Il suo rapporto con il nostro paese e la città con cui ha vinto lo scudetto, il corteggiamento di Agnelli, i problemi con le tasse. Intervista a tutto campo al grande campione

«Voglio dire agli italiani che ho un grande rispetto per loro. L’Italia, calcistica e non, si merita tanto. So quello che stanno passando gli italiani. Per questo voglio che l’Italia sia grande, come è stata sempre». 

La dichiarazione d’autore è di Diego Armando Maradona. El Pibe de Oro sarà in Italia per partecipare alla Partita della Pace del 12 ottobre a Roma per le popolazioni del centro Italia colpite dal terremoto del 24 agosto scorso. L’evento è pensato da papa Francesco al quale il campione argentino è molto legato. Ad accoglierlo, però, non ci saranno solo i promotori della gara, i tifosi e il figlio Diego jr, con cui i rapporti sono migliorati anche grazie agli uffici di Bergoglio.

Diego si troverà davanti un paio di uomini in divisa, pronti a consegnargli l’ennesima notifica a suo carico. Stavolta è un avviso di garanzia e il mittente è la procura di Cassino. Si tratta di una querela per diffamazione da parte di Equitalia S.p.a. e del suo presidente, Attilio Befera. Accusano Maradona di aver leso la loro reputazione a mezzo stampa.

Il Pibe de Oro avrebbe dato ad intendere, si legge nell’avviso, «di essere vittima di una persecuzione sulla base di documentazione falsa e procedure irregolari». È una querela bis che coinvolge anche l’avvocato di Maradona, Angelo Pisani. La prima querela, che doveva essere esaminata lo scorso 19 luglio, era stata impugnata dal legale per incompetenza territoriale.

Ad agosto il processo è stato poi spostato a Cassino dove viene stampata “La voce delle voci”, la testata su cui sono apparsi i passaggi incriminati: «Equitalia mi ha rovinato la vita e continua a perseguitarmi. Befera porta sulla coscienza le mie sofferenze e umiliazioni. Il mio caso è l’esempio di ciò che subiscono tantissimi italiani». Torna la storia dei presunti debiti del Pibe de Oro con il fisco italiano annullati dalla commissione tributaria nel gennaio 2015. L’appello presentato dalla società di riscossione sarà discusso l’11 ottobre. “L’Espresso” ha intervistato il campione.

 

Bergolio e Maradona



Tra beneficenza e tribunale per te sarà una parentesi italiana piuttosto vivace.
«Ci sono abituato. In Italia c’è gente che non mi vuole bene. Però c’è anche altro: amici e tifosi. Persone che mi fanno ritrovare la possibilità e il piacere di tornare. Voglio continuare ad avere rispetto per la giustizia italiana. Perciò chiedo a tutti i politici italiani di schierarsi dalla parte dei cittadini mettendo in luce chi sta dietro tutto questo. E che facciano emergere i responsabili. Voglio tornare in Italia come un signore, come uno che non ha rubato niente a nessuno e men che meno agli italiani. Voglio riabbracciare amici come Beppe Bruscolotti, Bruno Giordano, o Gianni Minà che mi ha sempre dedicato tanto spazio e anche oggi continua a credermi. Voglio tornare per fare del bene, come in occasione della partita della Pace pensata per le popolazioni colpite dal terremoto di agosto. Gli italiani mi hanno dato tantissimo e voglio rispondere al loro amore con azioni concrete».

Sei un uomo di sinistra. Quelli di sinistra non dovrebbero pagare le tasse?
«È giusto pagare le tasse. Le tasse rappresentano il contributo di chi lavora alla propria comunità. Ma il fisco italiano deve essere umano con i cittadini. Io non sono mai stato un evasore fiscale e ho sempre pagato tutte le tasse che conoscevo. Anche la sentenza del tribunale italiano del 1994, presentata al processo dal mio avvocato, dimostra che ho ragione e non ho debiti. Nella mia vita ho fatto tanti errori e li ho pagati tutti. Ma qui non ho sbagliato. Quelli che hanno sbagliato hanno nomi e cognomi».

Quali?
«Ho sempre solo giocato a calcio. I miei rapporti con il fisco italiano erano gestiti da Ellenio Gallo (all’epoca azionista del Napoli Calcio, ndr), Corrado Ferlaino e Guillermo Coppola che era il mio rappresentante. Sui documenti ci sono le loro firme, non la mia. Ora non capisco perché tutti quanti loro oggi possono circolare indisturbati dove vogliono, girare Napoli in tranquillità e io no. Questo non è giusto, oltre che molto doloroso per me. Ma io non ho paura di andare in Italia. Sto lavorando a Dubai perché dopo il Mondiale del 2010 non ho potuto lavorare nella mia terra. Solo per questo. Qualcuno ha detto che sarei qui in una sorta di asilo, un paradiso legale, con protezioni. Ma non è vero».

Il tuo rapporto con l’Italia è di odio e amore.
«Solo di amore. Non sarà la Guardia di Finanza a mettersi tra me e l’affetto della gente, specie dei napoletani. Questo è impossibile, non ci riuscirà nessuno. Non sto facendo la vittima, voglio solo combattere per la verità che qualcuno sta nascondendo. E nascondere è come rubare. In questo caso mi stanno rubando la possibilità di vedere quando mi viene la voglia la gente di Napoli che amo come amo gli argentini. Voglio tornare a Napoli quando voglio, libero e tranquillo. Libero di camminare, di visitare la città. C’è stata mia figlia poco tempo fa e mi ha confermato che il legame tra me e i napoletani è ancora fortissimo. Si è sentita orgogliosa di quello che ho fatto a Napoli. Mi ha ricordato pure quanto è bella, voglio respirare ancora la sua aria. E voglio vedere il Napoli campione».

I cinesi stanno acquistando le squadre milanesi. Anche Aurelio De Laurentiis cederà al fascino dell’Oriente?
«So che sta facendo missioni in Cina per cercare di diffondere il marchio Napoli. Su questo non ho molto da dire né ne sono scandalizzato. La figura del presidente rispetto ai miei tempi è molto cambiata: prima poteva essere pure un tifoso un po’ più ricco, oggi c’è bisogno che faccia l’imprenditore. C’è poco da fare, oggi per il calcio ci vogliono molti soldi. Eppure sono abbastanza scettico su figure lontane, lontane geograficamente e lontane ?dalla storia di una società, dai suoi tifosi e dal suo ambiente, che il calcio lo vivono solo come business».

Che pensi di Higuaín alla Juve?
«Da tifoso azzurro mi è dispiaciuto che Gonzalo, un mio conterraneo e un grande giocatore, uno che io stesso lanciai ai Mondiali in Sudafrica, sia andato a stare da una rivale diretta come la Juventus. Ma non si può neanche dare la colpa solo al giocatore. Perché il giocatore ha le sue responsabilità, e forse ai miei tempi non sarebbe capitato, ma i colpevoli sono sempre quelli che fanno gli affari. Nessuno pensa ai tifosi. Peccato che la Fifa continui a dormire su questi fatti, come in molti altri».

Tu hai rifiutato molte volte la maglia bianconera.
«L’avvocato Agnelli mi corteggiava come potrebbe fare un innamorato con una donna. Mi chiamava continuamente promettendo cifre pazzesche. Mi disse che aveva offerto 100 miliardi di lire a Ferlaino e di mettere io la cifra sul mio assegno. Io gli risposi che non avrei mai potuto fare questo affronto ai napoletani perché io mi sentivo uno di loro, che non avrei mai potuto indossare in Italia altra maglia se non quella del Napoli. E poi, dato che era stato gentile, per farlo sorridere gli dissi anche altro».

Ovvero?
«Gli ho risposto: “Si, caro avvocato, potrei pure venire. Peccato che dopo l’affare sia io che lei dobbiamo abbandonare l’Italia”.  I tifosi napoletani ci avrebbero ammazzato».