Il commento arriva pochi giorni dopo la notizia che Felice Isnardi, il procuratore generale di Varese, ha deciso di rinviare a giudizio per il solo reato di "abuso di autorità contro arrestati o detenuti" i carabinieri che fermarono e trattennero in caserma Uva e il suo amico Alberto Biggiogero la notte del 14 febbraio, prosciogliendoli dalle accuse di omicidio preterintenzionale, violenza privata, abbandono di incapace e arresto illegale.
La dichiarazione di Amnesty arriva dopo una lunga vicenda processuale. Giuseppe Uva quella notte di sei anni fa fu fermato dai carabinieri. Trattenuto in caserma, fu da lì trasportato per un trattamento sanitario obbligatorio al pronto soccorso e quindi al reparto psichiatrico dell'ospedale di Circolo, dove morì per arresto cardiaco.

Sulla sua morte sono stati aperti due primi procedimenti, che vedevano indagati i medici dell'ospedale. Nell'assolverli tutti in primo grado, il tribunale di Varese chiese di indagare su quanto avvenuto prima «perché tuttora sconosciuti rimangono gli accadimenti all’interno della stazione dei carabinieri» e ignote le motivazioni per cui come conseguenza del fermo «Uva, che mai aveva avuto problemi psichiatrici, verrà ritenuto necessitare di un trattamento sanitario obbligatorio».
Il terzo procedimento, quindi, che vede coinvolti due carabinieri e sei poliziotti è giunto all'udienza preliminare dopo che il gip Giuseppe Battarino ha respinto la richiesta di archiviazione presentata dai pm Agostino Abate e Sara Arduini, disponendo l’imputazione coatta. Il procuratore generale di Varese, Felice Isnardi, aveva rimosso allora i pm dall'indagine, autoassegnandosi il fascicolo, ma finendo per confermare, il 9 giugno, la posizione dei colleghi.
«Le vicende processuali del caso di Giuseppe Uva», commenta il presidente di Amnesty International Italia: «Mettono in evidenza la necessità che vengano sempre svolte indagini tempestive, trasparenti e accurate in tutti i casi in cui emergano denunce di violazioni dei diritti umani».
Per l'organizzazione umanitaria quanto sta succedendo: «È un ulteriore segnale che non è più differibile che il paese si doti di strumenti adeguati a prevenire morti in custodia, maltrattamenti e tortura da parte delle forze di polizia, compresa l'introduzione di un reato specifico di tortura».