In manette i complici del boss Michele Zagaria. Tra i politici arrestati un big di Forza Italia Campania, Carlo Sarro. Sullo sfondo ancora una volta il regno della famiglia di Nicola Cosentino. E la strategia "antimafia" delle imprese colluse che con l'antiracket hanno tentato di ripulirsi dalle macchie del passato
L'ultima retata contro l'impero di Gomorra punta dritto al secondo livello. Mira ai complici insospettabili che hanno preferito accordarsi con il clan invece che denunciare il sistema criminale. L'indagine dà un nome e un volto ai colletti bianchi arruolati dal boss Michele Zagaria svelando i favori ottenuti dalle ditte in odore di camorra che si sono accaparrate i lavori per la rete idrica casertana e i finanziamenti illeciti ai partiti.
C'è anche una richiesta di arresto, ai domiciliari,
nei confronti di Carlo Sarro, 55 anni, deputato di Forza Italia e componente della commissione antimafia. I magistrati della distrettuale antimafia di Napoli l'hanno inviata alla Camera dei deputati. L'accusa ipotizzata nei confronti del parlamentare è di corruzione aggravata dall'avere agevolato un'organizzazione camorristica.
L'inchiesta è coordinata dal pool anticamorra guidato dal procuratore aggiunto Giuseppe Borrelli e dai pm Maurizio Giordano, Catello Maresca, Cesare Sirignano e Antonello Ardituro.
Il coinvolgimento della politica campana è però molto più esteso. L'ordinanza di arresto riguarda anche l'ex sindaco di Caserta
Pio Del Gaudio, l'ex consigliere regionale
Angelo Polverino, entrambi eletti con il Pdl, e l'ex parlamentare dell'Udeur
Tommaso Barbato,
candidato e non eletto con la lista di Vincenzo De Luca “Campania Libera”.
Al centro dell'indagine l'imprenditore edile
Giuseppe Fontana, legato da rapporti di parentela con Francesco Zagaria detto ‘Ciccio a benzina’, cognato del padrino Michele Zagaria. Partendo da lui gli inquirenti hanno ricostruito le pedine della zona grigia che hanno assicurato favori e appalti. Ma la storia di Fontana è anche l'esempio di come spesso l'antimafia diventa strumento per realizzare interessi personali.
Nel 2009, infatti, l'imprenditore era stato colpito dal provvedimento del prefetto che gli vietava di lavorare nei cantieri pubblici. Era un anno particolare, il 2009. La solidità dei reparti militari del clan era stata scalfita da pentimenti e arresti. I capi carismatici erano o latitanti o al 41 bis. Da lì a poco Antonio Iovine sarebbe stato catturato. Per questo Fontana, insieme ad altri colleghi, aveva elaborato una strategia per salvare le aziende da eventuali indagini. Decide così di denunciare e di provare a intraprendere un percorso con le associazioni antiracket. Ma grazie alle intercettazioni effettuate dal Ros e alle testimonianze di alcuni collaboratori di giustizia, i pm hanno subito intuito che i fatti denunciati rappresentavano solamente l'inizio «di un più complesso disegno finalizzato a ottenere una "rigenerazione" di tutti quegli imprenditori che, anche a seguito della costituzione di un'associazione antiracket, avrebbe garantito loro nuove commesse con la Pubblica Amministrazione».
Un'antimafia di facciata insomma,
già denunciata da "l'Espresso", per ripulire il curriculum macchiato dai rapporti costruiti negli anni con la mafia casalese. In particolare, Fontana, non si è fatto scrupoli a utilizzare amicizie tra i testimoni di giustizia. Sfrutta per esempio l'amicizia con un imprenditore sotto scorta che vive a Modena, Francesco Piccolo, titolare della Pica Holding: importante società inserita in numerosi appalti di rilievo nazionali. Il trucco utilizzato per aggirare le norme antimafia è, secondo gli inquirenti, semplice: Fontana «attraverso la cessione del ramo di azienda della società Co.ge.fon srl, colpita dall’interdittiva, in favore della Pica Holding srl partecipava alle aggiudicazioni dei lavori relativi agli adeguamenti infrastrutturali di impianti di gestione del ciclo integrato delle acque nonché di realizzazione e manutenzione di infrastrutture aziendali».
Le amicizie di Fontana sconfinano nella politica che conta a livello regionale e nazionale. «Amicizie politiche influenti», le definiscono gli investigatori. Come Giovanni e Nicola Cosentino o Carlo Sarro, per esempio. Grazie a questi “amici” si assicurava l’assegnazione di una grossa commessa bandita dall’Ato Sarnese- vesuviano.
Sarro, deputato di Forza Italia e membro della commissione antimafia, è politicamente un uomo di Nicola Cosentino. E gode di un ottimo rapporto con Giovanni Cosentino, fratello dell’ex parlamentare. Di potere ne ha molto. E affonda le radici nella gestione del consorzio idrico. È infatti il commissario straordinario dell'Ato 3, l’ente che gestisce i servizi idrici nelle province di Napoli e Salerno. In questo ambito avrebbe agevolato le ditte legate a Zagaria. Per questo motivo è indagato per corruzione aggravata.
«Il regolare svolgimento della gara d’appalto pubblicata dalla G.o.r.i S.p.a(la società che gestisce il bacino) relativa ai Lavori di manutenzione, pronto intervento, rifunzionalizzazione, ricostruzione e riabilitazione delle reti idriche e fognarie per un importo stimato di 31.710.000 di euro, è stato alterato con l’aggiudicazione dell’appalto (in complessivi tre lotti) a società riconducibili al clan di Michele Zagaria».
A tirare in ballo Sarro, poi, numerose conversazioni tra gli indagati che secondo gli inquirenti sono significative del ruolo di cerniera svolto dall'avvocato Sarro. Fontana per esempio «intendeva far leva sull’influente potere della famiglia Cosentino per ottenere da Sarro l’assegnazione di una grossa commessa bandita dallo stesso ente». Per l'imprenditore «tale pretesa rappresentava una sorta di “risarcimento” a fronte di un danno economico che lo stesso avrebbe subito quando Sarro, avvocato amministrativista, aveva patrocinato con esito negativo una controversia connessa all’emissione del provvedimento interdittivo antimafia che riguardava Fontana». Qualora la richiesta non fosse stata esaudita, Fontana aveva pronto il ricatto: «Era sua intenzione denunciare Sarro, poiché responsabile di aver ricevuto una tangente di 2.500.000 euro, pari al 5 per cento dell’importo per alcuni lavori pubblici illecitamente da lui assegnati ad un altro imprenditore di Casapesenna, anch’egli coinvolto nella vicenda delle pilotate assegnazioni dei lavori di “somma urgenza” presso la Regione Campania, legato da un rapporto di comparaggio proprio con lo stesso politico».
Sarro dunque, secondo i magistrati, ha stretto rapporti illeciti con «diversi autorevoli esponenti della imprenditoria riconducibile al boss di Casapesenna Michele Zagaria».
Non c'è solo Sarro tra i contatti politici del clan. Agli arresti anche Tommaso Barbato: «In qualità di responsabile del settore regionale collegato al ciclo integrato delle acque, successivamente di consigliere regionale in quota Udeur, di Senatore della Repubblica del medesimo partito politico e di persona comunque impegnata in attività politiche, procurava a diversi imprenditori (tutti imprenditori soci di fatto di Zagaria Michele) continue commesse legate a lavori affidati in regime di somma urgenza per la manutenzione e la gestione degli acquedotti regionali della Campania». In cambio Barbato avrebbe ricevuto voti e consenso. Il reato che gli contestano i pm è il concorso esterno.
Ecco cosa dice di lui Massimiliano Caterino, tra i pentiti più importanti di Gomorra: «Posso solo dire che era persona di estrema fiducia di Franco Zagaria il quale di lui parlava molto bene. Si parlava di lui all’interno del clan come persona referente del clan nella Regione Campania, nel senso che egli forniva appoggio al clan in questioni amministrative e politiche relative ai lavori che molti imprenditori di fiducia di Michele Zagariaricevevano grazie al suo appoggio». Si tarattava, aggiunge poco dopo il collaboratore, di lavori per svariati milioni di euro concessi nel biennio 2003-2005.
È indagato anche
Pio Del Gaudio. L'ex sindaco di Caserta, prima delle comunali per la corsa a primo cittadino, nel 2011, ha ottenuto un finanziamento in nero, sostengono gli inquirenti, da Giuseppe Fontana, che in cambio ha ottenuto la promessa di affidamento di alcuni lavori. Sempre del Pdl è Angelo Polverino, anche lui finito in manette, e già coinvolto in un'altra inchiesta giudiziaria. Secondo la procura ha ricevuto importi non quantificati, ma uno di almeno 20 mila euro, per la corsa alle passate elezioni regionali, da parte di imprenditori del clan dei Casalesi, e dallo stesso Fontana. Come contropartita avrebbe agevolato le aziende di Fontana & Co.
Soldi a pioggia dall'ala imprenditoriale del gruppo Zagaria in cambio della promessa di appalti e lavori, schema rodato che ha rafforzato il potere dei Casalesi e umiliato l'etica pubblica e le istituzioni. Il nome di Angelo Polverino finisce nei verbali dei pentiti. Massimiliano Caterino, per esempio, riferisce: «Venne sostenuto in occasione delle elezioni regionali. Egli era visto da noi, appartenenti al clan, in maniera favorevole perché di lui nel nostro ambiente si parlava bene (…). Era in ottimi rapporti con la famiglia Caterino e quindi con Antonio Iovine. Era in buoni rapporti anche con la famiglia Zagaria».
Un quadro sconcertante, che il giudice per le indagini preliminari Egle Pilla riassume così: «Il clan Zagaria ha creato un sistema per raggiungere l'obiettivo dell'infiltrazione camorristica negli appalti pubblici che non sarebbe possibile senza la disponibilità di imprenditori a raggiungere intese illecite e senza la disponbilità degli amministrazioni pubblici». E per giustiticare la misura cautelare scrive: «La presente indagine ha svelato quanto forte e duraturo nel tempo è il legame tra camorristi, imprenditori e politici». I tre vertici del sistema Gomorra.