L'ultima inchiesta in collaborazione tra Fbi e polizia di Stato svela un imponente traffico internazionale di droga tra le due sponde dell'Atlantico. Così a New York i clan calabresi hanno iniziato la loro scalata al Sindacato del crimine

Se mai girassero la quarta parte del Padrino, il nuovo don Vito Corleone parlerebbe calabrese stretto. La 'ndrangheta a stelle e strisce ha conquistato New York. È diventata negli anni punto di riferimento per le celebri cinque famiglie di Cosa nostra americana che alle cosche calabresi trapiantate nella grande mela hanno affidato i quattrini da investire nel narcotraffico.

Gambino, Bonanno, Genovese, Colombo, Lucchese, sono cognomi che hanno ispirato grandi successi cinematografici, fiction e best seller. New York, la little Italy, era il loro feudo. Per anni è stato così, anche se alcuni indizi in mano agli investigatori italiani del Servizio centrale operativo della polizia, guidato da Renato Cortese e dal suo vice Andrea Grassi, e dell'Fbi svelano nuovi equilibri di un sistema criminale di cui la 'ndrangheta è il sesto elemento.
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La stessa squadra di detective che oggi ha portato a termine un'operazione congiunta coordinata dai pm Nicola Gratteri e Paolo Sirleo della procura antimafia di Reggio Calabria e da quella di New York: 13 arresti in Italia, tre nel Queens, il quartiere newyorkese che confina con Brooklyn. Gli indagati sono accusati di traffico internazionale di droga in partenership con un potente cartello della cocaina del Costarica. Questa volta la 'ndrina finita sotto scacco è quella degli Alvaro di Sinopoli, provincia di Reggio Calabria, gli stessi che a Roma avevano acquistato il famoso Cafè de Paris.
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La coca partiva dalla capitale dell'isola centroamericana per i porti degli Stati Uniti, in Delawere e Pensilvanya. Una volta raggiunte le coste statunitensi nei container stipati di frutta esotica la polvere bianca veniva stoccata in alcuni magazzini della città di New York, tra il Bronx e Queens, e da qui prendeva il volo verso l'Europa e la Calabria oppure veniva nuovamente imbarcata sulle navi in partenza per importanti hub portuali: Gioia Tauro, Livorno, Genova, Rotterdam. E proprio nella città olandese gli agenti della polizia di Stato hanno eseguito uno dei più grandi sequestrati di cocaina, tre tonnellate.

Il capo dell'organizzazione legata alla 'ndrangheta calabrese è Gregorio Gigliotti. I collaboratori più stretti li ha scelti nel suo nucleo familiare tanto era scrupoloso nella protezione dell'attività. Il figlio Andrea e la moglie Eleonora, anche loro tra gli indagati, collaboravano con don Gregorio alla gestione del traffico. Moglie e figlio trasportavano il denaro fino in Costarica per consegnarlo ai narcos. C'è persino una telefonata agli atti dei pm in cui il Gigliotti al telefono con la moglie, nel frattempo giunta nella città dei narcotrafficanti, la obbliga a contare in diretta i soldi chiusi nella valigia. Un fiume di denaro che Gigliotti gestiva con grande cura arrivando a dubitare anche dei suoi parenti stretti.
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La loro base era il ristorante “Cucino a modo mio” in una delle strade principali del Queens. Un oste cordiale e disponibile che in pochi anni si è trasformato in un imprenditore internazionale della coca. Da una parte godeva della fiducia delle 'ndrine calabresi, dall'altra manteneva i contatti con la potente famiglia di Cosa nostra americana, i Genovese, gruppo storico di New York di cui hanno fatto parte Vito Genovese e Lucky Luciano.

Gagliotti non è uno sconosciuto nell'ambiente del Sindacato del crimine americano. I calabresi d'onore sono sempre stati rispettati tra Brooklyn e il Queens. I primi contatti e le prime alleanze risalirebbero a 30 anni fa. Le conferme ai sospetti, già sollevati da Giovanni Falcone nelle inchieste in collaborazione con l'Fbi, le trovano i detective dello Sco della polizia e della Squadra Mobile di Reggio Calabria con le ultime tre indagini chiuse nel giro di due anni.

L'inchiesta New Bridge, conclusa lo scorso anno, ha smantellato un cartello misto fatto da personaggi legati alle 'ndrine della fascia Jonica della Calabria e uomini della più celebe famiglia Gambino. Non solo. È durante quell'indagine che scoprono una vera chicca investigativa: Gambino e Bonanno da ben due decenni erano in contatto con il Pablo Escobar della 'ndrangheta, Roberto Pannunzi. Un rapporto costruito e consolidato proprio negli States.

È in questo quadro di alleanze, di amicizie di lungo corso, di rispetto reciproco e di figure storiche della mafia italo americana, che si inserisce la figura di Gigliotti. Il calabrese trapiantato nel Queens che collaborava già con un altro boss, anche lui ristoratore calabrese a New York, che aveva stretto, nel 2008, un patto di ferro con i messicani del cartello del Golfo. Ma che soprattutto era in rapporti strettissimi con la famiglia Genovese, in particolare con l'underboss Antohony Federici detto “Tough Tony”, anche lui con la passione per la cucina e i ristoranti tanto da possederne uno a pochi metri da quello di Gigliotti.

Amicizie, rapporti e influenze, che riscrivono la storia del potere criminale a New York. Dal 2008 a oggi sono cinque le inchieste che hanno svelato una presenza radicata della 'ndrangheta nella metropoli. Le cosche della fascia jonica, Aquino, Commisso, Ursino, Simonetta, leader mondiali nello smercio della cocaina, sono affiancate da altre famiglie, come gli Alvaro, che hanno trasformato New York nella loro piazza affari. Fbi e polizia l'hanno intuito da dieci anni. E ora mirano a ricostruire questa presenza a lungo invisibile.

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