Un covo per due boss. Con un letto a castello, frigorifero e tv. Con i muri in lamiera e piazzato su un costone dell'Aspromonte. Non proprio una vita agiata per i due padrini nascosti e fuggitivi. Il bunker dove sono stati catturati Giuseppe Crea e Giuseppe Ferraro, però, era pieno zeppo di armi. Un vero arsenale l'hanno definito inquirenti e investigatori. Otto pistole e quattro fucili, tre a pompa e un kalasnikov. Ma la scoperta più sorprendente e inquietante per gli agenti della polizia sono stati i detenotori ritrovati. A cosa sarebbero serviti? Cosa stavano tramando i due 'ndranghetisti? Domande che troveranno una risposta all'esito delle indagini.
Tutto, quindi, farebbe pensare alla disponibilità di materiale esplosivo da parte dei due super latitanti, catturati all'alba dagli uomini della Squadra Mobile di Reggio Calabria, guidata da Francesco Rattà, con il supporto della prima divisione del Servizio centrale operativo diretto da Andrea Grassi. Crea era latitante da oltre dieci anni, mentre Ferraro da diciotto e sfugge da un ergastolo. Sono stati arrestati in un bunker nascosto dentro un costone di roccia ad Agro di Maropati, tra Rizziconi e Melicucco, nella Piana di Gioia Tauro. A parte le armi, durante le perquisioni sono stati trovati 20 mila euro nascosti nel bunker.
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La caccia ai due criminali (Ferraro è stato condannato all'ergastolo e Crea deve scontare 22 anni, oltre che essere sospettato dell'omicidio di un diciottenne, figlio di un noto politico locale condannato per concorso esterno) non è stata semplice.
A poco sono servite le intercettazioni ambientali e telefoniche. Per questo la squadra diretta da Grassi e Rattà ha dovuto adottare vecchi metodi ma sempre validi. Per diversi mesi gli investigatori non capivano perché a un certo punto i favoreggiatori, una volta arrivati in questa zona a metà tra montagna e campagna, diventano invisibili. Zone in cui era impossibile istallare cimici e telecamere. Da qui il ricorso alla vecchia scuola: lo studio del territorio sulle mappe e l'osservazione dei luoghi più nascosti.
Dopo ricerche molto impegnative sono arrivati a una gola, e lì hanno capito che quello poteva essere il posto migliore per un eventuale nascondiglio. In poche ore investigatori e procura, guidata dal procuratore Cafiero De Raho, hanno messo a punto il piano: nel silenzio della notte, a piedi, quattro squadre hanno iniziato l'avvicinamento al posto x. Una di queste squadre, capitanate da Fabio Catalano, aveva il compito di attaccare il bunker ricavato nella roccia. La testa del team operativo armato anche di puntatori laser ha individuato il covo. Nascosto da alberi e vegetazione così fitta che impediva persino all'elicottero, arrivato successivamente alla cattura, di individuare subito le squadre a terra.