È una missione umanitaria, ma anche l'ultima pedina mossa dal governo Renzi nello scacchiere della politica europea. Da mercoledì 27 agosto, un contingente italiano è operativo a Bangui, la capitale della Repubblica Centroafricana. Sono cinquanta genieri della Folgore, paracadutisti con mezzi speciali per ripristinare ponti e strutture crollate. Nel marzo 2013 l'esplosione della guerra tra il presidente Francois Bozize, sostenuto dalle milizie cristiane, e un fronte armato islamico ha causato mesi di devastazioni e atrocità, con stupri e massacri nel segno della pulizia etnica. Si stima che i morti siano stati duemila, spesso donne e bambini, mentre un milione di persone è fuggito dai centri abitati per sottrarsi alla violenza: un quarto della popolazione del Paese oggi vive nei campi profughi improvvisati.
A dicembre, un'operazione parallela della Francia e dell'Unione Africana ha fatto scendere in campo 8000 uomini per porre fine ai combattimenti e proteggere i civili dagli attacchi. E a fine gennaio le Nazioni Unite hanno autorizzato l'Ue a schierare una forza di pacificazione, che dallo scorso aprile ha preso posizione costruendo un quartiere generale nella capitale.
Si tratta di ottocento tra soldati e gendarmi per difendere l'ordine a Bangui. Nei dintorni dell'aeroporto c'è una colossale tendopoli con decine di migliaia di persone accampate da un anno in baracche improvvisate tra vecchi hangar e carcasse di velivoli: lo scalo internazionale viene ritenuto la zona più sicura, l'unica immune dagli assalti delle bande tribali.
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La partecipazione italiana è stata chiesta nella scorsa primavera personalmente dal presidente Hollande, che oltre a questo fronte deve gestire l'impegno in Mali contro la guerriglia fondamentalista. Il governo Renzi ha accettato, alla luce della natura umanitaria della missione ma anche in vista del nostro semestre di guida dell'Unione, con il pressing per imporre Federica Mogherini al vertice della politica estera Ue.
Il nostro contributo è stato concentrato su un distaccamento di genieri, che hanno portato grandi gru mobili per la rimozione di ostacoli e la ricostruzione della rete stradale. Ma si tratta comunque di parà, quasi tutti veterani dell'Afghanistan, con alcuni veicoli blindati Lince armati di mitragliatrice. Perché nel frattempo anche a Bangui il clima è tornato teso, con la ripresa di manifestazioni e attriti tra i movimenti cristiani e quelli musulmani. Nella notte del 19 agosto, le pattuglie europee sono state attaccate con raffiche di kalashinikov, che hanno ferito cinque soldati. Poi la mattina successiva due cortei opposti di protesta sono stati fronteggiati dai gendarmi della Ue: ci sono stati tafferugli, con il lancio di granate che hanno colpito altri cinque militari.
La popolazione islamica - prima del conflitto si stimava fosse il venti per cento del totale - risiede soprattutto nel Nord, ma nella capitale ci sono quartieri cristiani e musulmani. In questi ultimi i reparti di Parigi sono visti come “protettori” del deposto presidente Bozize, arrivato al potere dopo un golpe nel 2003 e poi risultato vincitore di due elezioni, che è stato sostenuto in passato da due interventi militari francesi. Per questo la presenza di una forza europea, con soldati di più paesi, è stata richiesta dalle Nazioni Unite. In attesa di affidare il campo a un massiccio dispiegamento di caschi blu: il Palazzo di Vetro ha previsto l'invio di 14 mila soldati ma la partenza dell'operazione è ancora carica di dubbi.
Questo è lo scenario difficile in cui hanno cominciato a muoversi i soldati italiani. Il governo ha stanziato tre milioni di euro per la loro attività e il comando del contingente ha già preparato un piano di lavoro. Ripristinare le strade è fondamentale per riuscire a distribuire gli aiuti dell'Onu alla popolazione che è ancora sparsa nei campi. Bisogna però che le condizioni del Paese permettano di aprire i cantieri.