La denuncia degli estorsori, la vita sotto scorta, il processo contro il clan, il palcoscenico antimafia. Cinque anni trascorsi con l'etichetta di paladini della legalità. Eppure, ora, le carte in mano ai magistrati, le informative del Girer (il gruppo interforze creato ad hoc per vigilare sulla ricostruzione post terremoto in Emilia Romagna) e quelle del Ros dei carabinieri di Caserta, raccontano tutta un'altra storia.
L'ennesima in cui imprenditori simbolo dell'antimafia si rivelano un grande bluff. Il teatro in cui è andata in scena questa farsa non è però la Sicilia degli scandali interni alla rivoluzione confindustriale, ma la Campania e l'Emilia, dove la nuova strategia è stata appresa in fretta.
A finire sotto la lente delle prefetture emiliane e lombarde è la Pi.Ca Holding (qui la loro replica), con sede tra Nonantola, provincia di Modena, e Milano. I prefetti sulla base dei rapporti del Girer hanno stabilito che l'azienda resterà fuori dalla white list del terremoto. Non solo, le verrà tolto anche il certificato antimafia perché è «fondata la sussistenza di un sensibile condizionamento da parte della criminalità organizzata casertana».
I volti noti di questa azienda sono Francesco Piccolo e Raffaele Cantile. Saranno loro due a denunciare i parenti del capo clan Michele Zagaria. Imprenditori di successo, molto conosciuti in Campania e in Emilia, dove sono bene inseriti nei salotti politici del centrodestra.
Nei documenti degli investigatori vengono evidenziati i rapporti tra la Pi.Ca e la famiglia Fontana. Questi ultimi sono imprenditori di Casapesenna, finiti a luglio nell’inchiesta “Medea” con l’accusa di associazione mafiosa, corruzione e finanziamento illecito ai partiti. Giuseppe Fontana è il vero businessman di famiglia. Lui ha mani e occhi dappertutto. Secondo i detective è espressione diretta di Michele Zagaria, il capo dei capi di Gomorra.
Pino Fontana è, sospettano gli inquirenti, il filo conduttore tra la Pi.Ca e il gruppo di imprenditori fedelissimi a Zagaria. Fontana è infatti cognato del boss campano. Questione di sangue, famiglia, parentele, ma anche, e soprattutto, di affari. Anche Fontana ha provato la via dell'antimafia per ripulirsi. Aveva denunciato richieste estorsive, dopo che Zagaria era stato arrestato nel suo bunker dei misteri.
Ma i magistrati intuiscono che quelle denunce in fondo sono solo una strategia. L'ultima trovata, a suo modo geniale, delle imprese colluse con il padrino di Casapesenna: accusano pesci piccoli per riciclarsi e togliersi quel marchio di camorra che gli rendeva difficile partecipare alle gare. Un modo per tenere lontani gli inquirenti e poter continuare ad operare nel mondo degli appalti pubblici sotto la veste delle vittime del clan dei casalesi.
Gli specialisti del Girer non si fermano però alla descrizione di generici rapporti. Snocciolano episodi, il più significativo è la cessione del ramo d'azienda della Co.Ge.Fon, l’impresa dei Fontana, alla Pica. L'urgenza di unirsi in qualche modo agli amici “nordici” deriva da un problema che aveva interrotto la marcia imprenditoriale di Cogefon: colpita nel 2009 da un’interdittiva antimafia. Secondo il piano di Fontana, con la cessione del ramo d’azienda, avrebbe comunque potuto partecipare ai bandi pubblici.
L’imprenditore campano lo confessa in un’intercettazione telefonica: ha intenzione di far partecipare a una gara d’appalto la Pi.Ca da cui otterrà poi il subappalto. L'obiettivo dunque era nascondersi dietro i paladini della legalità per continuare a lavorare. Negli anni la Pica ha ottenuto numerosi appalti in giro per l'Italia: ha costruito caserme, scuole, edifici pubblici. Ha lavorato per committenti di prestigio. Nel 2012 ha vinto un appalto da 2 milioni di euro, i committenti? Milan Spa e A.c Internazionale Milano. Nel 2011 aveva un cantiere a Firenze, committente il Comune ai tempi guidato da Matteo Renzi.
Tra Fontana e i vecchi soci di Pi.Ca, Francesco Piccolo e Raffaele Cantile, i rapporti risalgono al 2005 quando Co.Ge.Fon e Pi.Ca fondano la Impredil, società che realizzò insediamenti produttivi ad Anzio. I loro nomi si incrociano anche in un'altra società: l’Immobiliare Bondeno. L’imprenditore legato a Zagaria, scrive il Girer, è stato inoltre ospite a Modena di Piccolo e quest’ultimo si presta «a svolgere una funzione nella strategia del Fontana di accreditarsi agli occhi di esponenti autorevoli sul territorio delle forze dell’ordine e nell’ambito dei circuiti antiracket».
Fontana quindi si sarebbe prestato alla strategia di camuffamento. Una strategia decisa da Zagaria in persona. Vero mago nel mischiare le carte e nel sedersi in più tavoli contemporaneamente. Strizza un occhio allo Stato e l'altro ai suoi soci criminali. Con questo spirito erano state fatte le denunce simulate contro il pizzo. «L'attività di indagine svelava che gli imprenditori, presunte vittime, avevano utilizzato lo strumento della denuncia per assicurarsi onorabilità e nuova credecibilità attraverso la costituzione di una associazione antiracket», scriveva il gip nell'ordinanza di custodia cautelare notificata a Fontana. E ora tutti questi indizi sono finiti nei rapporti investigativi che hanno bloccato la Pica, società dalle tante vite.
Aggiornamento 7 dicembre. La replica della società Pi.Ca.
L'arresto17.11.2010
I Casalesi dopo Iovine