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Attualità
agosto, 2015

Autostrade, con Gianni Armani si cambia. La missione è sganciarle dai conti pubblici

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Il nuovo numero uno dell’Anas vuole cambiare tutto ma per ora lascia i vecchi dirigenti. E prepara l'uscita di Anas dal perimetro della pubblica amministrazione. Che permetterà al premier di presentare all’Europa il taglio delle tasse

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Per ora non è molto nuova la nuova Anas di Gianni Vittorio Armani. L’ordine di servizio numero 16 valido dal primo di agosto e firmato dal neopresidente cambia la struttura organizzata da Pietro Ciucci nei nove anni di regno conclusi lo scorso maggio. Ma i nomi sono gli stessi.

Certo, qualcuno sale e qualcuno scende. Qualcun altro se ne andrà in autunno con un piano di incentivi annunciato per mail interna il 22 luglio che prevede fino a 32 mensilità di buonuscita. Carta d’identità alla mano, fra i candidati ci sono Alfredo Bajo, 62 anni, già potente condirettore generale tecnico e numero due sotto Ciucci, Leopoldo Luigi Conforti, 65 anni, direttore appalti e acquisti, il segretario tecnico Fausto De Santis, 64 anni, e qualche altro ultrasessantenne.

Ci sono due deleghe importanti che Armani, 49 anni compiuti il 24 luglio, si è assegnato ad interim: le relazioni esterne e la direzione legale. A parte questo, l’unica novità riguarda il posto di assistente del presidente, un ruolo fiduciario concepito ad hoc per Edoardo Emynian, classe 1977, arrivato insieme con Armani da Terna Rete Italia. Della passata struttura dirigenziale avanzano Michele Adiletta (esercizio e territorio) e Stefano Liani, direttore centrale progettazione e realizzazione dei lavori. Perde posizioni Ugo Dibennardo. Indicato come possibile direttore generale, l’ex direttore centrale progettazione ha scontato il caos del sistema stradale siciliano, da lui guidato per cinque anni, e ancora di più il suo rapporto con l’ex ministro Maurizio Lupi.

Pericolo scampato per i gattopardi di via Monzambano? È presto per dirlo. Lo scenario si chiarirà dopo che l’advisor selezionato dall’Anas produrrà il suo assessment. Fuori dal gergo della consulenza, una società selezionata con gara procederà a un’analisi generale per definire lo stato dell’arte nella maggiore stazione appaltante d’Italia.

Ce n’è grande bisogno. L’eredità di Ciucci non è più sostenibile benché il presidente uscente si sia vantato di risultati strepitosi nel suo commiato, coinciso con l’approvazione del bilancio 2014. Tra i successi più significativi, Ciucci ha esibito 50 milioni di euro di utili aggregati ottenuti in quasi dieci anni di governo. Il dividendo del 2014 ammonta a quasi 17 milioni di euro bonificati alla proprietà, il ministero dell’Economia. Se si considera che lo Stato ha trasferito all’Anas miliardi su miliardi ogni anno, c’è poco da esultare.

Il compito di Armani, ingegnere elettronico con master nell’esclusiva Sloan school of management del Mit e cinque anni da consulente in McKinsey, è complesso e articolato. Al primo posto della lista c’è l’uscita di Anas dal perimetro della pubblica amministrazione in modo che il governo possa guadagnare quella frazione di punto del rapporto deficit/pil già nel mirino di Giulio Tremonti. Il ministro berlusconiano calcolava la riduzione nell’ordine dello 0,2 per cento pari a poco più di due miliardi di euro. Oggi qualche ottimista parla dello 0,5 per cento.
Gianni Vittorio Armani con Graziano Delrio inaugurano il nuovo tratto calabro lucano dell'A3

Tra le formule allo studio c’è quella di accorpare le accise sulla benzina e destinarle all’Anas in modo da fare pagare il conto a chi usa le strade invece che ai contribuenti. È un sistema analogo a quello delle bollette per l’energia dove, insieme al consumo, si paga il costo della rete. Raggiunto quel risultato, l’Anas potrebbe finanziarsi sul mercato emettendo obbligazioni. Era l’idea mai realizzata di Ciucci: smarcarsi dal ministero azionista (Economia) e dal ministero di indirizzo (Infrastrutture).

Ma il premier Matteo Renzi non si è mai fidato fino in fondo dell’ex prodiano diventato berlusconiano sotto il patronato di Gianni Letta. Uscito di scena Ciucci, Renzi e il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan puntano molto su questa astuzia contabile per trovare margini ai loro progetti di riduzione delle tasse senza avere problemi con l’Europa, visto che un’Anas messa fuori dalla contabilità pubblica si allineerebbe ai suoi equivalenti europei. Padoan è più incline a tentare la privatizzazione, ma Armani ha definito l’ipotesi lontana e prematura in un’intervista al “Sole 24 ore”.

Sul piano operativo il futuro dell’Anas dovrà tenere conto delle direttive dell’altro ministro responsabile, Graziano Delrio (Infrastrutture), e in parte del ministro-ombra, il presidente dell’Autorità anticorruzione Raffaele Cantone, costretto a un superlavoro dal mondo che gira intorno a strade, superstrade e autostrade.
In attesa del piano strategico delle opere pubbliche che sarà presentato in settembre, il messaggio di Delrio, in sintesi, è: si completa ciò che si è iniziato, si mandano in soffitta i progetti faraonici prossimi venturi e ci si concentra sulla manutenzione straordinaria di una rete molto bisognosa di riparazioni. Non si può dargli torto.
Gli ultimi due anni della gestione Ciucci sono stati un seguito di viadotti smottati, statali interrotte, ponti crollati, con una concentrazione di disastri nelle isole maggiori, Sicilia e Sardegna (articolo a pagina 38), e sulla Salerno-Reggio Calabria che ancora aspetta 2,3 miliardi di euro per essere portata a termine molto oltre la scadenza promessa da Ciucci (2013).

Per completare la rivoluzione copernicana, la Legge obiettivo del 2001, mantra delle infrastrutture berlusconiane, è improvvisamente diventata come la Corazzata Potemkin in Fantozzi, una stupidata (eufemismo) pazzesca. La stessa fine tocca al general contractor, esecrato da Armani perché il modello che doveva eliminare il contenzioso lo ha invece fatto esplodere a quota 8,5 miliardi di euro. Nella lista nera sembrano esserci anche le società miste fra regione e Anas create in Lombardia, Piemone, Umbria-Marche, Lazio e Molise che, in pochissimo tempo, si sono trasformate in un poltronificio per manager dell’Anas in pensione.

Eppure il manager scelto per portare a termine la missione di una riforma, se non impossibile, molto difficile non ha il profilo classico del renziano.
Lui stesso ha dichiarato di avere incontrato il premier solo una volta prima della nomina e di avere conosciuto Delrio presentandogli un progetto di indipendenza finanziaria dell’Anas. Si può aggiungere che Armani viene da una famiglia solidamente ancorata a destra. Suo padre Pietro, scomparso nel 2009, è stato vicepresidente dell’Iri in quota Partito repubblicano ma in seguito è stato per dieci anni deputato di Alleanza nazionale, in ottimi rapporti con Altero Matteoli, ex ministro dell’Ambiente e delle Infrastrutture e inaffondabile presidente dell’ottava commissione lavori pubblici del Senato nonostante a fine luglio sia stato chiesto il suo rinvio a giudizio per corruzione nell’inchiesta sul Mose.

La madre di Armani è la contessa Maria Fede Caproni, figlia di Gianni, conte di Taliedo e padre dell’industria aeronautica italiana insieme a Giovanni Agusta. Nato a Tradate, non lontano dalla brughiera dove sorge l’aeroporto di Malpensa, Armani è consapevole di avere un impegno fortemente meridionalistico in una fase in cui le strade sono uno dei pochi canali di investimento statale nel Mezzogiorno. Molto dipende dalla sua azienda se l’Italia potrà tornare un Paese unito anziché tagliato in due com’è adesso.

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