Il denaro ha prodotto avidità. Che la Lega ha giustificato. 
Ma ora si sente un’aria nuova... (Foto di Alessandro Grassani)

olmi2-jpg
È un sontuoso e lindo vialone che porta verso l’alto, verso una cittadella cintata da alte mura e che da lontano ricorda certe visioni del paradiso care ai pittori del Quattrocento, la prima cosa che un viaggiatore vede appena sbarcato dal treno a Bergamo. Il vialone porta il nome di papa Giovanni XXIII, il cittadino più illustre del luogo: a marcare la sua radice cattolica, tesa a un’idea del mondo a venire, ma al contempo, popolare e concreta.

[[ge:rep-locali:espresso:285130673]]Chi parla coi bergamaschi si sente spiegare, e subito, che trattasi di una città, duale e doppia: dove persiste un antagonismo tra Bergamo Bassa, dedita a lavoro e affari, e Bergamo Alta, scrigno di antiche bellezze, memore del suo passato da avamposto militare della Serenissima in terra lombarda, superba, altera, insofferente alla modernità, e tuttavia (ulteriore contraddizione) adorata da un campione del modernismo come Le Corbusier. I bergamaschi parlano anche della dialettica tra il potere del vescovo (che qui impediva persino di aprire discoteche sul territorio cittadino) e lo spirito patriottico risorgimentale: molti dei Mille erano bergamaschi. Ma il percorso del vialone, verso il cielo, verso la vista di quelle colline che incantarono il giovane Stendhal (ospite di Palazzo Terzi, ai primi dell’Ottocento) è lineare e tranquillizzante, come se si volesse abolire questa dualità. E del resto il pontefice che ne è titolare è stato l’uomo che ha conciliato il cattolicesimo con la modernità.

Per visitare Bergamo, “l’Espresso” ha scelto come ideale guida Ermanno Olmi, bergamasco, regista (in autunno uscirà il suo nuovo film “Torneranno i prati” dedicato alla Grande guerra), cattolico lontano da ogni sacralità che non sia intrinseca alla vita quotidiana, cantore del lavoro e dei mestieri.

C’è un filo rosso, o meglio un tono cromatico e della composizione di immagini a unire Olmi e Lorenzo Lotto, pittore che e Bergamo ha vissuto per una dozzina di anni. Nella celebre Pala di San Bernardino (in via Pignolo, ma la chiesetta è aperta al pubblico un paio d’ore a settimana), è raffigurato in basso un angelo: vestito di marrone (il colore della terra), con le ali fatte da piume di pavone (uccello, simbolo del paradiso, secondo la tradizione qabbalistica), piedi nudi da contadino e faccia stanca dalla fatica. E c’è una Madonna col bambino Gesù in braccio nella chiesa di San Bartolomeo (la chiesa dei domenicani), che più che della santità ci parla della giustizia terrena, e che celebra il potere della Serenissima. Sono i colori e le tonalità dell’“Albero degli zoccoli” e del “Mestiere delle armi” di Olmi: ed è anche l’esaltazione non aulica, ma provinciale nel miglior senso della parola, del lavoro umano. «È semplice», risponde Olmi, «dall’ambiente in cui siamo nati riceviamo una sorta di alimento che forma la nostra personalità e visione del mondo».

Prosegue: «Per spiegare la natura di Bergamo occorre ricordarsi che si tratta di un luogo dove l’uomo trovò le condizioni per avere delle rassicurazioni, una terra fertile che dà cibo. Vogliamo fare un confronto con Milano? Milano è un luogo dove i corsi d’acqua convogliavano su un punto di massima depressione geologica. In questo incrocio di canali si è formata una città dove il cittadino era rassicurato dallo scambio delle merci. Bergamo invece significa una rassicurazione data dal lavoro della terra. Che a sua volta consiste nel rapporto tra l’uomo e la zolla. E poiché la zolla non tradisce, l’uomo ha rispetto per lei. Il rapporto tra il contadino e la terra, che è la madre, si basa sulla reciproca onestà, non sull’idea del profitto».

Passeggiando lungo le strade si nota quanto sia consolidata (dal punto di vista architettonico e toponomastico) l’idea dell’onestà e della generosità. C’è un monumento all’Alpino e uno al Partigiano (opera di Manzù); nei pressi della Porta Nuova c’è un “polo patriottico”: la Torre ai caduti di Piacentini a ricordo dei combattenti della Grande Guerra, e una statua equestre di Vittorio Emanuele; nel municipio una targa coi nomi dei quattro Costituenti bergamaschi della Repubblica. Non lontano, il palazzo dove abitava Francesco Nullo, garibaldino, morto nel 1863 combattendo armi in pugno per la libertà della Polonia (e in Polonia considerato eroe nazionale).

La città è sede di numerose ong che operano nel mondo intero. Fu qui che si sviluppò l’eresia del “Manifesto”, con Lucio Magri. E qui molti giovani aderirono al terrorismo, convinti di lottare per il bene dell’umanità, sulle orme dei partigiani e del capitano Nullo, appunto (fu una forma perversa perché assassina del sentimento di solidarietà). Ma di tutto questo cosa è rimasto? Bergamo negli ultimi decenni è stata simbolo del leghismo, dell’egoismo eletto a ideologia e visione del mondo. E poi, è vero, la zolla dà da mangiare, ma qui c’era anche fame e pellagra.

«I grandi proprietari terrieri trattavano i contadini come loro proprietà, erano padroni della vita e della morte degli uomini», osserva Olmi. «Ma con l’industrializzazione sono stati messi in difficoltà. Molti contadini avevano deciso di emigrare, per cercare la fortuna altrove. E i proprietari terrieri per rimediare hanno fatto una cosa intelligente: hanno introdotto il sistema della mezzadria (metà del raccolto al padrone, metà al contadino). Così il contadino è diventato imprenditore di se stesso. La giusta retribuzione riscatta la pellagra», ride il maestro.

Nasce però anche l’egoismo. «L’egoismo nasce con la ricchezza. La parola d’ordine è: voglio guadagnare più di te e non voglio spartire il mio guadagno con te». Riflette: «Ciò che abbiamo considerato progresso si è rivelato ricchezza fasulla». Attacca la Lega: «Ha sollecitato la gente e incoraggiato gli artigiani a non spartire la ricchezza con gli altri, ossia a non pagare le tasse». Alza la voce: «Dal punto di vista etico la Lega è come la pellagra, una malattia che deve essere debellata. Ma per vincerla bisogna trovare le motivazioni giuste. E la vera motivazione morale è che il dovere di ogni uomo è essere onesto e civile». Intanto, da qualche mese, la città ha un nuovo sindaco, Giorgio Gori, eletto con i voti del centro sinistra: «Ha esperienza manageriale ad altissimo livello nell’ambito, molto specifico, della tv», dice Olmi. «Adesso però è diventato un uomo politico che deve occuparsi di tutti gli aspetti della vita; deve decidere se lavorare per costruire una società civile o invece assecondare i furbastri che cercano di procurarsi il proprio boccone con qualunque mezzo», chiosa.

Ma non è pessimista, Olmi: «Ho l’impressione che sia cominciato il momento del dubbio e dei grandi ripensamenti. Credo fortemente nella nuova classe politica bergamasca». Parla del Kilometro rosso, un polo tecnologico, ma anche parco artistico, progettato da Jean Nouvel su un’area di 400 mila metri quadri, nei terreni dell’ex fabbrica di freni: «È un’iniziativa di grande valore, dove le attività imprenditoriali si confrontano con quelle artistiche». Spiega che si tratta di una piccola rivoluzione antropologica, di cui Bergamo è il centro. «Bisogna riscoprire valori come amicizia, sorpresa. Bisogna essere aperti a scambi reciproci e disinteressati. Io faccio il cinema, ma parlo con chi fa il pane e le scarpe. L’uomo ha bisogno di un cammino comune, condiviso». Precisa che non si tratta di abbandonare le specializzazioni, anzi. «Se compro il pane all’autogrill, acquisto un prodotto che si vende in tutta l’Europa. Se lo cerco invece da un panettiere locale, mangerò un pane che ogni giorno avrà un altro sapore. Come la musica, ogni volta che si suona, cambia».

Bella utopia, anche se per Olmi in via di realizzazione. Ma intanto, le storiche librerie chiudono, il caffè Balzer, luogo tradizionale d’incontro, ha rischiato di passare in mano agli arabi e al Sentierone, il corso-salotto di Bergamo dominano banche e negozi di griffe internazionali. Le facciate dei palazzi sono fin troppo curate, quasi a togliere l’anima e il cuore alla città. Il monumento a Donizetti (fatto alla fine dell’Ottocento dal calabrese Gaetano Jerace), con le sculture del compositore e di una bella arpista, sembra un anacronismo, in mezzo a tanta e ostentata ricchezza tutta materiale e poco spirituale.

E allora cerchiamo un po’ dell’anima nella Città Alta. Piazza Vecchia, che tanto piacque appunto a Le Corbusier è come sempre piena di turisti; lo stupore rimane, per il gioco delle proporzioni, per una certa irregolarità della pianta, che fa sembrare la piazza più grande delle sue vere misure. Bergamo è anche città di illusioni e apparenze. Di confine, appunto, ma con una popolazione che non ama mescolarsi con gli altri, e resta indifferente al flusso turistico (le chiese fanno a mezzodì una lunghissima pausa, quasi come nella meridionale Andalusia quaranta anni fa). Ma il fascino sta forse nel gioco degli opposti, nella mescolanza del sacro e profano.

La luminosa e ariosa Cappella Colleoni, con la tomba del condottiero raffigurato come se fosse un imperatore su un cavallo dorato, è stata ricavata (alla fine del Quattrocento) dalla Basilica di Santa Maria Maggiore. La Basilica invece è buia, irregolare, senza un’entrata principale, e con magnifici intarsi in legno, disegnati da Lotto e che rappresentano scene di lotta del Bene contro il Male (Davide e Golia, il trionfo degli israeliti contro le truppe del faraone e così via). Poi si entra in Duomo, ed è luce, oro e uno stupendo Tiepolo (presente anche nella Capella Colleoni). Pochi turisti si accorgono del palazzo neoclassico sede del Liceo Sarpi, dove da sempre si forma la classe dirigente cittadina. Architettura e colori austeri, atmosfera di rigore, ma anche di consapevolezza dell’importanza del sapere; più potente di ogni bellezza rinascimentale e della sensualità di un Tiepolo.

E intanto, le mura venete di quel pezzo della città, abitato da ricchi e benestanti, cadono a pezzi. Evidentemente di quello che non è proprietà privata nessuno si occupa. Risponde Olmi: «C’è la natura e ci sono le opere degli umani. La natura si governa benissimo senza gli umani. Se parliamo invece delle opere pubbliche, dell’arte come patrimonio, allora bisogna dire che l’uomo non sa badare a se stesso. Ma il problema non riguarda solo Bergamo. È l’Italia che deve svegliarsi e capire quali sono i suoi valori. Dobbiamo considerare l’Italia come un vero giardino botanico del mondo (sì, non solo le opere dell’arte, ma anche la varietà delle piante sono un valore inestimabile nel nostro Paese). E cosa facciamo? Tagliamo le piante per costruire le seconde e le terze case. Siamo schiavi di una stupidità congenita. Non vediamo ciò che sarebbe la fonte del giusto guadagno».

Per concludere si torna a parlare del cristianesimo molto particolare di Olmi dove (in uno dei film) il crocefisso può essere bruciato per riscaldare la casa. È un cristianesimo che ha a che fare con la natura contadina e pratica di Bergamo? «La sorprenderò», risponde. «Io sono ebreo. Lo sono in quanto seguace di Cristo, Gesù era un rabbino. E il cristianesimo assomiglia a quel ramo di un albero (l’ebraismo) che si è sviluppato particolarmente bene perché aveva la posizione migliore per godere dell’aria, del sole, dell’acqua. L’unica novità di Gesù è l’idea del perdono come vero atto di giustizia». Conclude: «E per quanto riguarda Bergamo, ho cessato di essere solo un bergamasco, e mi sono aperto al mondo e alle sue esperienze. Non dimentico la zolla. Ma se colgo valori in altri, non cristiani e non bergamaschi, non tradisco né Bergamo né il cristianesimo».

E così si capisce, anche, come e dove è nato l’ecumenismo del papa Buono, Giovanni XXIII.