Una ricerca Ipsos mette in luce le principali preoccupazioni a livello globale. E rileva come nel nostro Paese gli ottimisti sono la metà rispetto al resto del mondo: appena il 17 per cento. Peggio di noi solo Brasile, Messico e Francia. Mentre aumentano i timori legati all’immigrazione
Il
lavoro che non c’è o stenta a ripartire. La
corruzione, di pari passo con l’aumento della
povertà e della
disuguaglianza sociale causata dalla crisi. E un pessimismo diffuso, che vede in Italia una percentuale di ottimisti inferiore di oltre la metà rispetto agli altri Paesi. Sono queste le principali preoccupazioni a livello globale che emergono dalla ricerca “
What worries the world” realizzata da I
psos tra fine agosto e inizio settembre su un campione di oltre 18mila persone di 25 nazionalità diverse.
E proprio dal pessimismo bisogna partire per comprendere la situazione: solo il 38 per cento della popolazione mondiale ritiene che le cose nel proprio Paese vadano nel verso giusto. Più ottimisti di tutti appaiono i cinesi: nove intervistati su dieci vedono un futuro roseo davanti a loro, seguiti da sauditi, indiani e peruviani (rispettivamente al 71, 67 e 61 per cento).
In Italia, invece, i fiduciosi sono appena il 17 per cento: solo in Brasile, Messico e la Francia si registrano numeri più bassi.
“Un pessimismo di lungo corso”, lo definisce Chiara Ferrari, una delle ricercatrici che ha partecipato allo studio: “Fin dal primo manifestarsi della crisi siamo nella parte bassa del ranking, come altri Paesi euro-mediterranei quali Francia e Spagna. Adesso il dato si è leggermente ridotto rispetto agli anni passati, ma per tornare ai livelli precedenti ci vorrà ancora del tempo. Molti degli aspetti rilevati, poi, hanno a che fare con la vita quotidiana ma anche con l’agenda mediatica. Quello di cui parlano tv e giornali sono i temi su cui si dibatte ogni giorno e quindi influenzano in misura maggiore l’opinione pubblica”.
Ed eccole, allora, le nostre paure allo specchio. La
disoccupazione innanzitutto, al centro delle preoccupazioni attuali per due terzi degli italiani: solo gli spagnoli la temono più di noi. A seguire, la questione delle
tasse (40 per cento) e la
corruzione politico-finanziaria, a pari merito con la
povertà (34 per cento). Al quinto posto i flussi migratori, che in estate, anche per effetto degli sbarchi sulle nostre cose, è schizzata in alto di cinque punti e attualmente impensierisce quasi un connazionale su tre: il triplo rispetto ad appena tre anni e mezzo fa. Ed è così ovunque: in estate, subito dopo Brexit, nel Regno Unito i timori legati al controllo dell’immigrazione sono saliti dal 35 al 42 per cento degli intervistati e oggi rappresentano il principale motivo di apprensione nell’Isola.
Del resto, Paese che vai paura che trovi. L’angoscia legata al terrorismo affligge tre turchi su quattro, più di metà dei francesi, il 45 per cento degli israeliani, il 38 per cento dei belgi. Il crimine e la violenza spopolano in Sud America (Perù, Messico e Argentina su tutti), la povertà è assai più sentita in Russia e Germania che altrove, mentre la corruzione è in cima ai pensieri di russi e indiani. Nulla di tutto questo in Estremo Oriente, dove per effetto di cultura e mentalità a preoccupare è soprattutto la crisi dei valori connessa all’industrializzazione: in Cina il tema più sentito è il degrado morale, seguito dalle minacce ambientali.