Autotreni carichi di stecche spariti nel nulla. Fatture false. Due società italiane ?e una nuova forma di business illegale. Che consentiva di evadere decine di milioni di euro di tasse
Camion carichi di sigarette diretti in Ucraina, Moldavia e Serbia e poi persi con tutta la merce. Erano spedizioni fatte da due aziende italiane in lotta contro le “Big tobacco”, armate delle strategie criminali simili e finite nella stessa sorte.
Dal 2011 Yesmoke e la Manifattura italiana tabacchi si sono affidate al contrabbando: esportavano i loro prodotti verso l’Est, ma i camion non arrivavano a destinazione, venivano dirottati verso l’Europa centrale da dove venivano smerciate.
Tutto ciò per fare cassa ed evadere decine di milioni di euro di tasse. In poche settimane alla fine del 2014 il sistema è stato bloccato dalla magistratura e dalla Guardia di finanza in collaborazione con l’Agenzia delle dogane e gli investigatori europei.
Dopo anni di guerre alle multinazionali e dopo essere passati indenni tra molte accuse, i fratelli Carlo e Gianpaolo Messina avevano deciso di far compiere il salto di livello alla loro Yesmoke, nata come rivenditrice online di sigarette e diventata produttrice nel 2007. Aveva tutte caratteristiche di una vera multinazionale: fino a poco tempo fa il capitale era quasi tutto in mano a una fiduciaria lussemburghese controllata da tre società offshore: «Questo però è un segreto», diceva Carlo Messina al telefono, «tutto quel che riguarda questo argomento si trova depositato presso la banca in Svizzera. È soltanto la banca a sapere chi è il titolare della company». Erano bravi i due “SmoKings” (come il titolo di un recente documentario dedicato a loro), talmente bravi da piazzarsi pure sul mercato della Corea del Nord. Però non tutte le loro esportazioni erano così regolari.
Per questo il 27 novembre sono stati arrestati con altre quindici persone accusate di associazione a delinquere finalizzata al contrabbando nell’ambito di un’indagine del procuratore aggiunto di Torino Alberto Perduca e del sostituto Marco Gianoglio, in collaborazione coi colleghi di Francoforte sull’Oder, coordinati dall’Olaf.
Il giochetto di Yesmoke era questo: «La merce usciva dal proprio deposito e si perdeva nel nulla, piazzata presso acquirenti, buona parte dei quali rimasti ignoti e nei confronti dei quali la vendita non era gravata dalla accisa», scrive il gip Roberta Vicini. Le sigarette partivano verso società inesistenti in Ucraina, Moldavia, Serbia e in “zone franche” come il Kosovo e la Transnistria, sparivano e poi ricomparivano in Gran Bretagna, Germania, Spagna, Polonia, Slovacchia e Lituania, dove sono avvenuti alcuni sequestri. Yesmoke avrebbe evaso 70milioni di euro in accise e più di venti milioni di euro di Iva.
Cifre simili a quelle contestate alla Manifattura Italiana Tabacchi a Chiaravalle, che usava quasi lo stesso metodo. Tra il 2011 e il 2014 le Fiamme gialle di Ancona, guidate dal colonnello Gianfranco Lucignano, hanno documentato 42 spedizioni per un totale di circa 600mila chilogrammi di sigarette dal valore complessivo di 105 milioni di euro. Così il 16 dicembre scorso - con l’operazione “Duty Free” - sono finiti ai domiciliari il direttore generale Massimo Tarli e il responsabile per i rapporti con i clienti esteri, Luca Cecconi. Ad aiutarli era Josip Papic: lui, croato con passaporto sloveno, residenza a Dubai, società alle Seychelles e interessi in più paesi, era il trait d’union tra gli italiani e i contrabbandieri. «Non si sa ancora quali siano i gruppi criminali in questo sistema», spiega Lucignano, «saranno importanti i prossimi incontri con le autorità e le polizie straniere».
E dire che solo tre anni fa la Commissione parlamentare d’inchiesta sulla contraffazione del tabacco riteneva che quella del contrabbando fosse «un’epoca ormai chiusa definitivamente» perché il metodo «non costituirebbe più un vantaggio economico».