Grazie al bonus inserito nella riforma scolastica, gli insegnanti possono aggiornarsi da soli con 500 euro in busta paga. Criticato da molti perché esclude i precari e non soddisfa i bisogni dei singoli istituti, ha dato vita a un mercato del sapere dove enti, associazioni e gruppi editoriali offrono corsi di ogni genere

«Una marchetta» l’hanno definita i sindacati.
«Un contentino che non basta per una formazione seria», per tanti insegnanti. E c’è anche chi ha  restituito il versamento al mittente, come la prof romana Maria Lo Fiego: «È un’elemosina che non cancella i veri problemi, come la retribuzione dei precari o il rinnovo del contratto nazionale fermo al 2009».

Sono le reazioni più accese al bonus da 500 euro voluto dal premier Matteo Renzi per l’auto-formazione, accreditato solo ai docenti di ruolo della scuola italiana, di ogni ordine e grado. I primi soldi sono arrivati, con un versamento ad hoc, ad ottobre.

Una pioggia di soldi pubblici che ha già scatenato una corsa alla formazione, con enti, onlus e gruppi editoriali pronti ad inventarsi corsi per ogni aspetto della nuova “Buona scuola” e training su misura per arrivare alla tanto agognata cattedra a tempo indeterminato.

Nelle intenzioni della legge approvata a luglio c’è un aggiornamento self-made per comprare libri, testi, pubblicazioni e riviste. Oppure pagarsi l’iscrizione a corsi di aggiornamento, ma anche biglietti per teatro, cinema, musei, mostre ed eventi culturali. Con un obbligo: ogni docente deve raccogliere gli scontrini e rendicontare alla segreteria di appartenenza entro la prossima estate.

Serviranno questi fondi per aggiornare il corpo docenti più vecchio d’Europa, dove solo il 10 per cento è under quaranta? «Io investo due stipendi all’anno soprattutto per la formazione», spiega Tina Cattedra, 38enne di Bari spedita a Padova con le ultime assunzioni: «Per me, che mi occupo di sostegno, i corsi sull’autismo o quelli legati alle disabilità sono fondamentali e costano duemilacinquecento euro. Ora pagherò la seconda rata, ma una cosa è certa: il bonus serve a poco se un docente sceglie di aggiornarsi in maniera seria».

In tanti addetti ai lavori hanno pensato ad una soluzione alternativa: metterli in un fondo scolastico e smistarli dove serve di più al singolo istituto, ad esempio informatica o altri laboratori. A decidere come spenderli è il collegio docenti, evitando di avere tanti insegnanti specializzati in una singola materia.

Dall’idea alla pratica: Marco Monzù Rossello, docente milanese delle medie, spiega la sua ricetta. «Proporrò ai miei colleghi di non intascare il bonus ed usarlo per comprare le Lim (lavagna interattiva multimediale, ndr) o i tablet. Siamo in venti e con diecimila euro potremmo finalmente dotarci di strumenti tecnologici, siamo fermi ancora ai gessi e cancellino. Credo però che la stragrande maggioranza di noi comprerà il Pc al proprio figlio».

Tutti sono d’accordo su un punto: non rispedirli indietro. E cercare di allargare la formazione ai colleghi più giovani che vanno in aula senza esperienza.

Un mutuo aiuto tra generazioni diverse, tra garantiti e precari, come spiega Alessandra Gabelli, supplente di italiano, storia e geografia a Pordenone: «Io entro in classe con la certezza che tra qualche giorno qualcuno prenderà il mio posto. Lo sapevo quando ho iniziato, ma per me non ci saranno i 500 euro che sarebbero invece utilissimi per tenermi aggiornata quando nei prossimi mesi rimarrò a casa».

IL MERCATO DEL SAPERE

Se da una parte non ci sono fondi per chi non è di ruolo, dall’altra si è scatenato un mercato del sapere, alimentato dai 380 milioni di euro messi a disposizione dal Governo per il bonus. Una corsa al business della formazione per proporre corsi, master e crediti da accumulare per scalare le infinite graduatorie ministeriali.

«È un proliferare di “corsifici”, per piazzarli entrano nelle scuole, usano il passaparola e anche la promozione via Web. È un classico di questo Paese», ragiona Mimmo Pantaleo segretario scuola della Cgil, che aggiunge: «L’accreditamento al ministero dell’Istruzione non è necessariamente indice di qualità, la qualità è data dal profilo dei docenti e dall’offerta. Invece c’è un sistema di formazione senza avere chiaro cosa significa migliorare la singola specificità, non c’è domanda ma solo offerta. Questo è un approccio commerciale e non basato sulla didattica».

Sul Web l’offerta si spreca. Ismeda (Istituto superiore metodologie direzione aziendale), ente accreditato al Miur, propone un «aggiornamento professionale in specifiche tematiche». Ecco un corso di progettazione, valutazione, apprendimenti e metodologie didattiche da 440 euro, un altro di «bisogni educativi speciali» per 340 euro e poi autovalutazione e piani di miglioramento (240 euro), la scuola dell’autonomia (390 euro) e preparazione concorso a cattedre (350 euro).

Anche la casa editrice di Catania “La tecnica della scuola” si è buttata a capofitto e sponsorizza i suoi corsi con i banner pubblicitari:«Utilizza il bonus del Miur per i corsi della tecnica».

Segue un elenco di corsi online come “Il procedimento disciplinare nella scuola" (dal costo di 25 euro) o “Dal Pof al piano triennale: cosa cambia con la Buona Scuola” (da 38 euro).

C’è poi Ascii (Associazione software computer informatica italiana) che propone corsi di laurea online, diplomi di specializzazione e di perfezionamento post diploma, master universitari per dirigenti scolastici, certificazioni informatiche e corsi pro-abilitazione per poter un giorno salire in cattedra da insegnante a tempo indeterminato.

«La formazione certificata sarà fondamentale per esser scelti», annuncia senza dubbi Mediastaff Education & New Media, proponendo in una sola giornata un corso per accumulare punteggio ed aspirare a lavorare come supplenti nelle scuole pubbliche di ogni ordine e grado.

«Quando metti in moto un meccanismo come questo è chiaro che si cade nelle logiche più bieche di mercato», dice allarmato Gennaro Lopez, direttore di Proteo Fare Sapere, associazione professionale che non si è buttata in questo suk di offerte: «Una volontà di incrementare i consumi con risorse a pioggia. È l’equivalente dell’aiuto da 80 euro (il bonus per tutti i dipendenti con reddito fino a 1.500 euro) concentrato per una sola categoria. La legge Buona scuola è ancora molto vaga su tanti punti, come la chiamata diretta, che invece per chi organizza i corsi è diventato un motivo per lucrarci sopra con corsi su misura. Nessuno, invece, si è posto una semplice domanda: quale tipo di formazione vogliamo per i docenti?».

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