Il circuito brianzolo, celebre per le gare di Formula 1, è in uno stato di completo abbandono. E Bernie Ecclestone minaccia di portare via dalla Lombardia i gran premi. Ma prima di lui sono già scappati in tanti

Ci sono due parole che Niki Lauda ripete spesso quando si ritrova ai box dell’autodromo di Monza. La leggenda austriaca della Ferrari dice «Grande casino» per descrivere il caos del circuito brianzolo, fra bagni pubblici inavvicinabili, via vai di tecnici e giornalisti, cabine non adeguate agli standard, parcheggi “all’italiana” improvvisati in mezzo al prato. Espressione perfetta per descrivere il putiferio che si sta consumando attorno al circuito brianzolo, che vive una lenta eutanasia.

Già, perché settimana scorsa l’ottantaquattrenne capo della Formula 1, Bernie Ecclestone se n’è uscito dicendo: «Non credo che faremo un altro contratto con Monza, il vecchio è stato un disastro dal punto di vista commerciale. Dopo il 2016 bye bye...». Un annuncio che suona come la premessa a una condanna a morte e si trasforma in choc per gli appassionati dei motori e le autorità locali.

Il sindaco di Monza, Roberto Scanagatti, ha replicato polemicamente a Mister E di farsi da parte, mentre il governatore della Lombardia, Roberto Maroni, ha chiesto l’intervento di Renzi. E i piloti più famosi, Alonso, Massa e Button hanno fatto quadrato per difendere “il tempio della velocità”. Perché quella di Monza non è una semplice pista: è un mito. Enzo Ferrari l’amava e qui Nuvolari, Mansell, Senna e Shumacher ce la mettevano tutta per trionfare: vincere a Monza significa avere coraggio, essendo il circuito più veloce in assoluto. Qui Juan Pablo Montoya nel 2005 ha toccato i 369 chilometri orari, segnando il record assoluto a bordo della McLaren.

E allora perché Ecclestone vuole scaricarla? «Perché Monza è un animale ferito e lui lo sa», racconta Gigi Vignando, speaker ufficiale del circuito e custode dell’archivio video di tutti i Grand prix. Dal 1967 lavora 365 giorni l’anno in un ufficio un po’ arrangiato, dietro la tribuna centrale, e quotidianamente vive lo sfascio tangibile di Monza, che brilla per una settimana l’anno, ma ripiomba in uno stato di abbandono non appena i piloti se ne vanno.

Per arrivare all’autodromo bisogna attraversare un tratto del Parco di Monza, che separa il frastuono della città dal silenzio dell’ingresso, simile a un casello autostradale degli anni Sessanta, colore blu sbiadito dal sole. All’interno ci sta un uomo in divisa grigia, sgualcita. Pare annoiarsi, forse perché di gente ne passa poca. Si limita a staccare il ticket da cinque euro a quei rari turisti che vogliono vistare il tempio della velocità, ignari del fatto che la parola “tempio” è per lo più metaforica.

Un museo c’era, ma da 17 anni è chiuso. «Sarà successo un mese fa. Mi trovavo sul viale principale e due giovani turisti neozelandesi, brandendo i biglietti d’ingresso, mi chiedono dove sia il museo», racconta Vignardo che con un certo imbarazzo ha spiegato ai due che l’unica cosa da vedere è la statua di Manuel Flangio, tutta lustra perché chi viene a visitare l’autodromo finisce avvinghiato a quel piccolo monumento per la foto ricordo. La statua si trova fra una cabina telefonica anni Novanta e l’unico baretto, dalle luci fioche, che ricorda molto un circolo di paese, uno di quelli dove volentieri si ordina una spuma. A fianco un negozio di vestiti. Ma dentro non c’è nessuno, neppure la commessa, la porta è sbarrata e la luce spenta. Dall’altra parte della strada c’è una rete metallica, piuttosto datata, che delimita il paddock, l’area dietro ai box. È un piazzale ricco di erbacce che bucano l’asfalto e due piccoli uffici di Magneti Marelli e dell’utensileria Beta: saracinesche abbassate. Anche l’unico ristorante ha chiuso i battenti perché il bando di assegnazione è saltato.

«Fino a cinque anni fa prenotare la pista era impresa ardua. Adesso è subito disponibile, ma quasi nessuno la richiede», spiega Vignardo che snocciola una serie di tristi addii. Da Monza se n’è andato il blasonato Mondiale Turismo, stessa storia per la Coppa Intereuropea, cancellato il Trofeo Cadetti e non ci passa più neppure la World Endurance Championship, il campionato prototipi. Identica fine per il Gp Lotteria di Monza e la Coppa Carri dedicata al Turismo. Da quest’anno Monza non vedrà più sfrecciare neppure le moto, perché ha perso pure il Mondiale Superbike per via dello “scandalo bolle”: deformazioni micidiali per i motociclisti sul manto stradale della parabolica, taciute dai gestori della struttura. Una vicenda scaturita in un’inchiesta che ha travolto tutti i manager della Sias, la società che fa capo all’Aci di Milano e gestisce la pista brianzola.

Era il maggio del 2012 quando la Finanza arrivò in autodromo per perquisire la villa del direttore del circuito, Enrico Ferrari. Il prossimo 18 settembre, undici giorni dopo l’atteso Gp, inizierà il processo ai quindici imputati, molti dei quali sono ex vertici Sias, fra cui Ferrari, il direttore tecnico Giorgio Beghella Bartoli e il responsabile dell’ufficio pista, Stefano Tremolada. Tra i capi d’imputazione, false fatturazioni, turbativa d’asta e la messa a repentaglio della sicurezza dei centauri della Superbike.

Il problema è che, con il cambio della guardia - l’autodromo ora è presieduto da Carlo Edoardo Valli, 78 anni, che è anche il numero uno dell’Aci Milano - nulla è cambiato. Presto ci sarà la sfida per il rinnovo delle cariche all’Aci. Da un lato ancora Valli; dall’altro l’ex pilota Ivan Capelli, sostenuto da Andrea Dell’Orto, presidente di Confindustria Monza, stanco di fare figuracce con i suoi clienti: «Gli stranieri, che vengono a visitare le nostre ditte in Brianza, vogliono a tutti i costi vedere l’Autodromo. Noi cerchiamo di dirottarli altrove, ma non c’è verso. Dobbiamo mostrare loro questo circuito, alquanto malconcio», racconta l’imprenditore.

Per raggiungere la pista si devono attraversare i sottopassi, puntualmente sommersi dall’acqua in caso di pioggia e simili a quelli di una periferia abbandonata. Dalla vernice scrostata sui muri dei tunnel riemergono graffiti romantici “Senna”, “Villeneuve”, “Gilles toujours avec moi”. Proseguendo, si passa al fianco della Sopraelevata, storica pista dell’alta velocità, un semicerchio inclinato che doveva essere ristrutturato entro l’inizio di questo mese ma le opere non sono ancora partite.

Nel frattempo, sotto ai curvoni, è fiorito un deposito di gomme a cielo aperto. Prima di accedere alla tribuna Ascari, ecco un altro dettaglio vintage: i bagni pubblici. Quadrati in cemento risalenti agli anni quaranta e mai riqualificati: «Lasciate ogni speranza voi che entrate», è il commento sarcastico di Gigi Vignando. E poi finalmente la tribuna. Nei giorni del Gp costa 380 euro sedersi su quei pezzi di cemento muschiato, senza tetto e sostenuti da lamiere autografate da tifosi passati di lì nel 1995. E parla da sola la grande scritta che campeggia sopra una delle tribune, visibile dalla linea di partenza. Una volta diceva, “Autodromo Nazionale di Monza”, ma una folata di vento, due anni fa, l’ha trasformata in “Autodromo Nazional”, e da allora così è rimasta.