Si prosegue con la seconda fase della progettazione per ricostruire del polo della scienza distrutto da un incendio nel 2013. Abbiamo incontrato il team d'architettura che farà rinascere Coroglio

Il rogo di Città della Scienza, nel marzo 2013, è un lutto, una ferita che non può rimarginare, tra le tante che Napoli ha dovuto subire nella sua tormentata storia. Anche questa volta, però, la città non si arrende: dopo la presentazione, lo scorso 7 luglio, del progetto vincitore del concorso internazionale per la ricostruzione del Museo della Scienza, i progettisti sono impegnati nella seconda fase, il completamento del progetto preliminare.

Li abbiamo incontrati, riuniti nello studio di S.Lucia dell’impresa capofila del raggruppamento vincitore, la Stige & Partners: i due giovani architetti Valerio Ciotola e Andrea Guazzeri, che hanno immaginato e disegnato l’edificio, ma anche gli altri ingegneri, architetti e tecnici di lunga e comprovata esperienza. Tutti seduti al tavolo di riunione dove non manca l’entusiasmo e la gioia per aver superato e vinto il concorso internazionale, indetto per questa importante opera della città di Napoli.
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Un risultato raggiunto da un raggruppamento partenopeo veleggiando sulle onde del merito, come ci spiega Alfredo Postiglione, ingegnere e direttore tecnico di Stige & Partners, con oltre 15 anni di esperienza nella progettazione di opere idrauliche: «Come previsto dal regolamento, il concorso internazionale si è svolto in forma assolutamente anonima, sia nella fase di preselezione dei migliori 15 progetti, esaurita a gennaio 2015, sia nella fase di aggiudicazione finale. Alla prima fase avevano partecipato 98 concorrenti, provenienti non solo dall’Italia ma da diversi paesi del mondo come Giappone, Francia ed Inghilterra. Alla fine abbiamo vinto noi, tutti napoletani ad eccezione di Andrea Guazzeri, veneziano ma di origini partenopee». Ed il motivo di quest’incontro di oggi? «Essendo quello approvato un progetto di massima, stiamo integrando la proposta risultata vincitrice di tutti gli allegati necessari per la presentazione del progetto preliminare; una volta presentato ed approvato il preliminare, avremo 70 giorni per la consegna del progetto definitivo. Sarà poi una apposita Conferenza dei Servizi, costituita dagli enti finanziatori e territoriali preposti a determinare le modalità di affidamento della progettazione esecutiva».

Per parlare del progetto però intervistiamo chi lo ha disegnato ed ideato, gli architetti Valerio Ciotola, classe 1985, ed Andrea Guazzeri, classe 1984.

Come avete raggiunto questo obiettivo? Quanto è stato difficile?
«Questo concorso l’abbiamo preparato lavorando giorno e notte e nei weekend, ininterrottamente. Vincere il premio ci ha dato anche una spinta importante perché come giovani architetti avremo la possibilità di avviare finalmente una struttura di progettazione nostra».

Quali sono stati i criteri che hanno ispirato il progetto?
«Il nostro approccio progettuale ha tenuto conto di due elementi fondamentali: il sito dove lo Science Center dovrà implementarsi, ovvero la splendida cornice dell’area di Coroglio con la parte sopravvissuta all’incendio di Città della Scienza e le prescrizioni del bando di concorso. Abbiamo conciliato queste esigenze disegnando una volumetria che fosse molto semplice, non invasiva, ma al contempo chiara e netta e facesse da unione tra la parte retrostante di Città della Scienza e il mare che è lì davanti. Sono stati rispettati i requisiti del bando sia in termini di destinazione d’uso e programmatici, sia di fabbisogno energetico. Siamo addirittura riusciti a restituire una volumetria inferiore, quindi un minor impatto dell’edificio sui profili circostanti, pur mantenendo le stesse superfici. L’edificio dello Science Center è stato progettato non in base ad un concetto predeterminato ed autoreferenziale, bensì attraverso un lavoro di analisi, razionalizzazione e miglioramento progressivi».

L’ing Marchetti (uno dei progettisti) racconta che lei voleva far "volare" questo edificio e che poi, quando ha saputo di aver vinto il concorso, gli ha telefonato dicendo "hai visto che ha volato?"
«Si, è un aneddoto che narra di una parte importante del nostro lavoro. Volevamo creare una struttura leggera, tanto che "volasse" e tale impegno è evidente in tutto il progetto, a partire dalla porzione di edificio prospicente piazza della Ciminiera, dove abbiamo creato questa hall di ingresso a tutta altezza, tutta vetrata, che restituisce una continuità tra gli interni di Città della Scienza, la spiaggia, il mare e la baia di Pozzuoli. Mentre l’edificio precedente creava una separazione, il progetto attuale crea una permeabilità, una leggerezza».
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Guazzeri, un napoletano ed un veneziano insieme non è cosa di tutti i giorni…
«Con Valerio ci siamo conosciuti all’università, grazie ad un Erasmus in Francia nel 2005, iniziando fin da allora a confrontarci sui temi dell’architettura. Lì costituivano dei gruppi di lavoro e così ci siamo conosciuti».

Napoli è una città particolare, con una miscellanea di stili e di monumenti come forse poche altre città italiane. Inoltre di contemporaneo, a parte il Centro Direzionale e le stazioni della metro c’è poco. Come si inserisce questo progetto in questo scenario?
«Innanzitutto, rispetto a quello che è avvenuto ultimamente in Italia, il fatto che Napoli abbia investito in maniera importante nelle stazioni della metropolitana, chiamando architetti di notevole importanza e rilevanza internazionale è qualcosa che non è accaduto in nessuna altra città italiana.

Avere bandito questo concorso a Napoli per dare una svolta in un’area molto complicata è sintomo che in Italia c’è comunque una volontà di rompere questa tradizione di estrema conservazione per andare verso una mentalità europea dove il rapporto con l’esistente non è più solo di tipo conservativo ma è in permanente dialogo, come lo era in passato: se si analizzano le architetture precedenti, dal periodo romano al medioevo, per esempio, sono architetture che si sono rinnovate implementando sempre ciò che già c’era.

È normalissimo trovare un edificio medioevale costruito in parte su rovine romane: questo crea una sorta di armonia e bellezza che accomuna tutto quello che vediamo. Il fatto di avere un approccio che sia meno conservativo del patrimonio storico porta ad una nozione di architettura che non è più un fatto "finito", da giudicare esclusivamente per quello che è, ma aggiunge la dimensione dinamica del tempo. Una architettura come una storia di continue aggiunte che, nel loro insieme, restituiscono una immagine finita».

Questo edificio è anche un simbolo ed un luogo della memoria, che voi avete voluto celebrare trasformandolo in quella che è stata chiamata "lanterna della memoria", ci spiega in che modo?
«Città della Scienza ha subito un incendio nel 2013 che ha lasciato rovine all’interno del sito. Ciò che restava, queste rovine, avevano una importanza ed un significato reali e simbolici ed era importante che fosse preservato nel miglior modo possibile.

Uno dei punti fondamentali del progetto è quindi stata la volontà di mantenere il legame con quello che c’era e quello che era accaduto, realizzando un edificio che mantenesse una sorta di dialogo con l’esistente e permettesse di leggere nuovo e vecchio in una coesione unica e leggibile. Il fatto che il sito si sviluppa lungo la spiaggia e fosse da essa confinato ha suggerito la forma di questo parallelepipedo lungo quasi 200 metri. Da questo bisogno di unire vecchio e nuovo e non dimenticare, nasce l’idea dell’edificio come "lanterna della memoria". Di giorno si vedrà il volume finito, questo grande parallelepipedo. Di notte invece il cemento si confonderà con lo sfondo e si vedranno solo le luci che emergeranno dalle luci della facciata e che richiameranno l’immagine dell’incendio».

Un parallelepipedo davanti al mare… piacerà ai napoletani?
Il Museo della Scienza è stato progettato immaginandolo e vedendolo, prima di tutto, dal mare. Immaginando quali fossero le volumetrie ed i migliori profili per seguire la linea di costa. Tutto l’edificio è stato progettato pensando al mare. La relazione tra interno ed esterno, alla base del progetto, è stata realizzata in funzione del mare.

Il museo sarà un luogo di aggregazione dove il visitatore sarà protagonista: non è un luogo passivo dove le persone andranno per vedere, andranno al Museo della Scienza per fare! E facendo entreranno in contatto con altre persone: sarà un momento di dialogo, di scambio. In questo senso è anche la scelta di ridurre la volumetria per lasciare ampi spazi esterni ove potranno svolgersi diverse tipologie di eventi, concerti, installazioni all’aperto».

Per la parte tecnologica, l’ing. Sergio Puorto, amministratore della Icaro srl, impresa del raggruppamento (tra i progettisti del vecchio edificio distrutto) e l’ing. De Lucia ci spiegano che l’edificio è caratterizzato da un significativo contenimento energetico. Sia dal punto di vista degli impianti elettrici che di quelli termici, con ampio utilizzo di energie rinnovabili. La capacità dell’edificio di provvedere al suo fabbisogno energetico sarà superiore al 50%.

Ricordiamo che per la realizzazione dell’edificio, la sistemazione dell’area e l’avviamento dello Science Center sono stati stanziati quasi 70 milioni di euro, inclusivi dei costi per la progettazione esecutiva ed iva, sostenuti da Regione Campania (con fondi europei pari ad oltre € 34mln), Ministero Infrastrutture e trasporti (€ 5 mln), Ministero Università e Ricerca (oltre € 3 mln) e Fondazione IDIS – Città della Scienza (oltre € 27 mln).
Resta quindi solo da sperare che questo progetto, simbolo della speranza e del riscatto di una città, partito così bene, possa essere realizzato nei tempi minimi possibili progettuali e non diventi un faldone burocratico, oggetto di strumentalizzazioni politiche o incapacità amministrative.