L’ultimo islamista morto in Siria ?è cresciuto nella terra della Lega. Viveva in un alloggio della Regione. In un libro il suo testamento-choc
I barconi non c’entrano e nemmeno le masse disperate di profughi in fuga dalla guerra. L’ultimo islamista morto per il Califfato si è formato a casa nostra: nella terra della Lega. In Italia sembrava ben integrato. Ma dopo più di vent’anni di pacifica vita lombarda, tra scuole statali e lavoro in fabbrica, in pochi mesi è diventato integralista.
Capace di trasformarsi in un propagandista su Internet dello Stato islamico (Is). Fino a dettare la post-fazione di un romanzo italiano che, riletta oggi, somiglia a un testamento ideologico-religioso. La chiamata alla cosiddetta “guerra santa” raccontata dal protagonista: Oussama Khachia, 31 anni, cresciuto in provincia di Varese. Ora il suo nome campeggia nella lista nera dei jihadisti partiti dall’Italia: secondo l’Antiterrorismo, è morto circa due mesi fa in Siria, in una zona dominata dai sanguinari combattenti del Califfato.
A Brunello, un comune di mille abitanti alle porte di Varese, Oussama Khachia ha lasciato l’immagine di un giovane gentile, educato, sempre disponibile ad aiutare le vicine di casa, a dare una mano agli anziani. L’Italia è la nazione che lo ha formato. Era il 1993, Oussama aveva solo nove anni, quando ha lasciato il Marocco, con la madre e tre fratelli, per raggiungere il padre Brahim, già immigrato in Lombardia. Il primo passo di una nuova vita, al fianco di tanti compagni di scuola italiani: prima le elementari e le medie a Castronno, a un paio di chilometri da casa, poi l’Istituto tecnico a Varese. Negli studi non brillava, ma alla fine ha ottenuto la qualifica di saldatore. Con quel diploma, nel 2012, ha trovato lavoro alla Petrelli, azienda che produce resistenze elettriche. Qui Oussama diventa artigiano con partita Iva. E in fabbrica lavora sodo. Puntuale, preciso.
«Un operaio altamente specializzato», lo ricorda il titolare, Patrizio Petrelli: «Sempre disponibile, accomodante, rispettoso. A Natale, quando passava il parroco per benedire lo stabilimento, lui restava lì con gli altri operai: voleva dimostrare, ci diceva, il suo riguardo per il cattolicesimo». Il 28 gennaio 2015, quando viene colpito dal decreto di espulsione previsto dalle norme antiterrorismo, lo stesso Oussama chiama l’azienda, dicendo che tarderà. «Da allora non l’ho più visto», spiega Petrelli. «Sono stato convocato dai carabinieri, ma non sapevo che dire. Anche loro apparivano increduli».
Il suo difensore, Michele Spadaro, tenta un ricorso al Tar del Lazio, che viene respinto. Oussama intanto raggiunge in Canton Ticino la moglie, che ha la doppia cittadinanza italiana e svizzera. Da lì, come precisa l’avvocato, Oussama torna in Marocco e poi cerca di rientrare in Svizzera, ma il primo settembre 2015 viene fermato dalle autorità elvetiche, che lo imbarcano su un volo per Casablanca. Dove sparisce.
Il decreto svizzero, che gli vieta l’ingresso nei confini elvetici per dieci anni, si basa sugli stessi fatti scoperti dalla polizia italiana: nel corso del 2015 Oussama è entrato in una rete di fanatici, di cui fa parte anche un emiliano convertito all’Islam, che rilancia su Internet proclami a favore dell’Is.
Il sindaco di Brunello, Francesco Bertoloni, oggi ricorda che, quando si è saputo dell’espulsione, «in paese abbiamo tutti pensato che le sue fossero solo smargiassate giovanili». Bertoloni ha 73 anni ed è stato eletto con una lista civica non legata a nessun partito. È un maestro in pensione che ha educato generazioni di alunni, diligenti o discoli. Con la sua esperienza, descrive Oussama come «un ragazzo che appariva fuori dalle righe, ma non violento, mai intemperante».
Della famiglia Khachia, lo stesso sindaco dice di sapere ben poco. «Madre, padre, due sorelle, due fratelli: un nucleo molto chiuso, tanto che a volte non riuscivamo nemmeno a capire quanti fossero esattamente», testimonia Bertoloni, aggiungendo solo che la famiglia abita in un alloggio pubblico dell’Aler, la società immobiliare della Regione Lombardia. E il padre Brahim ha fatto per anni l’ambulante, in giro con il camioncino nei mercati, ma faticava a tirare avanti, «per cui sono intervenuti i nostri servizi sociali, che saltuariamente gli pagavano l’affitto e le bollette».
Nel comune di residenza nessuno ha mai saputo che papà Brahim, nel 2002-2003, fu pedinato e intercettato con l’allora imam integralista di Varese, Abdelmajid Zergout, arrestato due volte, ma sempre assolto in Italia, poi espulso e condannato a cinque anni in Marocco. All’epoca il padre frequentava anche Abu Omar, il predicatore che fu rapito dalla Cia con l’aiuto del Sismi. Brahim però è sempre rimasto estraneo a tutte le accuse.
Solo dall’anno scorso suo figlio Oussama comincia a mostrare più facce su Internet. Prima si presenta come Huseyin Efendi Seker, sostiene di abitare tra Belgio e Svizzera, si mostra tifoso di calcio. Ma ha anche altri profili, ora chiusi, intestati ad esempio ad Abderrahmane Bencho Khachia, un fantomatico americano di Dallas. Via computer, Oussama entra in contatto anche con Silvia Layla Olivetti, una scrittrice veneziana convertita all’Islam, autrice di un romanzo ora in libreria intitolato «ISIS, Islamic State. Diario di un jihadista italiano». La scrittrice vuole capire cosa spinga un giovane cresciuto in Italia a scelte così estreme. Lui le risponde, sempre su Internet. Le manda anche una foto, che diventa la copertina del libro: Oussama è ripreso di spalle, con un mitra in mano, mentre marcia verso il Califfato.
Si incontrano di persona una volta sola, a Malnate. Lui è con la moglie: bella, bionda, vestita all’occidentale. «Oussama sosteneva che tutto ciò che si diceva dell’Is era solo propaganda occidentale», ricorda Olivetti. «Un giorno gli scrissi: ma se per te va tutto così bene nello Stato Islamico, perché non ti trasferisci? Lui mi rispose così: “Inshallah, ogni cosa ha il suo momento”».
Oussama invia il testo che diventerà la postfazione del libro dopo l’espulsione. Gli errori si sprecano e contrastano con l’italiano perfetto dei proclami su Internet, tanto che la scrittrice ora sospetta che avesse qualche cattivo maestro.
L’ultima comunicazione di Oussama è del 9 ottobre 2015: «Ho perso tanto tempo con le persone sbagliate… Magari lo avessi fatto prima». Secondo l’Antiterrorismo, era già in Siria. Dove risulta deceduto tra i jihadisti del Califfato, come confermano, lo scorso dicembre, gli annunci arrivati dalla Siria e i necrologi di alcuni familiari.
Di lui restano le frasi del libro, che oggi suonano come una tragica rivendicazione: «Sul mio decreto di espulsione per fiancheggiamento del terrorismo, lascio che ognuno scriva e giudichi come vuole: le considero tutte hasanat, buone azioni che mi vengono ascritte in cambio delle ingiustizie subite... Ringrazio Allah per avermi donato l’Islam. La strada che porta a Lui è lunga, piena di prove e ostacoli... Se quello di cui mi accusano è di odiare un sistema ingiusto e di rifiutarlo, di amare Allah, il suo profeta Muhammad e la sua legge, allora sì, sono un terrorista».