Nelle metropoli così come nei piccoli centri, per combattere il degrado e vincere le paure dei cittadini si torna a un modello tradizionale. Quello del maresciallo dei carabinieri di cui tutti si fidano

Non esiste una formula magica per la sicurezza, anche se è la questione che tocca più da vicino la vita di tutti. Di slogan ne abbiamo sentiti tanti, le certezze invece restano poche. C’è un solo punto di riferimento che rimane costante da due secoli: il maresciallo dei carabinieri.

Nei paesi lo è sempre stato. «Nei piccoli comuni come quello in cui sono cresciuto, il comandante della stazione è qualcosa di più dell’istituzione: è la persona a cui chiedere un consiglio, anche per questioni che non riguardano la legge», ha sintetizzato Matteo Renzi pochi giorni fa aprendo le celebrazioni per i duecento anni dell’Arma. Ora però il maresciallo si sta allargando, per diventare il garante della sicurezza pure nelle metropoli.
[[ge:espresso:inchieste:1.156173:article:https://espresso.repubblica.it/inchieste/2014/03/06/news/far-west-italia-dove-ci-si-fa-giustizia-da-se-1.156173]]
È il ritorno alla tradizione, mettendo in secondo piano computer e tecnologie per puntare tutto sui rapporti umani e ricostruire fiducia in una stagione di paure, reali o solo percepite, ma comunque fondamentali. Un’operazione concreta, lanciata a Milano tre anni fa e da pochi mesi estesa a Roma. «L’Arma ha duecento anni, ormai è una vecchia signora. Ma ha fatto tanti lifting e quindi si è posta in una visione moderna rispetto alle questioni con cui confrontarsi», spiega il colonnello Salvatore Luongo, l’ufficiale che ha attuato questo laboratorio nel capoluogo lombardo e lo sta ripetendo nella capitale.

Città profondamente diverse, con problemi che si ripetono: l’infiltrazione delle mafie vecchie e nuove, il boom di scippi e furti in casa, la difficoltà di fare i conti con la delinquenza d’origine straniera. E soprattutto la domanda di tutela da parte dei cittadini, che continua a crescere. «Il carabiniere di oggi deve mostrare una sensibilità diversa: deve essere la sentinella non solo della sicurezza urbana ma anche del degrado, che spesso incide sulla percezione di insicurezza e quindi sulla paura. Intervenire sul degrado fa parte dei nostri compiti di rassicurazione sociale: questa è la prima funzione del carabiniere, poi è un operatore di polizia».

Nei fatti come si declina? «Fare delle nostre stazioni una porta aperta dove tutti possano trovare una risposta, una “porta della speranza”. Non può esistere che ti dicano “non è di mia competenza”...». A Milano e nei comuni confinanti, i comandi cittadini sono stati trasformati in punti di ascolto, cercando di allungare gli orari e ripristinando per quanto possibile la disponibilità giorno e notte. Lo stesso adesso si cerca di introdurre a Roma. «Si tratta di rendere la nostra presenza più aderente alle aspettative della comunità, coinvolgendo le associazioni. Con un termine commerciale, bisogna “fidelizzare” il legame tra il comandante di stazione e la comunità per capire come e dove agire».

Il dialogo con le associazioni, di categorie professionali o di residenti, è diventato quotidiano, «una stretta vicinanza». Nella capitale in pochi mesi è stato costruito un filo diretto con 111 associazioni; come a Milano, è stato persino creato un protocollo di collaborazione con i custodi degli stabili, per contrastare le razzie negli appartamenti. Nello scorso marzo tutti i comandanti di stazione e i carabinieri di quartiere si sono incontrati con i rappresentanti romani di Confcommercio: non il solito convegno retorico, ma un colloquio faccia a faccia tra i negozianti e chi li deve proteggere, per individuare i problemi e definire le soluzioni.


La tecnologia resta fondamentale. Negli uffici l’informatica permette di impegnare meno personale per sbrogliare pratiche e mandare più militari sulle strade. Uno dei capisaldi è l’approccio alla videosorveglianza, che cambia completamente. «Non basta che ci siano le telecamere, bisogna creare una rete, attraverso tutti i sensori che già esistono e quelli che sono ancora sulla carta. Ad esempio, le immagini degli apparati installati dai commercianti milanesi di corso Buenos Aires ora vengono trasmesse in tempo reale alla nostra centrale, a quelle della Questura e della polizia locale. Così tutti si rendono conto di quello che accade».

A Roma si sta rivitalizzando l’accordo con l’ente Eur, nato dieci anni fa: «Siamo passati da 18 telecamere a 160, che trasmettono alla vigilanza privata e alla control room del nostro comando». E si prepara l’interconnessione con le pompe di benzina. «Adesso con il Campidoglio e la Questura stiamo cercando di capire quante telecamere possono essere messe in rete. Sono impianti posizionati per finalità diverse: quelli del Comune per la viabilità, quelli della polizia per l’ordine pubblico, quelli dei privati per la protezione passiva di negozi e uffici. Trasformate in un network possono dare un contributo globale». I risultati non sono mancati. Un anno fa a Milano l’assassino del gioielliere Giovanni Veronesi, ucciso in pieno centro, è stato individuato ricostruendo i suoi movimenti grazie a una catena di telecamere: tra il delitto e la condanna all’ergastolo sono passati nove mesi.

Il colonnello Luongo ha fatto tutta la carriera sul campo e per cinque anni è stato consigliere militare del presidente Giorgio Napolitano. Come tutti gli ufficiali dell’Arma, non ama i personalismi: conta l’istituzione, non i singoli. Il modello nasce per volontà del comando generale, guidato da Leonardo Gallitelli che lo ha preceduto nella storica caserma di piazza San Lorenzo in Lucina. Un progetto quindi di largo respiro, che conta su un coordinamento più razionale delle forze di polizia. «Ognuna ha competenza su un’area ma nel momento in cui tutti vediamo tutto grazie allo scambio di immagini e informazioni, le due centrali sanno quale è la pattuglia più vicina e quella interviene», spiega Luongo. Molte lamentele riguardano proprio il funzionamento dei numeri di soccorso: accade che chi ha bisogno di aiuto immediato resta in attesa o viene rimpallato da una centrale all’altra. A Milano però da alcuni mesi è già entrato in funzione il centralino unico: si chiama il 112 per qualunque necessità e gli operatori civili valutano chi bisogna mandare. Provvedono loro a contattare l’ambulanza, i vigili del fuoco oppure gli agenti in grado di arrivare prima, individuati attraverso la radiolocalizzazione. Una rivoluzione, in grado di dimezzare i tempi d’attesa: quando si troveranno i fondi, verrà introdotta pure nella Capitale.

Molto si sta facendo anche per il monitoraggio statistico dei reati, reso più capillare: quartiere per quartiere, cercando di avere una mappa aggiornata di quello che accade. «Ma i dati statistici sono un segmento freddo, permettono un servizio sterile». Le mafie oggi nelle metropoli non si limitano a ricattare e spacciare, ma hanno una vocazione prevalentemente economica. E non bastano i reparti specializzati come il Ros per combatterle. «In un momento di crisi dobbiamo stare attenti a come la criminalità organizzata sfrutta le difficoltà per rilevare negozi e ristoranti. Non si può fronteggiarla con le analisi statistiche: sono i marescialli delle stazioni che devono aiutarci a capire. Preparano le schede informative sulla base di quello che vedono: se un bar in due anni ha cambiato ragione sociale quattro volte oppure se il fatturato di una pizzeria esplode senza che ci siano clienti ai tavoli. Ci dicono “Occhio, qualcosa non va” e così nascono le indagini sul riciclaggio».

Negli ultimi mesi a preoccupare sono i reati predatori: scippi, rapine per strada e soprattutto furti in appartamenti, spesso raddoppiati per effetto della crisi. «Su questo fronte è più difficile fare attività di prevenzione. Bisogna colpire il momento iniziale, quando si crea il gruppo per mettere a segno i furti, e poi la parte finale, la ricettazione del bottino. Soltanto così possiamo incidere sul fenomeno. Noi lo stiamo facendo e siamo riusciti a catturare alcune bande etniche, ma richiede un impegno impressionante. Qui è fondamentale l’approccio tecnico. Portare le analisi scientifiche nei furti, rilevando le impronte: a Milano abbiamo creato una sezione specializzata, a Roma c’è già una struttura del Ris. E poi ci sono le indagini sulle schede telefoniche: ma se i ladri cambiano sim ogni giorno è quaso impossibile acquisire prove. O c’è un valido controllo sul territorio e riusciamo a stabilire un nesso tra l’uso di una scheda e un determinato crimine, altrimenti è tutto inutile».

Controllo del territorio, appunto. Alle fasi di osservazione - per studiare cosa accade nei quartieri - e di conoscenza - per decifrarne le dinamiche sociali - si è aggiunta una terza, che fa riferimento a un termine filosofico: immanenza, essere presenti in tutte le realtà cittadine. Oggi è duro misurarsi con zone popolate da immigrati o da “nuovi” italiani. «Cerchiamo di coinvolgere le loro comunità in riunioni periodiche. A Milano abbiamo creato un ottimo feeling soprattutto con quelle originarie dell’Africa settentrionale, in particolare con le “prime generazioni”. In alcuni casi sudamericani e asiatici non avevano capito lo spirito della nostra iniziativa: noi volevamo solo capire le dinamiche che governano la loro vita sociale e presentarci come referenti. A Roma abbiamo allestito un coordinamento con la Caritas e la Comunità di Sant’Egidio per riuscire a individuare le situazioni di degrado. Spesso ci sono reati che non vengono denunciati e sono la cartina di tornasole per renderci conto della nascita di gruppi che delinquono: fenomeni che riguardano soprattutto le seconde generazioni, spesso con cittadinanza italiana, che subiscono il fascino dell’illegalità, dallo spaccio di droghe leggere all’abusivismo commerciale. Queste persone tendono ad allontanarsi dalle loro famiglie e se i comandanti di stazione riescono a costruire un rapporto di fiducia con i rappresentanti delle comunità, allora siamo in grado di intervenire prima che nascano problemi più gravi. I nostri marescialli hanno tutti la laurea triennale, hanno la capacità di comprendere le trasformazioni ed alimentare quel circolo virtuoso che cancella l’insicurezza».

Già, ma questo richiede una formazione continua. E una disponibilità totale. Come si fa a motivare professionisti che non possono contare su incentivi economici? «Chi sceglie questa vita sa a cosa va incontro. Ma bisogna che i marescialli continuino a rendersi conto che se sanno diventare il punto di riferimento di una comunità, c’è una gratificazione morale e sociale che nasce dal riconoscimento del loro ruolo. Vale ogni sacrificio, glielo assicuro», conclude il colonnello Luongo: «A Milano c’erano zone dove la nostra presenza si era rarefatta, ora lì ci sono negozianti che telefonano al carabiniere di quartiere se non lo vedono passare, perché sanno che siamo importanti». Una questione di orgoglio, insomma. Come accade da due secoli.

L'edicola

Voglia di nucleare - Cosa c'è nel nuovo numero dell'Espresso

Il settimanale, da venerdì 28 marzo, è disponibile in edicola e in app