenza avrà un effetto diretto su circa diecimila detenuti fra quelli in attesa di giudizio e quelli condannati in via definitiva
Niente più equiparazione fra droghe leggere e droghe pesanti, la legge Fini-Giovanardi è infatti incostituzionale. A otto anni esatti dall’approvazione (era il 21 febbraio 2006) e dopo interminabili polemiche, la Consulta mette la parola fine a uno dei provvedimenti normativi più discussi dei tempi recenti. Una norma che non solo non è riuscita a prevenire il consumo come si riprometteva, ma al tempo stesso ha riempito le carceri di consumatori e piccoli spacciatori senza intaccare minimamente i grandi traffici.
Il motivo che ha spinto la Corte costituzionale a un simile pronunciamento è il modo in cui la norma fu varata dal governo Berlusconi, poche settimane prima delle elezioni che avrebbero visto la vittoria di misura del centrosinistra: un emendamento al decreto legge sulle Olimpiadi invernali di Torino, aggiunto peraltro nel corso della conversione parlamentare del provvedimento. Di fatto un abuso dell’articolo 77 della Costituzione, che regola le modalità di emanazione dei decreti.
Il risultato del “blitz” dell’esecutivo fu un maxiemendamento composto da 23 articoli che cambiava alla radice il testo unico sugli stupefacenti (la Jervolino-Vassalli) risalente al 1990, stabilendo una equiparazione fra droghe leggere e droghe pesanti sotto l’aspetto sanzionatorio. Ovvero pene da 6 a 20 anni tanto per il pusher di strada quanto per il narcotrafficante. Insomma una nuova legge all’interno di un decreto, che peraltro si occupava di tutt’altro.
Di qui la bocciatura della Consulta, che avrà riflessi inevitabili anche sulla situazione dei penitenziari, dove si calcola che sono circa 24 mila (il 40%) i detenuti proprio per reati legati alla Fini-Giovanardi. Non a caso già il ddl sulla messa alla prova all’esame del Parlamento prevede una riduzione delle pene per il piccolo spaccio, con l’attenuante della lieve entità in caso di detenzione.
Con la sentenza della Consulta si torna dunque alla legge del 1990, già modificata da un referendum nel ’93 che stabiliva la non punibilità dei consumatori. In sostanza, un trattamento penale differenziato tra droghe pesanti e leggere (dai 2 ai 6 anni in quest’ultimo caso) e una serie di politiche per la riduzione del danno in seguito cancellate. Secondo Stefano Anastasia, presidente della onlus Società della ragione, in tutto sono diecimila le persone dietro le sbarre su cui la sentenza odierna avrà un impatto diretto. Come ricorda il presidente dell’associazione Antigone Patrizio Gonnella, fra le più attive sul fronte carcerario, adesso per i detenuti si applicheranno infatti le misure previste dalla legge precedente, mentre i condannati in via definitiva avranno il diritto di chiedere la rideterminazione della pena per incidente di esecuzione.
Una opinione diffusa fra molti giuristi che però non convince il presidente emerito della Consulta Giovanni Maria Flick, che ieri era anche intervenuto nel corso dell’udienza per caldeggiare l’incostituzionalità della Fini-Giovanardi. A parere dell’ex Guardasigilli non ci saranno effetti sui condannati con sentenza definitiva, anche se solo le motivazioni della sentenza potranno dirimere le interpretazioni sul punto.
E se il cartello di associazioni antiproibizioniste “Illegale è la legge”, che sabato scorso ha manifestato a Roma contro la Fini-Giovanardi, parla addirittura di “un nuovo 25 aprile” e torna a chiedere il diritto all’autoconsumo (“la Cannabis è un bene comune come l’acqua”), chi non ha affatto preso bene la sentenza è Maurizio Gasparri. Per il vicepresidente del Senato il pronunciamento della Consulta avrà “ricadute sociali devastanti” perché prevedendo pene più miti “incrementerà lo spaccio e il consumo di stupefacenti”. Conclusione: la Corte costituzionale è sempre più “un grave problema di questo Paese” perché sta diventando uno “strumento di demolizione della società italiana”.