Le accuse della Dda che hanno portato all'arresto dei familiari della donna, collaboratrice di giustizia e madre di tre figli, e di due avvocati. Per i pm fu costretta a bere acido muriatico simulando poi un suicidio

Maria Concetta Cacciola uccisa per non farla parlare. Arrestati i genitori

Voleva svelare i segreti dei clan della 'ndrangheta della piana di Gioia Tauro. Ma, per impedirle di collaborare con la giustizia, sarebbe stata uccisa dai genitori e dal fratello. L'omicidio sarebbe stato camuffato con un suicidio. Alla vittima, Maria Concetta Cacciola, madre di tre bambini, il 20 agosto 2011 sarebbe stato fatto bere dai familiari acido muriatico per simulare il suicidio e tapparle definitivamente la bocca.

Su questo omicidio hanno indagato a lungo i carabinieri del Comando provinciale di Reggio Calabria, coordinati dai pm della procura antimafia. Adesso, dopo lunghi accertamenti e intercettazioni ambientali, è emerso un quadro sconcertante. I giudici hanno stabilito che per impedire la collaborazione con la giustizia di Maria Concetta Cacciola si era mossa una squadra criminale. Uomini al servizio dei clan della 'ndrangheta che avevano l'obiettivo di impedire che la donna continuasse a parlare ai magistrati svelando i segreti dei boss. I capimafia temevano soprattutto la possibile emulazione di altre donne, segregate e costrette a vivere in famiglie mafiose, che avrebbero potuto seguire la strada tracciata da Maria Concetta Cacciola.

L'inchiesta, coordinata dai pm della Dda di Reggio Calabria, Alessandra Cerreti e Giovanni Musarò, e da Giulia Masci, della procura di Palmi, è stata lunga e travagliata. Ma si è arricchita di tanti particolari e prove sostanziose che delineano un quadro in cui il gruppo familiare avrebbe deciso di eliminare una figlia pur di salvare i mafiosi che dominano sul territorio. Così i carabinieri hanno arrestato cinque persone, il padre, la madre e il fratello della vittima, e poi due avvocati penalisti molto noti nella piana di Gioia Tauro: Gregorio Cacciola e Vittorio Pisani. Per i familiari l'accusa è di concorso in violenza privata, concorso in violenza o minaccia per costringere a commettere un reato, concorso in favoreggiamento personale, tutti aggravati dall’aver favorito la 'ndrangheta. Per gli avvocati le accuse sono pesanti: avrebbero indotto la donna a ritrattare le dichiarazioni che aveva fatto ai magistrati.

Nelle intercettazioni eseguite emerge come l'avvocato Pisani ogni volta che parlava con i propri clienti, accusati di mafia, controllasse bene l'ambiente in cui si trovavano, per verificare se fossero state collocate microspie da parte delle forze dell'ordine, poiché sospettava di essere intercettato.

Dalle registrazioni fatte, invece, grazie ai microfoni piazzati dai carabinieri nello studio legale dell'avvocato Gregorio Cacciola, emerge una sconcertante contiguità del professionista con gli ambienti della criminalità organizzata di Rosarno, nel cuore della Piana di Gioia Tauro.

Da alcuni dialoghi captati all’interno dello studio legale, i magistrati hanno dedotto che l'avvocato Cacciola aveva definitivamente saltato il fosso, fungendo stabilmente da “consigliori” dell’attività di diversi soggetti appartenenti o contigui alla 'ndrangheta, dispensando consigli e direttive che nulla hanno a che fare con un mandato difensivo lecito, neanche di un professionista che opera in un contesto difficile come quello rosarnese.

Il legale, ad esempio, avrebbe consigliato ad un indagato di darsi alla latitanza, invitato il padre di un detenuto a non parlare durante i colloqui perché potrebbero esserci microspie, si è dichiarato disponibile a portare messaggi ai detenuti, utilizzando affermazioni proprie dei mafiosi. Quando si riferisce alle forze dell’ordine us con disprezzo il termine “sbirri”, riceve e riferisce confidenze su fatti gravissimi, come omicidi, avvenuti nel mandamento tirrenico e su dinamiche interne alla ‘ndrangheta .

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