Mario Chiesa è stato il primo arrestato di Mani Pulite, l’inchiesta che vent’anni fa ha travolto il vecchio sistema dei partiti. L’ingegnere socialista era presidente di un grande ospizio milanese quando fu ammanettato dai carabinieri, il 17 febbraio 1992, con una tangente di 7 milioni di lire (3500 euro). Quella bustarella segnò l’inizio del terremoto legale che nel successivo biennio ha portato i pm milanesi a ottenere ben 1.233 condanne per corruzione e reati collegati.
Nel febbraio scorso Chiesa ha proposto un ricorso civile d'urgenza diretto a bloccare la serie televisiva “1992” in programma su Sky: la trama ispirata a Tangentopoli lo avrebbe «gravemente diffamato», protestava il suo avvocato, definendo «falsa» la scena dell’arrestato che si disfa di una mazzetta gettandola nel water. Ora l’Espresso ha recuperato gli storici verbali di Chiesa, scoprendo che proprio lui, nella prima confessione fiume del 23 marzo 1992, rivelò quell’episodio all’allora pm Antonio Di Pietro: «Due ore prima dell’arresto, il geometra M. mi diede altri 37 milioni di lire. Tale somma non fu rinvenuta nella perquisizione in quanto si trovava in una busta che nascosi nella giacca e poi gettai nel bagno».
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Mani Pulite, l'inchiesta che ha cambiato il sistema politico in Italia, si è consumata in meno di tre anni, tra quel 17 febbraio 1992 e il dicembre 1994. Anni di crisi economica, sfiducia generale nei partiti, arresti a catena, stragi di mafia. Ma anche di grandi speranze in un cambiamento profondo, di aspettative che potesse nascere un'Italia migliore, finalmente libera dal giogo della corruzione. Speranze poi rivelatesi illusioni, e non per colpa dei magistrati.
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L'intera maxi-inchiesta Mani Pulite è nata da quella storia locale di malaffare politico. Milano, 17 febbraio 1992: Mario Chiesa, presidente socialista dello storico ospizio Pio Albergo Trivulzio, viene arrestato in flagrante, nel suo ufficio, mentre nasconde nel cassetto della scrivania una busta con sette milioni di lire in contanti. È una tangente che gli ha appena consegnato un piccolo imprenditore taglieggiato di Monza, Luca Magni, il primo che ha avuto il coraggio di denunciare le continue richieste di soldi in cambio degli appalti.
Quella bustarella è una trappola. La Procura di Milano indaga per concussione (un reato simile all'estorsione) e ha convinto la vittima a collaborare. Le banconote sono state fotocopiate in Procura, una ogni dieci è firmata dall'allora pubblico ministero Antonio Di Pietro e dal capitano dei carabinieri Roberto Zuliani. La tangente è la metà della somma totale pretesa da Chiesa: 14 milioni di lire, pari al 10 per cento del valore dell’appalto (140 milioni) per le pulizie del Trivulzio. L’arresto “con le mani nel sacco”, come titolano i giornali, crea scandalo attorno a un sistema di potere che a Milano è dominato dal Psi di Bettino Craxi.

Come rivelerà solo un successivo atto di «proroga indagini», l’inchiesta su Mario Chiesa era in realtà in corso dall’ottobre 1991. A scoperchiare lo scandalo era stato un anziano cronista del “Giorno”, Nino Leoni: quando pubblica le prime denunce sul Trivulzio, per sospetti favoritismi a imprese di pompe funebri, Chiesa lo querela. Invece di scaricare sul giornalista l’onere di provare che ha scritto sempre e soltanto la verità, per una volta il pm di turno, che è appunto Di Pietro, decide di indagare seriamente su quell'articolo e apre un “fascicolo alternativo”: si procederà per diffamazione solo se risulterà infondata la notizia della corruzione. Quando viene arrestato, quindi, Mario Chiesa è da mesi sotto intercettazione. E dalle sue telefonate in codice Di Pietro ha già scoperto che quel politico diventato manager pubblico nasconde miliardi di lire in Svizzera, su conti battezzati con nomi di acque minerali come Fiuggi e Levissima.
Craxi si sente per la prima volta sotto assedio a Milano e il 3 marzo 1992 tenta di circoscrivere il caso Chiesa. Intervistato dal Tg3, il segretario del Psi dichiara: «Una delle vittime di questa storia sono proprio io... Mi trovo davanti a un mariuolo che getta un’ombra su tutta l’immagine di un partito che a Milano, in 50 anni, non ha mai avuto un amministratore condannato per reati gravi contro la pubblica amministrazione».
La frase viene riferita in carcere all'arrestato, che si sente ormai scaricato e isolato. Il 23 marzo 1992 Mario Chiesa rompe il muro dell'omertà e firma la sua prima confessione-fiume. Parla di appalti truccati da decenni. Chiama in causa decine di piccole, medie e grandi aziende. Rivela di aver diviso i soldi con politici di rango nazionale. È il primo di una serie di interrogatori che svelano ai magistrati il sistema della corruzione. Prima c'era solo il «caso Chiesa». Da quel verbale nasce Tangentopoli.
Le confessioni di Chiesa hanno l'effetto della scintilla che scatena un incendio. I primi imprenditori chiamati in causa per gli appalti della “Baggina” (come i milanesi chiamano il Trivulzio, perché ha sede sulla strada per Baggio) cominciano ad ammettere di aver pagato tangenti. E confessano altre corruzioni, allargando le indagini.
Tra i politici, il primo a collaborare con i magistrati è il socialista Alfredo Mosini: subito dopo l'avviso di garanzia, si dimette dalla carica di assessore comunale e confessa anni di spartizioni delle tangenti sugli appalti dell’ospedale Fatebenefratelli, di cui era stato amministratore. Oltre a Dc, Psi e agli alleati centristi Pri, Psdi e Pli, a Milano l’inchiesta coinvolge dall’inizio anche il Pci-Pds.
Le elezioni politiche del 5 aprile 1992 segnano il crollo dei due partiti di massa: la Dc perde 5 punti e scende sotto il 30 per cento; il Pds con Rifondazione comunista si ferma al 26,6 (meno 4,9 rispetto al 1987). Il Psi di Craxi invece limita il calo dal 14,3 al 13,6 per cento. La Lega Nord, che in Lombardia aveva già raggiunto il 18,6 per cento alle amministrative del 1990, sfonda in tutto il Nord, conquistando 8,7 punti a livello nazionale, e manda in parlamento 55 deputati e 25 senatori, che promettono battaglia contro «Roma ladrona».
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Il 24 aprile 1992 cade il settimo governo di Giulio Andreotti. Dopo la strage di Capaci, con i boss di Cosa Nostra che fanno saltare un’autostrada per uccidere Giovanni Falcone, il giudice anti-mafia che solo da morto diventa un eroe per tutti, il nuovo clima politico fa salire al Quirinale un notabile democristiano con fama di galantuomo, Oscar Luigi Scalfaro. A fine giugno diventa presidente del consiglio Giuliano Amato, alla testa di un quadripartito d’emergenza Dc-Psi-Psdi-Pli.
A Milano, l’inchiesta continua, con un effetto-valanga che caratterizzerà i primi tre anni di Mani Pulite: ai nuovi arresti seguono ampie confessioni, che portano ad aprire altre indagini. Sempre in tempi strettissimi. La prima svolta è del 22 aprile 1992, quando vengono arrestati con un unico blitz otto imprenditori milanesi. Sono nomi di livello locale: il più noto è Clemente Rovati, che con la sua Edilmediolanum guida, tra l'altro, la cordata dei costruttori del terzo anello dello stadio di San Siro (costato 180 miliardi di lire, contro i 64 preventivati nel 1987).
Per il mondo degli affari quella retata è uno choc. Gli arrestati escono da San Vittore dopo aver confessato uno dopo l'altro. E da allora decine di imprenditori addirittura anticipano gli sviluppi dell'inchiesta presentandosi “spontaneamente” in procura. Questo fenomeno delle “code per confessare” prosegue per tutto il 1993 e si interrompe definitivamente nel 1994. Una simile massa di ammissioni non si è mai ripetuta nella storia d'Italia, né prima né dopo.
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Nel 1992, quando guadagnò l’uscita dal carcere di San Vittore, uno dei primi inquisiti, il manager dell’Iri-Italstat Mario Alberto Zamorani, azzardò una previsione che allora sembrava catastrofica: «Ne arresteranno mille». Col senno di poi, era stato ottimista. La Procura di Milano ha aggiornato le statistiche dei processi di Mani Pulite per dieci anni, fino al 15 gennaio 2002, perché poi è caduto tutto in prescrizione. Il bilancio finale è di 1.233 condanne per corruzione, concussione, finanziamento illecito dei partiti e relativi falsi in bilancio aziendali. Al conto vanno aggiunte altre 448 sentenze di “estinzione del reato”, che non sono condanne ma nemmeno assoluzioni: i giudici spiegano che l'imputato è colpevole, ma non può essere punito per amnistia, morte dell'accusato e soprattutto per prescrizione (ben 423 casi), cioè per scadenza dei termini massimi di punibilità, che in Italia sono straordinariamente brevi.
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Oggi, 23 anni anni dopo l'arresto di Mario Chiesa, il giudizio positivo o negativo su Mani Pulite continua a dividere gli italiani, come una faglia trasversale. Di fronte a un'inchiesta che in soli trenta mesi è sfociata in più di 1600 verdetti di colpevolezza a carico di politici, funzionari e imprenditori di alto o altissimo livello, una cosa è certa: Tangentopoli non è stata un'invenzione dei magistrati. E tante nuove indagini, dal Mose di Venezia all'Expo di Milano, confermano che la corruzione in Italia resta un problema enorme.