
Nella rogatoria i pm partenopei chiedono informazioni ai colleghi brasiliani sugli affari di Lavitola in Brasile e sulla presunta amicizia fra lui e Lula e chiedono che l’ex presidente sia ascoltato come teste. La richiesta di informazioni prende spunto da una lettera che Lavitola ha scritto il 13 dicembre 2011 all’ex premier Silvio Berlusconi, nella quale il nome di Lula compare in varie occasioni. La missiva è stata usata nel processo che l’ha condannato per tentata estorsione a danno di Berlusconi.
Il documento si trova ora al ministero della giustizia brasiliana in attesa di essere inviato ai procuratori. Fonti legate al pubblico ministero brasiliano contattate da “l’Espresso” hanno garantito che il caso seguirà la normale procedura e che quando una persona viene chiamata a deporre come teste questa non può rifiutarsi. Vale anche per l’ex capo di Stato.
Nella lettera a Berlusconi, Lavitola definisce Lula un suo «vero amico». Parla anche di una concessione per il taglio del legno ottenuta in Amazzonia e di come l’ex presidente brasiliano lo avrebbe aiutato a chiudere un affare in un momento in cui tutti l’avevano scaricato. Scrive Lavitola: «Nessuno vuole firmare nulla che mi riguarda e purtroppo il presidente Lula (che si sta confermando un vero amico) non conta già quasi nulla. È riuscito solo ad ottenere, dal vertice della compagnia acquirente che con una sentenza (ovviamente concordata) di una corte Arbitrale, venga loro imposto di accordarsi con me».
I magistrati italiani vogliono capire gli affari di Lavitola in Brasile e mirano a ottenere risposte sui vari aspetti della lettera. Fra cui la presunta amicizia fra Lula e il faccendiere, l’aiuto che l’ex presidente gli avrebbe dato per portare a termine la vendita della concessione per il taglio del legno e, in particolare, il suo intervento per favorire la vendita della concessione ad una azienda cinese.
Lavitola ha vissuto per quasi 10 anni in Brasile, dove aveva un codice fiscale. Nel 2008, quando Lula era ancora presidente, ha ottenuto il visto permanente. Per tutti questi anni, si è mosso tra Rio di Janeiro, San Paolo e Manaus finché la giustizia italiana ha emesso un mandato di arresto nei suoi confronti. Nel paese sudamericano Lavitola è stato proprietario dell’azienda Pesqueira de Barra de São João Ltda, che importava pesce. Nel 2009 la Pesqueira ha ricevuto due bonifici del valore di 300mila euro ciascuno a titolo di importazione finanziata, come dimostra la banca dati della Banca centrale brasiliana.
Sugli affari di Lavitola in Brasile i pm hanno già indagato nel 2013 quando fu inviata una prima rogatoria dove si chiedevano informazioni su tre brasiliani coinvolti in rapporti col faccendiere (si sospettava che facessero da prestanome all’italiano), tanto che due di loro possedevano una parte di azioni di una azienda di Lavitola con sede a New York.
Sull’asse Italia-Brasile si stanno giocando diverse partite giudiziarie. Una riguarda Henrique Pizzolato, direttore marketing del Banco do Brasil, arrestato a Modena nel febbraio dello scorso anno. Pizzolato, membro del Partido dos Trabalhadores (lo stesso di Lula e dell’attuale presidente Dilma Rousseff) è stato condannato in Brasile per corruzione e riciclaggio ed è fuggito in Italia, godendo della doppia cittadinanza. Appena gli italiani hanno compreso che Pizzolato potrebbe dire qualcosa sulla presunta relazione fra Lula e Lavitola e sugli affari dell’italiano in Brasile, sono andati in carcere a trovarlo. Pizzolato però non ha aperto bocca, frustrando il desiderio degli inquirenti di ottenere qualche informazione. Tirando in ballo l’ex presidente, forse ora ci riusciranno.