Dopo 36 anni il Mondiale di calcio torna in Sudamerica. Calcio d’inizio giovedì 12 giugno per la partita fra il Brasile, paese ospitante, e la Croazia. Sabato 14, alla mezzanotte italiana, toccherà agli azzurri. Tra qualche giorno e per un mese milioni di italiani si adatteranno ai fusi orari di oltreoceano, vivranno di notte, dormiranno poco, produrranno ancora meno e si chiederanno se la cresima del ragazzino o la gita al mare con la suocera sono davvero più importanti di Costa d’Avorio-Giappone (stadio di Recife, ore 3 antimeridiane) o di Honduras-Ecuador.
Al centro delle preoccupazioni e dei discorsi ci sarà il modulo di gioco di Cesare Prandelli, il rendimento degli azzurri e la speranza di andare più avanti possibile nel torneo anche se, come sempre, non siamo i più forti, non siamo i favoriti e diamo l’impressione di essere lì per caso, alla faccia delle quattro stelle, una per ogni mondiale vinto, cucite dentro lo scudetto.
Per un mese anche il disfattismo sarà una forma di scaramanzia. Intanto faremo la nostra corsa di attesa per cercare di fregarli tutti sul traguardo, spagnoli e argentini, brasiliani e tedeschi.
Il commissario tecnico o cittì, una figura che in Italia sta poco sotto il papa e poco sopra il presidente del Consiglio, ha convocato e messo insieme le piccole tribù del pallone. Adesso deve trovare la formula per fonderle nel leggendario amalgama, l’alchimia fatta calcio. Ogni cittì ha il suo metodo. Ed è sempre quello a vincere o perdere nell’unica grande nazionale dove il fuoriclasse della provvidenza non è mai stato importante.
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RENZIANI
Il fondatore ideale del circolo “Matteo Renzi” di Coverciano è proprio il commissario tecnico dell’Italia. Cesare Prandelli non teme accuse di opportunismo rispetto al premier trionfatore alle Europee ed è difficile dire se sia più lui renziano di quanto l’altro sia prandelliano.
Che la sinistra porti bene agli azzurri è scritto nella storia. Il presidente resistente Sandro Pertini è stato il nume tutelare dell’Italia di Enzo Bearzot, altro socialista, nella vittoria mondiale dell’82. Romano Prodi era a palazzo Chigi nel 2006 quando Marcello Lippi, approdato alla sinistra milionaria ma orgoglioso delle sue origini proletarie, sedeva sulla panchina dell’Italia quadricampione.
Davvero maluccio Silvio B. Nonostante i successi del suo Milan nelle competizioni di club, da premier della nazionale il post-Cavaliere ha messo insieme una finale persa all’Europeo 2000 su un golden goal francese che era una chiara persecuzione della magistratura internazionale. Infatti, l’istituto è stato eliminato subito dopo. Eliminata, e al primo turno, anche l’Italia di Sudafrica 2010, quando il governo Berlusconi IV subiva la recessione e la Spagna, non meno in recessione, vinceva il primo mondiale della sua storia. Il governo tecnico del milanista Mario Monti ha invece presieduto su un’altra finale, quella degli Europei 2012, conclusasi con la versione calcistica del massacro di Forte Apache (quattro a zero dalla solita Spagna). La cabala, insomma, si mostra favorevole con il renzismo che prende piede anche fra i convocati del mondiale brasiliano.
È vero che il capitano Gigi Buffon ha solide tradizioni a destra. Ma si sta rieducando con la lettura di una biografia del leader Pd. Anche gli altri del blocco juventino sembrano più allineati al progressismo del campionissimo Andrea Pirlo, con Claudio Marchisio che, dopo qualche gaffe su «Roma ladrona» e «Napoli antipatico», si è detto favorevole al matrimonio gay. Commento di Antonio Cassano: «Ci sono froci in squadra? Se penso quello che dico se la vedessero loro, io spero di no». Ma qui si passa dalla politica al versante psicoattitudinale.
DIVERSAMENTE STABILI
Josè Mourinho, allenatore esperto in calcolo neuronale, potrebbe fornire la somma algebrica tra il potere cerebrale di Mario Balotelli e quello di Antonio Cassano. L’equazione è meno semplice di quanto appaia. Il talento dei due, oggettivamente rilevante, è influenzato da una funzione psichica estremamente variabile. Con ottimismo e decisionismo renziani, Prandelli ha stabilito che Supermario e Fantantonio sono i due attaccanti titolari. L’azzardo è doppio. Sul piano tecnico, nessuno dei due vuole o sa fare il centravanti, un ruolo che del resto è in via di destrutturazione in tutto il calcio internazionale. Sul piano emotivo, la coppia pare destinata ad andare benissimo o malissimo, con le probabilità leggermente inclinate verso la seconda ipotesi.
Per caratteristiche si integrano anche bene. Uno è estroverso e l’altro musone. In campo amano gli scambi, i passaggi e il duetto altruista. La differenza fra Antonio e Mario è che il barese non poteva essere un campionissimo e non lo è stato. Il bresciano può essere un campionissimo e forse non lo sarà mai.
Oggi Cassano - frase culto «se fa caldo gioco all’ombra» - ha accettato i suoi limiti mentre Balotelli rifiuta di andarsi a prendere la gloria del top player per dispetto a se stesso. Entrambi hanno estro ma scarsa ambizione e tanta pigrizia. Il calcio attuale è vietato a chi lavora poco e in Brasile ci sarà molto caldo e poca ombra. Nel ritiro prima dell’amichevole con l’Irlanda i due attaccanti sono stati rimproverati durante i test atletici. Insomma, come si diceva una volta nei colloqui a scuola, potrebbero fare bene ma non si applicano.
Poi è anche vero che Prandelli, in quanto renziano estremista, è capace di fare una riforma a partita e, in caso di fallimento con gli inglesi, di delocalizzare la coppia dove molto spesso finiscono i profeti di Estro&Sregolatezza: in panchina. I possibili sostituti, dalla tribù degli emergenti, hanno poca esperienza internazionale ma più gavetta alle spalle. E, a differenza di Antonio e Mario, non erano predestinati al pallone d’Oro già a diciott’anni.
GIOVANI LEONI
Il trio meraviglia del Pescara di Zdenek Zeman stagione 2011-2012 se ne va compatto in Brasile. L’abruzzese Marco Verratti, i napoletani Ciro Immobile e Lorenzo Insigne, 67 anni in tre, sono quanto di più nuovo possa vestire l’azzurro. Al momento, nessuno dei tre sembra partire titolare. Due su tre, però, sono già partiti per l’estero. Verratti è il regista del Paris Saint-Germain anabolizzato dai milioni degli al Thani, gli emiri del Qatar. Immobile, capocannoniere dell’ultimo campionato di serie A, emigrerà a Dortumund in Vestfalia, per giocare con il Borussia del carismatico allenatore Jürgen Klopp.
L’unico a resistere ancora sui campi della serie A italiana è Insigne, anche se le occasioni di andarsene all’estero non mancheranno neanche a lui. Ovunque in Europa sarebbe titolare. Nel Napoli spesso inizia dalla panchina. È stato in ballottaggio fino all’ultimo per entrare nei 23. Alla fine, ha vinto la sfida contro Giuseppe Rossi, ancora in fase di recupero dall’infortunio al ginocchio, e Mattia Destro che, orrore, è un centravanti di ruolo. Prandelli ha mostrato coraggio nella scelta. Si spera che dia spazio al fantasista del Napoli quando Cassano finirà nella piazzola di emergenza soffocato dall’umidità amazzonica o nordestina.
ROTTAMANDI
Non è un centrocampo per giovani. L’età media dei centrocampisti selezionati per il Brasile, se si esclude dal calcolo Verratti, è superiore ai trent’anni. I possibili titolari Andrea Pirlo, Daniele De Rossi, Thiago Motta, Alberto Aquilani sono fra i più stagionati. Nessuno di loro è mai stato famoso per la corsa e in un Mondiale, prima o poi, bisogna correre. Si è visto nell’amichevole del 31 maggio contro l’Irlanda, una squadra che stenterebbe a salvarsi nella nostra serie A ma che spingeva sull’acceleratore e picchiava duro. Ne ha fatto le spese Riccardo Montolivo, finito in ospedale con la tibia rotta.
A parte l’infortunio del milanista e i presagi di sventura per i superstiziosi, il match pre-mondiale ha mostrato che il renzismo prandelliano attecchisce poco a centrocampo.
La rigenerazione atletica della nostra mediana, da qui a pochi giorni, è un atto di fede e di speranza. Per non lasciare il cittì senza il fondamentale suggerimento tattico de “l’Espresso”, si potrebbe tentare la carta Verratti, 22 anni il prossimo novembre. Il ragazzo è sfrontato, dribbla anche nella sua area piccola, quando perdere la palla significa subire il gol. Per essere così piccolino, ha una certa tendenza al tackle criminale e una collezione già rilevante di espulsioni. Però è un genio, c’è poco da fare. Titolare al posto di chi? Thiago Motta ormai è buono solo sui calci d’angolo. In più è straniero, brasiliano. Rottamarlo vuol dire recuperare elettorato a destra.
NUOVI ORIUNDI
La tendenza a presentare vecchi schemi come grandi novità non è, a sua volta, una novità. A partire dagli anni Venti dello scorso secolo l’Italia calcistica si è riempita di argentini, uruguayani, paraguayani e brasiliani che avevano un cognome italiano e potevano essere convocati in nazionale grazie a un’invenzione lessicale di puro stampo mussoliniano. Li chiamavano oriundi, con il gerundio di un verbo latino riadattato alle esigenze dell’italico idioma.
Da Libonatti a Sivori, da Schiaffino fino a Josè Altafini, vincitore di una Coppa del mondo con Pelè prima di mettersi in azzurro, gli italoamericani di seconda o terza generazione hanno contribuito alla causa della madrepatria con risultati alterni. Di solito erano campioni che sceglievano la nazionale italiana per convenienza economica o per risparmiarsi un mese di piroscafo quando c’era da giocare la Copa América.
Il termine oriundo è caduto in disuso come ala e contropiede. Insieme al laterale offensivo e alla ripartenza, oggi si parla di nuovi italiani o di nazionale multietnica. Il modo d’impiego dell’espressione ha un po’ della truffa in commercio. Altro è dire che Balotelli è un nuovo italiano perché nato in Italia da genitori africani o rimarcare che Giuseppe Rossi è nato a New York. Altro è pescare in Sudamerica un calciatore che non è abbastanza bravo per essere selezionato dalla sua nazionale e fabbricargli una trisavola di Castagneto Carducci.
La nouvelle vague dell’oriundo, rilanciata con Mauro Camoranesi campione del mondo 2006, ha trovato eco anche nelle convocazioni per Brasile 2014. Nei 23 di Prandelli ci sono Gabriel Paletta e Thiago Motta, mentre Rômulo Souza Caldeira è stato escluso dopo l’Irlanda. Con grande rispetto, nessuno di loro è Messi o Cavani. Vero che lo fanno anche altri e che non sempre si tratta di nazionali minori. La Spagna ha corteggiato con successo il puntero brasiliano Diego Da Silva Costa sfiorando l’incidente diplomatico con la federazione che ospita il mondiale. Ma non è detto che sia un bell’esempio. Il rischio è di lanciare un neocolonialismo calcistico dove con un passaporto e un carico di euro si supera il problema di allevare talenti doc. Basta dare un’occhiata all’Italia del rugby, simpatica e perdente. Il capitano della nazionale si chiama Quintin Geldenhuys. Con il massimo rispetto, è un boero sudafricano alto 2,03 per 115 chil e ha di sicuro meno problemi con gli avversari in campo che con l’italiano aulico dell’inno di Mameli.
Calpesti e derisi in Brasile? Tifiamo di no.
Attualità
6 giugno, 2014Un ct riformista e ventitré azzurri instabili, oriundi, rottamandi e giovanissimi: questa è la tribù del pallone che affronterà l'appuntamento in Brasile
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