Un miliardo e 264 milioni di euro. È questa la cifra monstre di cui necessita Aler (Azienda lombarda per l’edilizia residenziale) per mettere a posto il suo patrimonio immobiliare, uno dei più vasti d’Europa. Una montagna di soldi cui si aggiunge un debito che ufficialmente ammonta a 345 milioni, ma che potrebbe rivelarsi molto più grande, considerati i buchi delle società partecipate. Da questi numeri all’emergenza abitativa il passo è breve: Milano, oggi, vede 13mila sfratti in fase esecutiva e 23mila famiglie in lista per un alloggio popolare; una fame di case trasformata in rabbia dai 10mila appartamenti vuoti perché fatiscenti e privi di manutenzione. Quindi, non assegnabili.
«Serve una cura shock», ha sentenziato il governatore lombardo, Roberto Maroni. Eppure, Aler languisce da anni in uno stato di fallimento non dichiarato. Nel dicembre 2013 la Bdo, una società di revisione contabile, consegnò alla Regione Lombardia una due diligence di trecento pagine sui conti dell’azienda, mai divulgata perché utilizzata dalla Commissione regionale d’inchiesta su Aler. Oggi la commissione ha chiuso i lavori, e “l’Espresso” è riuscito a leggere il dossier.
Il dato più allarmante riguarda le condizioni del patrimonio immobiliare: le “unità abitative” con un livello di manutenzione “insufficiente” e “scadente” - dove urgono «interventi straordinari per prevenire stati di pericolo quali caduta di rivestimenti, folgorazione e intossicazione da monossido di carbonio», così scrive la stessa Aler - sono ben 28.748, per 709 edifici, in buona parte a Milano. Gli appartamenti in condizioni “mediocri” - dove «non sono da escludere gli eventi indicati per i livelli insufficiente e scadente» - sono 16.214 (446 edifici), mentre gli stabili classificati come “buoni” sono appena 35.
Il patrimonio, in sostanza, cade a pezzi. E Aler, che negli ultimi anni non sembra essersene occupata, ora non ha più le risorse per intervenire. Nel bilancio 2013 gli amministratori scrivono: «Risulta evidente che gli interventi di manutenzione straordinaria non possano essere finanziati se non tramite entrate straordinarie che derivino dalle vendite, in forte rallentamento; o da risorse da reperire sul mercato del credito, soluzione oggi impraticabile».
Ed ecco il vero buco nero scoperto dalla due diligence. Aler, infatti, non può ricorrere al credito perché di prestiti ne ha chiesti troppi. E sta annegando in un fiume di mutui, derivati e ipoteche. Al 30 giugno 2013 l’azienda aveva in essere ben 48 contratti di mutuo, per un valore di 255 milioni. Finanziamenti richiesti per le più svariate ragioni: dalle semplici attività correnti (sempre più fuori controllo), fino alla realizzazione di progetti speculativi e alla manutenzione straordinaria. Alcuni contratti prevedono un tasso fisso, altri variabile ma ad alcuni finanziamenti - pari a 45 milioni - sono stati collegati dei prodotti derivati. Una scelta misteriosa, visto che «il ricorso a contratti derivati non fa seguito a una logica uniforme», e che «Aler non dispone di una procedura interna per il loro utilizzo», scrivono i revisori. I tre derivati (due con Intesa, uno con Mps) al 30 giugno 2013 avevano già fatto perdere sei milioni e se Aler li volesse estinguere prima della loro scadenza - scelta caldeggiata dai revisori - dovrebbe sborsare altri otto milioni.
Derivati a parte, il vero incubo di Aler restano i mutui. A garanzia dei prestiti, infatti, l’azienda ha messo il suo stesso patrimonio, ipotecando immobili per 258 milioni.
«Vogliamo salvare Aler e vogliamo continuare a investire nell’edilizia residenziale pubblica», ha assicurato Maroni. Per ora, l’unica certezza sono i 10mila alloggi che Aler conta di vendere di qui al 2017, e che hanno sollevato le proteste degli inquilini e dei sindacati, considerati i magri risultati delle dismissioni precedenti. Da anni, ormai, Aler cerca di tamponare i suoi buchi cedendo pezzi di patrimonio; non solo a chi ci abita ma a chiunque, mettendoli all’asta a prezzi stracciati. La beffa è che con i proventi, poi, si dovrebbe procedere al recupero degli appartamenti deteriorati; cosa che, finora, non è avvenuta.
Ma dove nasce la voragine che sta inghiottendo Aler? La metà dei mutui - che Bdo consiglia di “rinegoziare” - è stata stipulata tra il 2006 e il 2007, mentre i derivati sono agganciati a finanziamenti del 2007-2008. Sarebbero questi, quindi, gli “anni ruggenti” del Pirellone di Roberto Formigoni in cui Aler si è lanciata in avventure ad alto rischio, rivelatesi dei pessimi affari. Tra queste, Asset è sen’altro la più famosa. È una società controllata totalmente da Aler, creata nel 2005 con finalità che vanno dall’acquisto di terreni alla costruzione e commercializzazione di immobili, compresi alberghi e centri commerciali. Ambizioni che spingono Asset a uno shopping sfrenato.
L’operazione più importante è quella di Pieve Emanuele dove acquista dall’Enpam (Ente nazionale previdenza medici e odontoiatri) una vasta area e diversi stabili, per realizzare e vendere alloggi, oltre a uno shopping center. Per finanziare l’iniziativa, Asset stipula mutui con Intesa per 32 milioni, cui se ne sarebbero aggiunti 41 di finanziamento regionale. Nel 2009, poi, a Garbagnate Milanese acquista un complesso da destinare alla vendita; anche qui, Asset chiede un mutuo di 29 milioni, seguito da 7 milioni nel 2012 per rilevare di altri terreni.
Alla fine, Asset si indebita per 66 milioni ma i progetti svaniscono nella nebbia. A Pieve non è stato riqualificato nulla (anzi: l’area sprofonda nel degrado), mentre la crisi ha bloccato la vendita degli appartamenti di Garbagnate. Non solo: a Pieve, Asset ha dovuto demolire (con un prestito da Aler di 1,5 milioni) alcuni degli immobili acquisiti, ormai sul punto di crollare. Dal 2010 a oggi Asset è stata sempre in perdita: un buco nero che ha risucchiato alla controllante oltre 11 milioni. Senza dimenticare l’avventura tripolina: nel 2007 Asset acquisì una partecipazione in Finasset, società che avrebbe dovuto ricevere da Gheddafi commesse per ristrutturare palazzi ed edifici storici in Libia. Anche qui l’affare si rivelò un costoso flop.
E poi c’è il capitolo degli sprechi: spese che gli stessi revisori non riescono a spiegare. Su tutte, quella per dare in outsourcing il servizio paghe e contributi di Aler. Nel 2010 l’azienda appalta questa funzione ad Asset per un milione l’anno. Asset, a sua volta, la subappalta alla sua controllata Cispel, al prezzo di 558mila euro. «Aler sopporta un maggiore onere pari a 442mila euro. Si sottolinea che Asset funge da puro intermediario», scrive Bdo nella due diligence. Perché buttare 442mila euro annui? Ma le esternalizzazioni non finiscono qui. Aler, negli ultimi anni, ha speso fiumi di denaro per affidare servizi all’esterno, nonostante abbia 1200 dipendenti.
Sono stati appaltati la tesoreria, la riscossione crediti e la manutenzione del Data center e delle postazioni di lavoro. In particolare, quest’ultimo servizio costa 400 euro l’anno a dipendente: una cifra che si potrebbe risparmiare utilizzando l’ufficio informatico interno, come sottolineano i revisori.