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Attualità
marzo, 2015

"1992", l'anno che cambiò l'Italia

Sky mette in onda la fiction su Tangentopoli di Giuseppe Gagliardi, ideata da Stefano Accorsi. ?In scena la sconfitta dei vecchi partiti ?e la strategia dell’ex Cavaliere Mentre la sinistra ?si rivela solo una comparsa 

C’è, nelle prime scene di “1992”, l’immagine delle banconote che galleggiano nella tazza del cesso, i pezzi da centomila lire con Caravaggio che tornano su dallo scarico, come un rigurgito nella coscienza collettiva. I soldi, in quei primi anni Novanta, erano ancora qualcosa di fisico. Si toccavano, si annusavano, si buttavano via. Dalla finestra, per esempio: una sera d’estate gli abitanti del quartiere romano Flaminio avevano visto planare come aeroplanini di carta banconote per tredici milioni di lire, una mazzetta gettata dalla moglie di un notabile dc. E nel water: la tangente da 37 milioni che il pomeriggio del 17 febbraio 1992 l’ingegner Mario Chiesa, il socialista presidente del milanese Pio Albergo Trivulzio, cerca di far sparire mentre i carabinieri bussano alla porta. Era un lunedì, l’inizio di una settimana di routine per il burocrate della tangente, invece crollò un sistema durato decenni. E quel colpo di sciacquone equivale allo sparo di Sarajevo che portò all’estinzione gli Imperi invincibili della Prima Repubblica, i democristiani, i socialisti. La fine della belle époque dei partiti. E l’annuncio del Nuovo.
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Arrivano in tv (dal 24 marzo su Sky Atlantic Hd) le dieci puntate della fiction sull’anno che cambiò l’Italia, il 1992 di Tangentopoli. La calata nel Parlamento romano dei barbari della Lega, il pool Mani Pulite di Antonio Di Pietro, la fine di Bettino Craxi, le stragi di mafia. E l’embrione dell’avventura politica di Silvio Berlusconi.

Un anno ricostruito dal regista Giuseppe Gagliardi nei dettagli: cravatte, pettinature, trasmissioni (“Non è la Rai”), i pesantissimi cellulari. Volti famosi e storie sconosciute: la scelta narrativa degli sceneggiatori Alessandro Fabbri, Ludovica Rampoldi, Stefano Sardo è affiancare personaggi di fantasia a quelli reali (il pm Di Pietro, Francesco Saverio Borrelli, Gherardo Colombo, Piercamillo Davigo, Marcello Dell’Utri, Umberto Bossi). «Abbiamo seguito la lezione di James Ellroy», spiega Lorenzo Mieli, il produttore della fiction con Wildside. «Mescolare la finzione con la realtà, i fatti della cronaca con le trame e i ricatti invisibili al cittadino e allo spettatore». “1992” è il nostro Italian Tabloid, in una Milano notturna, cupa, livida, una Gotham City in cui i vecchi potenti si aggirano da padroni e invece sono già morti, e i buoni non esistono.

L’ideatore della serie è Stefano Accorsi, classe 1971, segnato come tutti i suoi coetanei da quei dodici mesi spartiacque: «Volevo capire cosa è successo quell’anno. E raccontare quella parte d’Italia che ha vinto, nel segno dell’ambiguità. In questa storia non ci sono personaggi giusti». L’attore sta girando l’Italia in teatro con il “Decamerone” di Boccaccio in cui interpreta Panfilo, sempre attuale: «Giorno non passa che novello scandalo scalza lo precedente... E li cittadini onesti smarriscon così fede e orgoglio di civica appartenenza e vien loro meno, speranza e fiducioso attendimento nel domani». In “1992” è Leonardo Notte, pubblicitario di successo, arrogante, spregiudicato, ansioso di consumare il presente per far dimenticare un passato che continua a tormentarlo. «Gli anni Ottanta sono finiti!», avverte durante una convention al cospetto di Dell’Utri. «E la crisi è un’opportunità». Per questo sarà incaricato dal presidente di Publitalia di studiare cosa si muove nel profondo della società. Chi rappresenterà il Nuovo quando i vecchi politici saranno spazzati via. Chi farà la scalata.

[[ge:espresso:foto:1.205504:mediagallery:https://espresso.repubblica.it/foto/2015/03/24/galleria/1992-la-fiction-di-sky-su-tangentopoli-1.205504]]A rileggere i testimoni più lucidi di allora si avverte il senso della Fine in arrivo. «La classe politica italiana sembra assoggettarsi a due spinte esattamente opposte, l’istinto di conservazione e un’oscura volontà di auto-annientamento», aveva scritto Edmondo Berselli sul “Mulino” nell’autunno 1991. Nella campagna elettorale del 1992, l’ultima dei partiti della Prima Repubblica, il Psi aveva girato un docufilm sul suo segretario Bettino Craxi, candidato a tornare a Palazzo Chigi. Ma i primi piani avevano rivelato un uomo stanco, lontano dal Capo che aveva interpretato la modernità per un decennio. «Va a finire che ci fa una migliore figura chi ha avuto l’accortezza di farsi riprendere da lontano, come Berlusconi, seduto di sbieco al pianoforte, bello come Julio Iglesias», commentò profetico Emanuele Pirella sull’“Espresso”. «All’elettore vien più voglia di votare Berlusconi che quell’affaticata comparsa di Craxi».

Corruzione
Giancarlo De Cataldo: 'L'Italia è una repubblica fondata sullo scandalo'
20/3/2015
In “1992” il passaggio dal vecchio al nuovo è confuso e feroce, come ogni trapasso. Scandito dagli homines novi , i vincenti di “1992”. I magistrati, i leghisti. Berlusconi. «Ognuno è rappresentato da un personaggio, un avatar che incarna la loro ossessione, la spinge all’estremo», spiega Mieli. Pietro Bosco, interpretato da Guido Caprino, è un reduce della guerra nel Golfo che si ritrova eletto per caso deputato della Lega, catapultato sul palcoscenico di Roma ladrona, tra gli intrighi, le trappole, le seduzioni della Capitale. Gli fa schifo la politica, entra sbandierando il “tutti a casa”, la sua irriducibile diversità rispetto agli uomini del potere in blu ministeriale, e invece ci cade dentro, fino in fondo. Luca Pastore (Domenico Diele) è un agente di polizia giudiziaria che lavora con Antonio Di Pietro, mosso da una sete di giustizia, anzi, di vendetta verso un industriale che gli ha distrutto la vita. Veronica Castello (Miriam Leone) vuole lavorare in tv, a “Domenica In”, a qualsiasi costo. L’ansia di cambiamento, di fare piazza pulita. La sete di giustizia che si trasforma in desiderio di vendetta, di purificazione. La brama di una vita in “prime time”. Questioni private che intrecciano le pulsioni profonde della società italiana degli anni Novanta, disposta ad auto-assolversi, dimenticare e a ricominciare.

«L’elettorato non è moderato, è smodato, arrapato», grida Leo Notte, in questo stato nascente, di disperata vitalità, in cui tutto cambia e tutto è necessario prendere, cavalcare, afferrare, come l’Occasione di cui parla Machiavelli nel “Principe”, «senza quella occasione la virtù dell’animo loro si saria spenta». «Per lui il movimento è una condizione essenziale per sopravvivere. Era un estremista, si è trasformato in un pubblicitario senza smettere di essere contro il sistema, lo status quo», lo descrive Accorsi. «Il suo credo è lo stesso che canta Manuel Agnelli degli Afterhours: “Io maledico il modo in cui sono fatto/ Il mio modo di morire sano e salvo dove m’attacco”. Riesce sempre a farla franca, a morire sano e salvo». Come vorrebbero fare molti italiani nel 1992, pronti a buttarsi nella nuova avventura.

La sinistra compare in una sola scena, è un pallido candidato alla Camera del Pds di Achille Occhetto, impaurito come la sua giacchetta marrone. Ma non c’è sinistra e non c’è alternativa, nell’Italia del 1992 e forse anche in questa. La corruzione c’è ancora, da Milano a Palermo. E se degli uomini nuovi di allora è già nota la parabola, le speranze bruciate, la rivoluzione giudiziaria immeschinita nei partitini personali degli ex pm, la Lega bossiana divorata dalle mollezze romane, Berlusconi che appare come un’ombra di luce già spenta, lo spettatore è colto dall’inquietudine di immaginare, in un’altra fase di cambiamento, che fine faranno gli uomini nuovi di oggi che gridano al tutti a casa e alla rottamazione del passato, la loro scalata al potere, famelica di illusioni. Nell’inizio è già visibile la fine. Qualcosa di familiare. 

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