Un fotografo ha seguito un ragazzo siriano in fuga dalla guerra: gli appuntamenti con i trafficanti, le frontiere attraversate a piedi di notte, la paura della polizia, i campi profughi. E poi, finalmente, l’Europa (Foto di Matteo Bastianelli)
Il nascondiglio della nave da crociera nel porto di Istanbul. Il campo profughi in Bulgaria. L’autobus di Bucarest. Le sei ore di cammino nella neve nella foresta ungherese. L’arrivo in Germania. Nella mente di Mohamad Al Masalmeh scorrono le immagini del suo lungo viaggio. Dalla guerra alla libertà. Dalla sua Siria al Nord Europa. Tramite un percorso diverso da quello più noto alle cronache italiane, perché passa dai Balcani invece che da Lampedusa, portando però con sé un carico molto simile di sofferenza.
Tutto ha inizio nel 201. In Siria la speranza di un’altra primavera araba si è trasformata in guerra civile. Da una parte l’esercito del dittatore Bashar al-Assad, dall’altra il variegato mondo delle opposizioni. Mohamad ha 17 anni. Mentre tanti suoi amici imbracciano il fucile, lui si mette al collo una macchina fotografica. Segue il suo mito, suo cugino, attivista nella rivolta contro Assad che ha cominciato a lavorare come reporter per “Al Jazeera”. Poi arriva il gennaio del 2013, quando sono tre pallottole a decidere quale piega prenderà la vita di Mohamad. Le tre pallottole con cui un cecchino dell’esercito di Assad pone fine alla vita di suo cugino nella campagna di Daraa, città d’origine della loro famiglia e uno dei centri della rivolta contro Assad. Mohamad decide che ne ha avuto abbastanza. Lascia i genitori e il fratello, che tuttora combatte con i ribelli dell’Esercito Siriano Libero, e prova a partire per l’Europa lasciandosi alle spalle una guerra sempre più feroce. [[ge:rep-locali:espresso:285153783]] Attraversa così illegalmente la sua prima frontiera, quella più facile, con la Turchia. E arriva a Istanbul. Lì si intrufola su una nave da crociera che porta turisti in giro per il Mediterraneo, restando nascosto: ma quando si arriva a Venezia, viene scoperto. Rispedito a Istanbul, decide di provare in un altro modo: attraverso la Bulgaria. Non è una passeggiata, perché il governo di Sofia ha costruito un muro di 33 chilometri - cemento, acciaio e filo spinato - proprio alla frontiera con la Turchia. È un confine che nel 2014 oltre 38.500 persone hanno cercato di superare illegalmente. In seimila ci sono riusciti, mentre qualcuno ci ha lasciato la vita, come ha denunciato il 31 marzo l’Unhcr, l’Alto commissariato Onu per il rifugiati, ricordando la morte di due iracheni facenti parte di un gruppo di 12 yazidi picchiati dalle guardie bulgare. Invece Mohamad ce la fa ed entra in Bulgaria.
Ma è un immigrato illegale quindi finisce nel campo profughi di Harmanli, una cittadina bulgara di nemmeno 20 mila abitanti che però ha da sempre una posizione-chiave nel corridoio che unisce il vecchio mondo ottomano all’Europa. Il poeta Gencho Stoev una volta ha scritto: «Harmanli non ha bisogno di viaggiare, perché il mondo viaggia attraverso lei». Il mondo, oggi, non sono più i commercianti del XVI secolo, ma i profughi che dal Medio Oriente e dal Nord Africa inseguono il loro sogno europeo.
Nel campo Mohamad rimane circa un anno, prima in tenda, poi in una stanza condivisa con altri quattro ragazzi, infine in uno dei container allestiti con i fondi dell’Ue. La vita è dura, ma si fa ancora più complicata quando i residenti di Harmanli cominciano a protestare contro la presenza dei profughi. A dar loro man forte scendono in piazza i movimenti neonazisti, molto forti in un Paese in cui il partito xenofobo e anti-rom Ataka conta su 11 deputati. Un giorno, poi, arriva in visita ufficiale l’allora commissario europeo agli affari interni, la svedese Cecilia Malmström, e i rifugiati escono dal campo per protestare, ma la polizia li manganella. La sorte ha in serbo però ancora molte sorprese per Mohamad. I responsabili del campo profughi un giorno lo avvicinano e gli dicono chiaro e tondo che deve andarsene: «Altri rifugiati continuano ad arrivare, non ci sono più posti». Visto che non vuole tornare in Siria dove continua a scorrere il sangue e l’Is avanza, davanti a lui si prospettano due opzioni: vivere da senzatetto in Bulgaria oppure provare a viaggiare illegalmente verso Nord e raggiungere in Germania un altro cugino, Hany, che è lì già da alcuni mesi.
La sorella, che vive negli Emirati con il marito, gli invia dei soldi. Muhamad fa lo zaino e riparte. Con un autobus arriva a Sofia, poi con un altro prova a raggiungere Bucarest. Al confine tra Bulgaria e Romania, a Giurgiu, la polizia controlla i passaporti e Muhamad viene fatto scendere. Ma in un’agenzia viaggi di Sofia il ragazzo si è preparato e ha le carte in regola per oltrepassare la frontiera romena: ha infatti con sé una prenotazione alberghiera per qualche giorno, un’assicurazione sanitaria e, grazie alla sorella, più di 500 euro in contanti. L’autobus, a sorpresa, torna indietro e apre le porte a Muhamad, che finalmente sorride, come racconta il fotografo Matteo Bastianelli, che l’ha seguito in questa lunga odissea.
A Bucarest contatta un trafficante, un siriano che è un punto di riferimento per i suoi connazionali che fanno tappa in Romania. Passano dieci giorni, tra telefonate e cambi di programma. Muhamad esce raramente dal motel, è preoccupato. Nevica ormai da tre giorni, quando finalmente trovano un accordo sui dettagli. Per 700 euro il trafficante lo passa a prendere in auto e lo lascia alla frontiera con l’Ungheria. Gli indica un percorso che fiancheggia la dogana, gli dice di aspettare la notte e di cavarsela da solo. La notte arriva. Muhamad cammina sei ore nella foresta ricoperta di neve. La mattina dopo supera il confine, butta via i vestiti inzuppati, si cambia e si paga un taxi per arrivare a Budapest. Da qui in autobus, verso Düsseldorf, viene nuovamente fermato dalla polizia, che gli toglie i documenti bulgari ma gli dà un permesso di circolazione provvisorio. È fatta. Con l’ultimo autobus raggiunge la stazione di Warstein, in Renania, dove ad aspettarlo c’è suo cugino Hany. I due si corrono incontro, ridono e piangono allo stesso tempo. «Non mi sento più le mani», dice Muhamad mostrando le dita congelate: «Ma adesso sono qui, non riesco a crederci».
Ora ha cominciato le procedure per la domanda d’asilo in Germania, che anche nel 2014, come ha annunciato pochi giorni fa l’Unhcr, è stato il Paese che ha ricevuto di gran lunga più richieste d’asilo nel mondo, ben 173 mila (il 30 per cento di tutta l’Europa), contro le 121 mila degli Stati Uniti, le 77 mila della Turchia e le 75 mila della Svezia. Numeri in cui i profughi siriani sono i grandi protagonisti, visto che nel 2014 in 150 mila hanno chiesto asilo fuori dai confini, il doppio degli iracheni e degli afghani; circa 40 mila, lo hanno chiesto in Germania. Dallo scoppio della guerra civile, che secondo il Syrian Observatory for Human Rights ha fatto già 210 mila vittime, circa 9 milioni di siriani hanno lasciato le proprie case, 3,5 milioni dei quali, secondo l’Unhcr, hanno trovato rifugio all’estero, soprattutto in Paesi confinanti come Turchia (1,5 milioni), Libano (1,1), Giordania (620 mila), Iraq (232 mila) ed Egitto (136 mila). A fine marzo la cifra totale è già salita a 3,9 milioni.
Mohamad Al Masalmeh è uno di loro, o meglio di quella minoranza, tra il 5 e il 6 per cento, che ha cercato rifugio in Europa. Oggi ha 21 anni e aspetta di sapere dalla Germania che cosa sarà di lui. In futuro vorrebbe fare il reporter, come gli ha insegnato suo cugino. Ma il suo sogno è poter lavorare in Siria, dove un giorno spera di tornare per raccontare la rinascita del suo Paese. D’altronde che Odissea sarebbe, senza un finale con un ritorno a casa?