Il dl Competitività prevede la possibilità di aumentare gli scarichi in mare degli stabilimenti industriali e prevede nuove tabelle per la contaminazione delle aree militari. Alzando fino a 100 volte i limiti di alcune sostanze cancerogene o pericolose per la salute. «Un colpo di spugna vergognoso sulle bonifiche» denunciano le associazioni ecologiste
«Bisogna correre verso un’Italia più sicura e sostenibile sotto il profilo ambientale». Con la smania di cambiare verso all’Italia e dare un’accelerazione al Paese, sarà meglio fare attenzione che la corsa non porti verso il burrone dell’irreparabile. Nonostante l’ottimismo del ministro Gian Luca Galletti - che ha ribattezzato “Ambiente protetto” la parte di sua competenza del
decreto Competitività - a spulciare fra le pieghe del provvedimento il nome scelto sembra infatti quanto meno eccessivo. Se non del tutto fuori luogo, come denunciano numerosi comitati e associazioni ecologiste.
SITI MILITARIIl punto più controverso riguarda i siti militari (circa 50 mila ettari in tutta Italia), inquinati da metalli pesanti e a volte -
come mostra il caso del poligono di Quirra in Sardegna, di cui
l’Espresso si è occupato
più volte - anche da sostanze radioattive come l’
uranio impoverito. Per risolvere il problema delle bonifiche, assai impegnative dal punto di vista economico, il decreto del governo pare aver escogitato un modo semplice e veloce: equiparare i valori consentiti a quelli delle aree industriali. In questo modo, pur interessando coste, boschi e zone di macchia mediterranea (come a Capo Teulada in Sardegna, o a Monte Romano nel Lazio) i livelli di inquinamento tollerati potranno essere notevolmente più alti rispetto ad aree verdi o residenziali.
All’articolo 13, comma 5, si legge infatti che per le zone militari “si applicano le concentrazioni di soglia di contaminazione di cui alla Tabella 1, colonna b, dell’allegato 5, alla Parte IV, Titolo V” del Codice dell’Ambiente. In questo modo, solo per citare qualche esempio, lo
stagno potrà avere un concentrazione nel suolo
fino a 350 volte superiore, mentre
potranno essere centuplicati i valori dei cianuri (da 1 a 100 mg/kg), così come il
benzopirene o la sommatoria dei composti policiclici aromatici (etilbenzene, stirene, toluene e xilene). I
fluoruri, anziché essere contenuti entro i 100 mg, potranno arrivare fino a 2000 mg per chilogrammo, ovvero 20 volte in più. Come il
benzene, che rappresenta
uno dei 113 agenti cancerogeni più pericolosi in base alla classificazione dell’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro.
Disposizioni, quelle relative alle aree militari, che tuttavia non appaiono
nel comunicato stampa né
nella presentazione concepita dal dicastero dell’Ambiente per illustrare il provvedimento. «È un evidente regalo al ministero della Difesa, che in questo modo potrà evitare di intervenire sui numerosi siti di propria competenza» attacca il co-portavoce dei Verdi,
Angelo Bonelli.
SILENZIO ASSENSOIl decreto prevede anche una semplificazione per le bonifiche dei siti privati a opera dei proprietari, responsabili dell’inquinamento. Perno di questa procedura è il meccanismo del silenzio-assenso, introdotto in via sperimentale fino al 31 dicembre 2017. Chi vorrà bonificare un’area potrà autocertificare i dati di partenza - così da consentire allo Stato di non spendere denaro nello studio preliminare - e terminato l’intervento dovrà inviare all’Arpa (l’Agenzia regionale per la protezione ambientale) i risultati delle operazioni. Gli uffici avranno però solo 45 giorni di tempo per approvarli. “Decorso inutilmente il termine, il piano di caratterizzazione si intende approvato” recita il decreto.
Ovvero, se le Agenzie non faranno in tempo a rispondere (come può accadere a causa delle ampie dimensioni o solo dell’eccessiva mole di lavoro), la bonifica sarà comunque data per buona. E il sito potrà essere utilizzato in base alla nuova destinazione d’uso prevista.
SCARICHI IN MARENovità in vista anche per gli scarichi in mare di “solidi sospesi totali”, con cui si indicano le sostanze non disciolte presenti nelle acque di scarico. A essere beneficiata sarà tutta una serie di impianti industriali di grandi dimensioni come acciaierie, centrali elettriche e a carbone, cementifici, raffinerie, ma anche stabilimenti chimici, rigassificatori e inceneritori. “In tal caso - prevede il decreto - le Autorizzazioni integrate ambientali rilasciate per l’esercizio possono prevedere valori limite di emissione anche più elevati e proporzionati ai livelli di produzione”.
Tradotto: più si produce e più alto sarà il quantitativo che potrà essere scaricato in mare rispetto a quanto previsto attualmente dal Codice dell’Ambiente. Un aspetto particolarmente sentito dalle aziende, come mostra la vicenda della Solvay, l’azienda chimica belga che nei mesi scorsi
ha patteggiato una multa proprio per aver sforato per anni i limiti imposti allo stabilimento di Rosignano (Livorno).
«È la solita scorciatoia all’italiana, perché il nostro sistema produttivo non vuole pagare quel che dovrebbe per risanare le aree che ha inquinato» commenta
Augusto De Sanctis, del Coordinamento nazionale siti contaminati, realtà che raduna una quarantina di comitati e associazioni attive sul tema delle bonifiche. «Si cerca di chiudere “la stagione dei veleni” privatizzando le operazioni per risparmiare. Ma è solo un colpo di spugna vergognoso: alzare i limiti di contaminazione non vuol dire risolvere i problemi ma solo nascondere polvere sotto il tappeto».
CARA BONIFICAChe le bonifiche rappresentino un aspetto assai “caldo” è indubbio: il decreto 91 è il quarto intervento su questo fronte in poco più di un anno. All’inizio del 2013 (governo Monti) l’allora ministro
Corrado Clini portò i Sin (Siti di interesse nazionale, ovvero i più inquinati e pericolosi per la salute) da 57 a 39, affidandone 18 alla competenza delle Regioni. «Non hanno le caratteristiche per essere classificati di interesse nazionale» spiegò, lasciando intendere che lì la situazione era meno grave. Peccato che nella lista ci fosse anche la
Terra dei fuochi, dove la situazione si è invece rivelata talmente compromessa da richiedere un intervento legislativo ad hoc.
Il
decreto del Fare (governo Letta) previde inizialmente che le bonifiche potessero essere compiute “ove economicamente possibile”.
Una circostanza già prevista, pochi mesi prima, anche dal decreto Semplificazione di Monti. In entrambi i casi, però, le proteste hanno evitato un simile scenario.
Il “
Destinazione Italia”, dal canto suo, in un primo momento prevedeva una sorta di condono, con contributi pubblici erogati anche per finanziare le bonifiche (che devono essere a carico del responsabile dell’inquinamento). E solo in seguito, dopo nuove proteste, i fondi sono stati destinati unicamente alla riconversione industriale. Adesso, da ultimo, l’“Ambiente protetto” del governo Renzi.