Quelli di Google non sono stinchi di santo, anzi. E “l'Espresso”
ha messo in luce più volte, in modo netto, l'eccesso di potere sulle nostre vite di questa gigantesca corporation, così come la sua
allergia a pagare le tasse dovute nei Paesi in cui opera. Allo stesso modo, la nostra testata è stata a fianco di Julian Assange e di WikiLeaks
nel denunciare i rapporti non sempre limpidi dell'azienda di Mountain View con i programmi di sorveglianza di massa voluti dai servizi di alcuni governi.
[[ge:espresso:attualita:1.198313:article:https://espresso.repubblica.it/attualita/2015/02/05/news/diritto-all-oblio-google-censurera-l-europa-1.198313]]Tuttavia sarebbe intellettualmente disonesto attribuire oggi a Google la responsabilità dello scenario che si va delineando, con una Rete europea in cui potrebbero venire cancellati molti risultati di ricerca che invece continueranno a apparire liberamente se si fa la stessa ricerca dagli Stati Uniti o da altri Paesi extra Ue.
Questa volta infatti la frittata è tutta nostra, cioè figlia di istituzioni deboli, incompetenti e autolesioniste.
È stata infatti una
sentenza della Corte di Giustizia della Ue, espressione dell’Unione e composta da un giudice per ogni Stato membro, a stabilire che ciascun cittadino ha diritto a chiedere a Google di deindicizzare ogni contenuto che lo riguardi (anche se la pubblicazione è avvenuta legittimamente e i fatti raccontati nel sito sono reali)
attribuendo quindi alla stessa Google la decisione se rimuoverlo o no, caso per caso.
[[ge:espresso:attualita:1.198314:article:https://espresso.repubblica.it/attualita/2015/02/05/news/diritto-all-oblio-un-compromesso-ma-non-e-colpa-nostra-1.198314]]In sostanza la Corte di Boulevard Adenauer, Lussemburgo, ha delegato un’azienda privata ad affrontare e a risolvere un problema di vitale importante nelle società del presente e del futuro, cioè il bilanciamento tra diritto all’oblio e diritto alla cronaca, e in prospettiva alla storia.
È una questione strettamente connessa con ciò che possiamo o non possiamo leggere on line, quindi ha a che fare con l’accesso all’informazione e, per quanto riguarda l’Italia, con l’articolo 21 della Costituzione. Materia che andrebbe evidentemente regolata da leggi dello Stato o comunitarie, ma comunque in armonia con le Costituzioni democratiche e nell’ambito di quei principi di base secondo i quali
solo un magistrato - dopo aver sentito le parti e soppesato le ragioni - può decidere decidere quale diritto far prevalere: se quello alla privacy o quello di cronaca. Il che è cosa del tutto diversa dalla decisione dei dipendenti di un’azienda, a cui viene chiesto di sostituirsi ai giudici.
La Corte europea, insomma, ha sostanzialmente rimesso
al dialogo tra due soggetti privati – una ditta che fornisce un servizio informatico commerciale e un singolo che ha interesse a veder scomparire ogni traccia che gli danneggi la reputazione - il compito di decidere
che cosa la collettività ha diritto di sapere.Ma se la decisione sulla sparizione di un contenuto dalla Rete viene sottratta ai principi di attribuzione e divisione dei poteri, quanto rischia di essere distorta dalle arbitrarie decisioni di Google la storia di questi anni e di quelli futuri?
E di sparizione di un contenuto si tratta, di fatto, avendo Google un sostanziale monopolio come motore di ricerca: ciò che non si trova nelle sue pagine diventa invisibile. È destinato a
non essere mai accaduto.
S'intende: guai a negare il diritto della persona a conoscere e controllare l’utilizzo che chiunque altro fa delle informazioni che lo riguardano. Ma questo diritto, che è appunto del singolo, dovrebbe essere sempre
contemperato e bilanciato con il diritto di chi vuole conoscere il presente e il passato recente.
Le soluzioni alternative, peraltro, non mancano. Anche il Garante italiano per la Privacy era arrivato in un recente passato
a indicazioni più costituzionali e di buon senso: suggerendo di rendere più completa e aggiornata un’informazione superata dai fatti, con un “update” visibile nel corpo del testo. Non oblio, quindi, né censura, ma dovuto aggiornamento.
Invece, siamo arrivati alla sentenza Costeja e alla situazione attuale, con Google che non trova di meglio che incaricare una commissione di saggi di stabilire “linee guida” per la rimozione dei link.
Positiva è, probabilmente, la notizia della spaccatura tra questi saggi, messi di fronte a una costrizione senza senso voluta dalla Corte del Lussemburgo. Pessima invece l’ipotesi che sembra comunque prevalervi. Se le indicazioni suggerite verranno attuale, finiranno infatti per creare due Internet di fatto diverse: una con tutti i risultati del motore di ricerca, visibile fuori dalla Ue; e una piena di
omissis, in cui si troveranno rinchiusi gli internauti che navigano da dentro l’Unione europea.
Non è la “grande muraglia digitale” che censura il Web cinese, certo, ma è un piccolo passo in quella direzione.