I dati del Cies smentiscono il luogo comune secondo cui i club che acquistano più giocatori migliorano le proprie prestazioni. In realtà è vero l'esatto contrario e i team più vincenti d'Europa sono quelli che cambiano meno
È di nuovo calciomercato. Per la Serie A la cosiddetta finestra invernale “di riparazione” durerà fino al 2 febbraio. Ogni club ha un buon motivo per buttarsi nella mischia: chi deve puntellare la rosa, chi cerca di portare a casa un grande nome per dare lo zuccherino ai tifosi delusi, chi deve venire incontro alle richieste di un nuovo allenatore, vedi l'Inter con
Roberto Mancini. Qualche colpo si è già visto: proprio i nerazzurri hanno acquistato – con la formula del prestito, poi si vedrà – due attaccanti molto noti in Europa: Lukas Podolski e Xherdan Shaqiri, mentre il Milan ha scaricato il bollito Fernando Torres sostituendolo con Alessio Cerci, tornato in Italia dopo quattro mesi passati a scaldare la panchina all'Atletico Madrid.
I numeri, però, dicono che meno si stravolge una squadra, meglio è. Rivoltare le rose come un calzino non dà alcun vantaggio né economicamente né tecnicamente. Eppure è una pratica sempre più in voga nel vecchio continente: nel 2013 e nel 2014, in media, le rose dei club erano composte per il 41,5% da calciatori appena arrivati. Solo cinque anni fa, nel 2009, la media era del 36,6%. Sono i dati del
Cies, un centro studi svizzero indipendente che pubblica periodicamente indagini economiche legate al calcio. “L'alto numero di trasferimenti non indica una strategia mirata ad aumentare gli introiti – spiegano gli analisti - secondo numerose testimonianze infatti i primi a beneficiare di questo sistema sono gli intermediari, che spesso agiscono di concerto con dirigenti e allenatori”.
Scarsa programmazione, risultati scadenti: possibile che in questo profilo non rientri l'Italia? E infatti la Serie A è ben piazzata: ottava su 31 nella classifica dei campionati più frenetici sul mercato con una media del 45% negli ultimi sei anni. Sul podio, Cipro (57,5%), Bulgaria (51,4%) e Portogallo (50,4%). L'Italia è anche il primo dei Big-5 (il “club” delle cinque leghe più importanti del continente composto anche da Inghilterra, Spagna, Germania e Francia). I club di Liga e Premier League hanno introdotto, in media, il 35,7 e il 35,5% di nuovi giocatori negli ultimi sei anni; Bundesliga e Ligue 1 non superano neanche il 30%. In questa girandola di trasferimenti i primi a rimetterci sono spesso i giovani, che non riescono a crescere all'interno di uno stesso club e finiscono col perdersi per strada. Se in Italia il numero di calciatori di prima squadra “fatti in casa” è il più basso tra i principali campionati europei (9,6% contro il 24,6% della Ligue 1) è anche per questo motivo.
Chi non si fa problemi a rivoluzionare la squadra ogni anno ha, con ogni probabilità, enormi difficoltà di programmazione. E l'instabilità porta a risultati deludenti sul campo. Il Cies ha rilevato che i club con più volti nuovi in squadra (15) hanno il triplo delle probabilità di retrocedere rispetto a quelli che hanno cambiato al massimo dieci giocatori. E non è finita: dall'analisi di 31 campionati europei risulta che la parte alta della classifica sia frequentata da club più stabili (dove la percentuale di nuovi giocatori si ferma al 38,5%) mentre i bassifondi sono appannaggio dei club più frenetici sul mercato (43,8% di nuovi acquisti).
E se è vero che il
legame tra retrocessione e bulimia da calciomercato esiste, la Serie A può vantare un esempio praticamente perfetto: quello del Parma. Che non è ancora retrocessa, ma è certamente la candidata più quotata.
La società emiliana, attualmente ultima in classifica insieme al Cesena a 8 punti dalla quartultima, è anche il club italiano che – al primo ottobre 2014 – ha acquistato più giocatori di tutti in Serie A: addirittura 21. Il Cies ha tenuto conto solo dei nuovi arrivi sbarcati in prima squadra, perché il numero di giocatori movimentati solo nel corso della stagione 2014-2015 già supera i 200 e nel 2013-2014 era volato a 234. Nella stragrande maggioranza dei casi si tratta di giovani presi a parametro zero e subito girati in prestito in l'Europa, nella speranza che qualcuno li valorizzi. Il “metodo Parma” può piacere o non piacere: qualcuno sostiene che sia l'unica arma rimasta in mano ai piccoli club per combattere lo strapotere dei ricchi, altri lo hanno paragonato a una tratta. Ma se il Parma è il club più iperattivo sul mercato, non è di certo l'unico. Il Cies ha stilato un'altra particolare classifica: quella dei
club dove i giocatori restano per meno tempo prima di fare di nuovo le valigie. Genoa e Cesena (che come detto condivide il fondo della classifica con il Parma) sono tra le prime 50 con una media di 1,54. Poco più di un anno e mezzo.
Non è un caso che nella classifica speculare – la top 50 dei club con le rose più longeve – si trovi l'élite del football europeo. Domina il club basco Real Sociedad con 5,26 anni ma Real Madrid, Athletic Bilbao e Barcellona superano i quattro anni, il Bayern Monaco è a 3,8 e la Juventus – l'unica buona notizia per il nostro calcio - si piazza al sedicesimo posto con una media di 3,58 anni di permanenza media. Meglio anche di Arsenal (3,44) e Manchester United (3,36).