Bernard Manin, 65 anni, marsigliese, professore alla New York University e a L’École des hautes études en sciences sociales di Parigi, è considerato uno dei massimi studiosi dei sistemi politici e della loro storia. Autore del fondamentale “Principi del governo rappresentativo” (il Mulino), da anni parla dell’evoluzione della democrazia verso un “democrazia del pubblico”, dove non sono più i partiti con i loro apparati a scegliere i leader, ma l’ascesa e la carriera dei politici dipende dal loro rapporto con i potenziali elettori, rapporto talvolta diretto, talvolta mediato attraverso i mezzi di comunicazione.
Ha ancora senso parlare della democrazia?
«Sì. Penso che la forma che diamo a questo tipo di sistema politico cambia con il tempo. Ma non è esaurita. La democrazia ha un interessante futuro davanti».
Manca però il dibattito ponderato, razionale e dove alla fine gli elettori votano a seconda delle convinzioni e interessi
ben compresi. Oggi, qualunque governo perde
comunque qualunque referendum. La classe politica
non ci rappresenta più?
«Non confonderei quello che è un fenomeno del tempo breve con i tempi lunghi della storia. L’elettorato protesta contro l’establishment, non contro il metodo democratico. Siamo scontenti delle scelte immediate dei nostri governanti, delle loro politiche, intese come “policy”, come soluzioni concrete. Ma non vedo all’orizzonte forze che seriamente vorrebbero rovesciare il sistema democratico, e cioè il fatto delle elezioni periodiche, dell’autonomia degli eletti e degli elettori e della libertà di esprimere le proprie opinioni ed esigenze».
E lo scontento?
«È dovuto alla globalizzazione. In quel processo ci sono
i vincitori e gli sconfitti. La democrazia non è in grado
di venire in soccorso ai perdenti. E questo è un problema».
E allora che fare?
«Non parlare della post-democrazia; non cedere alle utopie
di stampo retrò e romantico; continuare a credere nei valori dell’Illuminismo e insistere sull’importanza dell’uguaglianza, della partecipazione e della libertà di parola. In altri termini: dobbiamo resistere, per migliorare la qualità delle nostre democrazie e non affossarle come fanno invece coloro
che parlando della “postdemocrazia”. Ricordiamoci
di cosa era il secolo scorso. Se la democrazia non è morta allora, vuol dire che ha una vita lunghissima davanti».
Attualità
29 dicembre, 2016"L’elettorato protesta contro l’establishment, non contro il metodo democratico. Siamo scontenti delle scelte immediate dei nostri governanti, delle loro politiche. Ma non vedo all’orizzonte forze che seriamente vorrebbero rovesciare il sistema democratico". Il controcanto di Bernard Manin
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