Primo maggio con polemiche. Il copione si ripete puntuale da due anni: le aperture festive dei negozi dividono le grandi catene, i commercianti e i sindacati. Grazie al Governo Monti si è infatti infranto il tabù della festa dei lavoratori: con il decreto Salva Italia, da gennaio 2012, via alla liberalizzazione. Sempre aperti compreso Pasqua e Natale.
La contraddizione diventa però palese il Primo maggio, quando invece di ricordare i diritti conquistati con dure battaglie si punta sullo shopping. Un’opportunità da non perdere in tempi di vacche magre, ma un affronto per chi crede nelle feste laiche. Federdistribuzione non ha dubbi sulla bontà della svolta e, secondo il presidente Giovanni Cobolli Gigli, «sono state creata 4.200 nuove assunzioni grazie alla libertà di tenere aperto».
Posizioni inconciliabili e numeri criticati da Cgil, Cisl e Uil secondo cui non c’è nessuna crescita di posti di lavoro. E rispondono con scioperi dalla Toscana a Milano. In Veneto ad essere d‘accordo per lo stop c'è anche la Diocesi di Padova, mentre a Taranto i lavoratori dell’Ilva non partecipano al mega-concerto di Roma e si fanno la festa in casa.
IN VENETO SENZA REGOLE
Tra Venezia e le città del Veneto l’obiettivo è contrastare l’apertura, preannunciata da diversi gruppi della grande distribuzione. Tanti centri commerciali per pochi affari e così i sindacati hanno trovato un alleato in più: la diocesi.
«Vogliamo riprenderci il senso della festività come giornata di riposo in generale e di quella del Primo Maggio in particolare», spiega Maurizia Rizzo della Cisl, «Da qui il lavoro insieme alla Diocesi di Padova».
Tra i marchi interessati dalle aperture festive c'è il gruppo di piccoli e medi supermercati Billa, 159 punti vendita in Italia, che ad aprile ha stracciato il contratto integrativo che concedeva indennità e maggiorazioni economiche per chi, volontariamente, decideva di lavorare nei giorni festivi. «Così, adesso, non c’è davvero più nessuna differenza fra un giorno lavorativo e uno di festa», continua Maurizia Rizzo.
In tutta la regione la catena di supermercati sta portando avanti un'imponente campagna pubblicitaria spiegando ai clienti e ai cittadini che il 15 per cento degli utili saranno devoluti alla Fondazione Città della Speranza di Padova, una onlus che lotta contro la leucemia infantile.
«È un bel gesto, ma viene compiuto sulla pelle di commessi e magazzinieri costretti a turni massacranti e senza più la possibilità di programmare una vita famigliare dignitosa», puntualizza la sindacalista.
Grandi catene di negozi, come Benetton, Douglas, Swarovsky, Sephora, Pinko, Sisley, Furla, Pomellato gioielli, Motivi, Twin Set, Disney, Geox, Max Mara, Carpisa, Zucchi che si trovano all’interno dei mall dovranno, volenti o nolenti, alzare la saracinesca. Questo per evitare le sanzioni per violazione dei contratti siglati con le società che gestiscono i centri. Un vero e proprio braccio di ferro.
«Il contratto nazionale di lavoro del commercio - spiega Luca Zuin, segretario generale della Fisascat-Cisl - stabilisce che non c’è alcun obbligo lavorativo durante le festività previste dal calendario. Si tratta di una regola molto chiara sostenuta anche da sentenze della Corte di Cassazione».
In pratica passare la festa del lavoro tra le corsie è una scelta e se ci si rifiuta di lavorare si avrebbe il diritto ad avere la retribuzione. Senza nessun provvedimento disciplinare. In teoria ma con il ricatto del contratto a termine passa ogni richiesta. Via allora ad aperture straordinarie per dodici ore. Le braccia non mancano.
SCIOPERO CONTRO CHI TIENE APERTO
A Milano alla deregulation aderisce anche Eataly, la catena alimentare diventata simbolo del made in Italy che ha inaugurato da poco nell’ex sede del teatro Smeraldo, a due passi dalla stazione Garibaldi.
Il patron Oscar Farinetti in nome degli affari ha rivisto la sua decisione: negli anni passati aveva chiuso i suoi punti vendita in occasione del 25 aprile, anche in segno di rispetto per la memoria del padre partigiano. Quest’anno megastore del cibo aperto il 25 aprile e il Primo maggio.
A ricordare il calendario ci hanno pensato i sindacati confederali, dichiarando lo sciopero. Il Comune, da parte sua, si chiama fuori da questo match. «Basta appelli - spiega l’assessore al Commercio, Franco D’Alfonso - Per due anni, con il sindaco, abbiamo sollecitato i negozianti a tenere le saracinesche abbassate. Inizialmente c’era l’accordo, poi è saltato tutto: inutile ripetere questa esperienza».
Ma il sindacato non si arrende. In tutti centri della grande e piccola distribuzione è partita la campagna di informazione sullo sciopero.
Non la pensa così Mario Resca, il presidente di Confimprese:«Non dimentichiamo che Milano è diventata un importante polo turistico non solo per chi fa business, ma anche per chi è interessato al nostro eccezionale patrimonio culturale». Peccato che tutti i musei siano chiusi e allora meglio riparare sullo shopping.
Stesso terreno di scontro in Toscana dove le braccia incrociate sono state decise per tutte le feste. Motivo? «Le liberalizzazioni degli orari e delle aperture domenicali e festive non hanno portato né aumento dell’occupazione né dei consumi, ma hanno peggiorato le condizioni di lavoro e aumentato la precarietà».
Per tutti bisogna rivedere la deregulation voluta da Monti e passare la mano a Regioni e comuni. L’idea è un modello sostenibile del commercio, per città più vivibili, all’insegna della cultura e non solo del consumo.
Stessa impostazione del testo in discussione alla Commissione attività produttive alla Camera che dovrebbe fissare un numero minimo di chiusure obbligatorie: da cinque a venti. Solo a giugno si capirà se sopravviverà al fuoco incrociato dei partiti e non finirà dimenticato in un cassetto.
IL CONCERTO ME LO FACCIO DA SOLO
A Taranto la frattura fra i lavoratori dell’Ilva, l’acciaieria del gruppo Riva commissariata in seguito all’indagine della magistratura, e i sindacati diventa il pretesto per una kermesse alternativa a quella romana, diventato un appuntamento fisso per migliaia di ragazzi dal lontano 1990.
Dalla città più inquinata d’Europa è partita l’idea: basta al concerto di piazza San Giovanni a Roma, si riparte dal parco archeologico delle Mura Greche di Taranto. Qui dove la devastazione ambientale, sociale ed economica sono andate di pari passo.
L’evento sarà organizzato dal “comitato cittadini e lavoratori liberi e pensanti” un gruppo di operai dell’acciaieria e abitanti locali riuniti dopo il sequestro degli impianti inquinanti e il blocco di ogni attività.
Numerosi gli artisti che hanno preso le distanze dall'evento romano: gli ultimi nomi annunciati sono Fiorella Mannoia e 99 Posse, che vanno a unirsi a Vinicio Capossela, Caparezza (che aprirà il concerto), Afterhours, Tre Allegri Ragazzi Morti, Sud Sound System e Apres la Classe, e altri gruppi e cantautori italiani.
Michele Riondino, attore famoso per la fiction Rai dove veste i panni del giovane Montalbano non usa mezzi termini: «A Taranto il sindacato è stato complice, connivente con l'azienda, anch'esso schiavo del ricatto occupazionale. E quindi tace».
Potrebbe quindi rivelarsi una voce fuori dal coro quella di Maurizio Landini, segretario e volto della Fiom, che ha deciso di partecipare all’evento tarantino. «Lui potrà dare il suo parere, ma non sarà la sua passerella - spiega Cataldo Ranieri del comitato organizzatore - Ma soprattutto sarà chiamato a darci risposte agli errori che hannofatto e continuano a fare qui all’Ilva». La festa del lavoro può iniziare.