Vietare le colture transgeniche non è oscurantismo. Perché la ricerca può fare di meglio, salvando la biodiversità. Il ministro delle Politiche agricole, alimentari e forestali risponde con questa lettera all'opinione di Massimo Riva

Caro Direttore, ho letto il commento di Massimo Riva (“l’Espresso” n 42) in merito alla nostra scelta di confermare il divieto di coltivazione Ogm in Italia e vorrei argomentare le ragioni del provvedimento. Innanzitutto partiamo da un dato essenziale: 19 Paesi europei su 28 hanno preso la stessa decisione. La superficie Ogm in tutta Europa nel 2014, in calo rispetto al 2013, conta appena 143.016 ettari di mais Bt coltivati in soli 5 Paesi. Peraltro ben il 92 per cento di mais biotech europeo è coltivato in Spagna dove sono stati seminati 131.538 ettari. Questi dati dovrebbero fare riflettere chi ci accusa di essere ostaggio di qualche “lobby” agricola italiana. Stiamo parlando di una scelta di politica agricola, criticabile come ogni decisione se si vuole, ma di sicuro fondata su argomenti meno provinciali di quanto contestato.

C’è un nodo di fondo che invece dovrebbe interrogarci tutti: i modelli agricoli estensivi che da anni consentono la coltivazione di Ogm, hanno dimostrato di essere troppo dipendenti da pochi soggetti che detengono le leve fondamentali di questa partita. I livelli di condizionamento, ambientali e non solo, sono oggettivamente assai rilevanti, in particolare dove l’agricoltura è per lo più organizzata in piccole imprese familiari. È una questione seria che dovrebbe sollevare qualche interrogativo anche a chi è convintamente pro Ogm.
Il dibattito
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Secondo elemento. Si liquida l’argomentazione sulla difesa della biodiversità italiana. Ma proprio sul piano della salvaguardia della diversità degli ecosistemi e di ambienti naturali estremamente delicati come quelli italiani, continua per me ad esserci una importante differenza tra coltivare Ogm in campo aperto e consentire la commercializzazione di prodotti fatti anche con materiale Ogm.Per rendere l’idea basterebbe richiamare la delicata vicenda dell’utilizzo intensivo dell’erbicida Glifosato, in particolare con le produzioni transgeniche, che ha ricevuto valutazione negativa dell’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro dell’Oms. Detto ciò, sono il primo a riflettere su come poter promuovere con forza e sempre meglio una filiera “Ogm free” per mais e soia in grado di rafforzare l’economia agricola italiana. E riconosco che questo è un fronte ancora aperto, da risolvere.

Terzo aspetto. Vietare le vecchie colture transgeniche non significa essere oscurantisti e non volere un serio lavoro sul miglioramento genetico vegetale. In Italia, ad esempio, stiamo per sostenere iniziative di ricerca in laboratorio, a legislazione vigente, con tecnologie più sostenibili. Parlo di strumenti come il genome editing e l’approccio cisgenico che ci possono consentire un impegno mirato di miglioramento genetico senza alterare le caratterizzazioni produttive di un sistema agroalimentare, migliorandone le performance anche rispetto alla resistenza alle malattie. Su questo fronte vogliamo concentrare i nostri sforzi di ricerca, in particolare pensando alle colture tipiche dell’esperienza italiana, con l’obiettivo di attestarci nei prossimi anni tra i paesi più avanzati nella gestione di tecnologie sostenibili. Sapendo anche che va condotta in Europa una discussione definitiva perché queste tecnologie vengano pienamente riconosciute diversamente dagli Ogm transgenici.

Un'ultima questione, infine. Expo non è stato un successo solo per aver superato i 20 milioni di visitatori. Per capirne l’impatto ci vuole uno sguardo attento sui contenuti promossi dal nostro Paese sul tema “nutrire il pianeta, energia per la vita”. Oltre 7.000 eventi solo a Milano, più di 140 università di tutto il mondo al lavoro, decine di progetti di partenariato attivati su fronti di grande interesse: dalla cooperazione agricola mediterranea, al potenziamento delle iniziative intergovernative per lo sviluppo dell’agricoltura di precisione, al coordinamento delle buone pratiche di lotta alla spreco alimentare, solo per citare alcuni esempi. Si può sempre fare meglio. Ma non si può non riconoscere che in questi sei mesi l’Italia è stata davvero all’altezza di questa sfida.