I carabinieri hanno acquisito documenti e sentito alcuni funzionari in Prefettura a Modena. È l'ultimo clamoroso sviluppo dell'indagine sui clan emiliani. Tutto questo mentre il maxi processo contro gli oltre 200 imputati è in corso. E al ministero dell'Interno giace una richiesta di scioglimento per il Comune di Finale.
Prima di lasciare la guida della procura di Bologna, Roberto Alfonso l'aveva detto: «L'inchiesta Aemilia ha permesso di accumulare una mole di informazioni che saranno utili per i prossimi dieci anni». E in effetti, l'indagine coordinata dall'antimafia bolognese prosegue, punta dritto al cuore delle complicità di cui le aziende legate alla 'ndrangheta emiliana hanno goduto in questi anni e di cui continuano a usufruire. Già, perché nonostante il maxi processo sia iniziato (oltre 200 imputati) e molti capi siano al 41 bis, il romanzo criminale della pianura padana non si è concluso. Prosegue con nuovi capitoli, volti più giovani e altri protagonisti.
Per questo i carabinieri del nucleo investigativo di Modena, su impulso della distrettuale antimafia, hanno bussato alle porte della Prefettura modenese. Si sono presentati di mattina presto in viale dei Martiri con un atto per acquisire documentazione e sentire alcuni funzionari. Quali? In particolare tutti quelli che hanno avuto a che fare con le procedure di iscrizione, cancellazione e riammissione dalle "white list", le liste pulite alle quali è obbligatorio iscriversi per lavorare nei cantieri post terremoto.
Di fatto l’obiettivo degli investigatori è analizzare nel dettaglio il meccanismo di valutazione, inclusione, esclusione e riammissione nella white list prefettizia post terremoto. Un filone d’indagine che con il passare del tempo ha ripreso vigore: i magistrati sono convinti che qualcosa non abbia funzionato come avrebbe dovuto. Finora comunque il filone scottante non ha indagati. Solo sospetti tutti da verificare. I carabinieri hanno ascoltato alcune persone informati sui fatti, quello che era già avvenuto a fine gennaio con l’ex vice-prefetto e ora capo di gabinetto, Mario Ventura. Tutti coloro che hanno avuto a che fare con l’imponente sistema della white list dovranno spiegare il loro ruolo, il sistema di valutazione e semmai vi siano stati particolari pressioni per alcuni provvedimenti.
È stato sentito persino il prefetto Michele Di Bari: si è recato negli uffici dell'antimafia per spiegare il complesso lavoro fatto dal suo ufficio nella prevenzione all'infiltrazione mafiosa negli appalti post sisma. Insomma, per ora il metodo dei detective è chiaro: una perlustrazione per cercare di capire i punti oscuri.
Lo stesso prefetto a ottobre aveva firmato e inviato al ministero dell'Interno la proposta di scioglimento per mafia del comune di Finale, il primo caso in Emilia. Quella relazione è stata acquisita dai pm e potrebbe essere anche il motivo di questo sopralluogo in prefettura. In quel documento infatti la squadra incaricata da Di Bari aveva sollevato più di qualche dubbio su alcune procedure legate alle white list.
Di certo c'è una pista che gli inquirenti stanno seguendo con attenzione. E che a breve potrebbe avere importanti sviluppi. In un momento in cui l'udienza preliminare del maxi processo sta per finire e si cerca un aula che possa ospitare un numero enorme di imputati a Reggio Emilia, dove dovrebbe svolgersi il dibattimento. Al momento quest'aula manca. Si è parlato di spostare il processo a Firenze. Ma il territorio, dalle associazioni alla Gazzetta di Reggio, hanno lanciato un appello affinché resti a Reggio. Anche la Regione è intervenuta, mettendo a disposizione i soldi per allestire un 'aula bunker al tribunale.
Il processo deve rimanere in Emilia, sostengono in molti. Per tanti motivi. Perché Aemilia non è finita. Perché è giusto che la cittadinanza abbia la possibilità di assistere alle udienze. Perché tutto ciò che verrà detto e raccontato, per voce dei testimoni o dei pentiti, diventi patrimonio comune per una guerra che non è ancora stata vinta.
Ancora tanto lavoro c'è da fare. Lo sanno gli investigatori, lo sanno i magistrati. Che all'orizzonte intravedono i pilastri, a lungo invisibili, che hanno permesso alla 'ndrangheta emiliana di vivere bene in queste terre. Saccheggiando con metodi raffinati le cassaforti lungo la via Emilia.