Il boss della 'ndrangheta? «Un uomo gentilissimo, tranquillo, composto, educato e che ha sempre vissuto a basso livello», sostiene il sindaco del Pd. «Ha dato lavoro a diverse famiglie, in fondo la mafia è nata per togliere ai ricchi e dare ai poveri», è invece l'opinione, davvero singolare, di un cittadino seduto al bar del paese. Non siamo a Corleone, né a San Luca o Cutro, né tantomeno a Casal di Principe. Ma nella piazza di Brescello, provincia di Reggio Emilia. Un paesone bagnato dal Po e famoso per aver fatto da set cinematografico alla saga di Peppone e Don Camillo. La persona gentilissima, tranquilla, composta, educata, descritta dal giovanissimo Marcello Coffrini, primo cittadino di Brescello, è Francesco Grande Aracri. Un imprenditore che, secondo i detective dell'antimafia, è il reggente della cosca capeggiata dal fratello Nicolino detenuto al 41 bis .
Le dichiarazioni sono finite in un lungo reportage dal titolo “La ‘Ndrangheta di casa nostra. Radici in terra emiliana
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Una video inchiesta, firmata dai giornalisti del collettivo Corto circuito, sulla 'ndrangheta e sul potente clan Grande Aracri, che ha provocato reazioni contrastanti: chi solidarizza con i cronisti e chi si mette sulle difensive negando ogni evidenza giudiziaria. Caos anche nel partito democratico, che non ha gradito le parole in libertà dette da Coffrini. Che arrivano a pochi giorni di distanza dalla visita della Commissione parlamentare antimafia a Bologna.
Le sue dichiarazioni infatti hanno fatto trasalire il segretario provinciale dei democratici Andrea Costa che ha scritto una nota molto dura con la quale prendeva le distanze dall'amministratore: «Partiamo da quello che deve fare e da quello che non deve fare un sindaco del Pd: i nostri amministratori non stringono la mano ad un condannato per mafia, non lo salutano, non lo frequentano; i sindaci e gli amministratori Pd devono avere un forte senso etico, devono avere ben chiaro che ci sono comportamenti leciti ma non opportuni e, quindi, devono sempre avere molto forti alcuni principi. Noi stringiamo la mano a Ignazio Cutrò, un testimone di giustizia che è venuto a trovarci anche a FestaReggio, non a Grande Aracri».
Gli autori dell'inchiesta sono un gruppo di giovani studenti che, da qualche anno, consumano le suole delle scarpe per raccontare il potere della 'ndrangheta emiliana. Si sono spinti fin dentro la pancia della Valpadana, nelle roccaforti del crimine organizzato. [[ge:espressoarticle:eol2:2174600:1.40564:article:https://espresso.repubblica.it/attualita/cronaca/2012/02/20/news/addio-peppone-ora-c-e-la-mafia-1.40564]]Qui, come raccontato due anni fa da “l'Espresso”, ci sono i feudi della mafia calabrese. Un presenza che risale a parecchi decenni fa. E di cui stanno parlando numerosi pentiti, almeno cinque, che stanno svelando il sistema Emilia.
L'insediamento risale agli anni '70. Eppure, ancora per molti, la 'ndrangheta da queste parti non esiste, o meglio non deve esistere. Gli arresti, i sequestri di beni per milioni di euro, le cene tra politici e pregiudicati, le oltre 50 aziende bloccate dal prefetto perché sospettate di legami con le cosche, sono tutte vicende da minimizzare. [[ge:espresso:attualita:1.160439:article:https://espresso.repubblica.it/attualita/2014/04/09/news/le-mani-della-ndrangheta-sull-economia-dell-emilia-13-arresti-e-beni-sequestrati-1.160439]]
Perché in Emilia, nel cuore produttivo dell'Italia, i clan spesso fanno comodo. Stabilire partenership con le loro imprese è conveniente. Dopotutto non si tratta più di sedersi al tavolo con padrini che ostentano l'arroganza di un tempo. Oggi parlano un italiano corretto, sono vestiti bene, girano su costosissimi Suv. Insomma, né più né meno di qualunque altro imprenditore locale. Ma soprattutto hanno tanti soldi. Hanno quattrini che prestano volentieri a chi è in difficoltà. E sono sempre disponibili ad aiutare chi attende con ansia i pagamenti di ditte con l'acqua alla gola. In tempi di crisi, il recupero del credito è un servizio molto richiesto. In queste attività finanziarie la cosca Grande Aracri è specialista. Non a caso il collaboratore di giustizia Angelo Cortese definì Reggio Emilia «il bancomat delle 'ndrine».
Da queste parti la mafia ha un marchio ben preciso: sono due cosche, Arena e Grande Aracri, che si spartiscono in armonia la pianura. Nicolino Grande Aracri, detto “Manuzza”, è il capo storico della 'ndrina. Il suo regno è all'apice dello splendore, nonostante si trovi rinchiuso in una cella di massima sicurezza. Ma la detenzione non ha frenato le sue mire. Può contare su uomini d'onore fedelissimi: uno stuolo di luogotenenti e prestanome che vivono stabilmente tra Reggio, Modena, Mantova e Verona. Questi duecento chilometri a Nord di Bologna sono, in pratica, il quadrilatero della 'ndrangheta emiliana. È impressionante il numero di società, con sede in queste zone, che secondo gli investigatori sono riconducibili alle teste di legno di “Manuzza” e ai clan alleati. Già, perché i Grande Aracri sono stati abili sarti nel cucire relazioni con altre famiglie. Una caratteristica che li ha portati in cima alla gerarchia della mafia calabrese. Tanto da vantare solide amicizie con i grandi boss della Jonica e della piana di Gioia Tauro. Oggi a fare le veci di don Nicolino c'è, secondo gli inquirenti, il fratello Francesco, la stessa persona che il sindaco di Brescello ha definito «gentilissimo, educato».
Lungo la via Emilia si muove un esercito di affiliati in cerca di nuovi affari. I business vanno dall'edilizia al trasporto, dall'usura al gioco. Le aziende del clan si danno da fare nei cantieri pubblici e in quelli privati. Hanno lavorato nei cantieri dell'Alta velocità, tra Reggio e Parma. Hanno realizzato tangenziali, strade, scuole, palazzine e villette. E sono state protagoniste della prima fase della ricostruzione post terremoto quando sui i camion targati 'ndrangheta sono state caricate tonnellate di macerie.
Per gestire così tanto potere però è necessario l'appoggio di una rete di insospettabili. Professionisti, ma anche politici. Le prove di questi contatti sarebbero nelle mani della procura nazionale antimafia, che già in un documento del 2012 segnalava un fatto inquietante: «Nel territorio emiliano i contatti con la politica esistono, sono esistiti nel 2007, quando ci furono le elezioni amministrative di quell'anno, e non escludo che ci siano stati anche con riferimento alle elezioni amministrative del corrente anno, contatti con la politica».
Eppure il messaggio è rimasto inascoltato. In tanti continuano a fare finta di niente, a criticare giornalisti e magistrati che, a loro parere, sono colpevoli di allarmismo. Un negazionismo che fa passare inosservata anche una cena tra esponenti del Pdl locale di Reggio Emilia e pregiudicati legati ai Grande Aracri. Di cosa si parlava a quella cena? Secondo le prime ricostruzioni investigative i commensali discutevano di come arginare lo strapotere del prefetto di allora, Antonella De Miro, che in soli tre anni ha sospeso per mafia un numero impressionante di imprese. Un'attività prefettizia che parte del territorio non ha gradito. Nella mischia infatti sono finite pure aziende i cui titolari sono nati in Emilia. E qualcuna di queste è pure iscritta a Confindustria.
Ma tutto questo non è stato sufficiente a guarire la miopia che ha trasformato un'isola felice in fortino delle 'ndrine. Così stringere la mano a un vice capo 'ndrangheta è diventato normale. Anche nell'Emilia Felix.
Crimine12.01.2012
Emilia, le mani della mafia